POLITICA E TORI

Variazioni su una gita in Spagna

Armistizio Barcellonese
BARCELLONA, 17 Settembre.

    Sbarcando a Barcellona, noto subito questo: bassorilievi di bronzo del grande monumento a Colombo, non ci sono più.

    Quei bassorilievi sono celebri negli annali del sovversivismo catalano. Erano sei, e rappresentavano, come d'obbligo, episodi della vita dello scopritore. Molti cardinali, molti signori, molti re cristiani, molti cacicchi indiani. Gli anarchici di Barcellona si rifacevano di notte, su quei personaggi, di tutte le cariche é le perquisizioni. Qualcuno era fucilato a Montuich? Si rispondeva colla decapitazione in massa di tutta la signoria dei bassorilievi.

    Quand'io visitai Barcellona, anni fa, erano già stati rifusi una volta, tutti: quello del Concilio di Salamanca due. Sui preti, si sa, l'odio vindice del libero pensiero morde di più.

    Adesso l'autorità ha tolto i bassorilievi. Sulle aiole spelate del monumento, invelenite dagli sputi e dalle pisciate di cane, dei mendicanti, dei libertari? - dormono con la faccia difesi da fogli di giornale. Come gli antichi guerrieri riposano sul campo di battaglia. Armistizio. Si vedono, di qui, tutti i punti strategici: il Montuich, il Palazzo della Capitania Generale, la stazione di Francia, da cui i rivoltosi divelgono in un anno le rotaie più volte, di quante non sia, in un anno, falciato un prato. La Rambla si apre, asfaltacea e ombrosa, proprio come si conviene alla sua destinazione: poligono di tiro per le mitragliatrici piazzate nel monumento. Con in più i chioschi ricolmi di giornali libertari e di libri osceni e le file di seggiole di ferro. Queste seggiole, uno può adoperarle: nei giorni di armistizio per sedercisi sopra, pagando una locazione di dieci centimi: nei giorni di sommossa, per cacciarle fra le gambe dei cavalli che caricano gratis.

    Oggi si pagano i dieci centimi.

Stivali e spardiglie
MADRID, 18 Settembre

    Questo esercito che ha fatto il colpo di stato, proclamato la legge marziale a suon di tromba, soppressi i deputati, i giurati e tutte le pubbliche libertà, merita di estere studiato nelle sue calzature.

    I generali del Direttorio calzarono dei bellissimi stivaloni della scuderia di cuoio giallo, insperonate di marca maggiore, col fiosso incastellato ancora in un'altra sontuosa striscia di cuoio che funziona da paratomaie. Se ben ricordo, gli stivali gialli, alla scudiera, e imitati da quelli dell'armata britannica, furono introdotti nell'esercito italiano nell'estate del'17, e l'averne mostrato l'uso, primo tra i primi, su tutto il territorio del Corpo d'Armata di Firenze, costituisce una notevole impresa bellica, del tenente del Genio Paolo Orano. Ma, perdio, in Spagna gli stivaloni hanno attaccato ancora più che da noi, e fanno un bellissimo vedere: si tratta proprio di un "oscuro errore del genio nostro" a non averli accolti con maggior fervore.





    E sotto ai generali instivalati, e agli ufficiali instivalati, ci sono i soldati in spardiglie. Spardiglie d'ordinanza, con due listarelle di cuoio scuro che passano tra il pollice e l'indice, e si avvinghiano attorno al collo del piede: spardiglie fuori ordinanza, con la suola di corda, con il tomaio di tela; da contrabbandiere, da melonaro, da acquaiolo, da torero, da picaro, da chispero, da lechuguino, da pordiosero, da encaperuzado da banderolero, da quanti mestieri variopinti e leggero-vestiti ha questa Spagna incantatoria. Vedere sfilare un battaglione spagnolo, per me è un godimento, per via delle spardiglie: come mi è un godimento contar la moneta spagnola per via dei duros d'argento sonanti nel mio taschino.

    Già il fatto che tutti calzan spardiglie, popolani e soldati, viene ad essere una attenuazione del militarismo. Il militarismo come l'abbiamo veduto nella sua ultima più completa incarnazione, la grande armata democratica wilsoniana è cuoio: una enorme quantità di cuoio borchiato e lucidato: cuoio nelle cravaches, cuoio negli zaini, cuoio nei finimenti, cuoio negli stivali, cuoio, se possibile, nel fondo dei pantaloni: il quale ultimo ritrovato rappresenta la perfezione suprema di ogni tenuta veramente militare. Un esercito in spardiglie in mezzo a una nazione in spardiglie, non può essere né provocante, né opprimente. L'esercito spagnolo, nonostante tutti i colpi di stato possibili, non lo è. Non annoia. Nelle strade, nei caffè, nei teatri, le spardiglie borghesi hanno un eccellente comportamento di fronte agli stivali. Non s'impressionano del tintinnio degli speroni. Se gli stivali instaurano i tribunali militari, c'è subito un paio di spardiglie catalane che muovono all'assalto di una banca: spardiglie da pistoleros anarchici, le spardiglie dei due fucilati di Manresa. Ma anche le altre spardiglie, di Castiglia o di Andalusia, sono sicurissime del fatto loro, e orgogliose, lasciano fare ai militari, per tutte le ragioni; fuori che per senilismo o per viltà. Nessun borghese spagnolo adula o teme la congregazione di coloro che trascinano la sciabola sul selciato. Nessuno degli spagnoli con cui ho discorso, ha ammesso che la Spagna si trovi costretta sotto una tirannia militare. Nessuno conviene che, almeno per oggi, sia impossibile un colpo di forza contro De Rivera. Il nuovo regime militare non è aureolato da nessuna vigliaccheria di borghesi o di proletarii. Tutti sono "hidalgos como el rey, y un poco mas". E pronti a dimostrarlo.





    Questa è la ragione, per cui il Generale De Rivera si mostra sempre così sorridente e benigno nelle fotografie di apparato; aborre nei suoi proclami dai termini di "forza", "colpo di Stato", e simili; e continua a ripetere che le spardiglie borghesi riprenderanno a governare lo Stato al più presto possibile.

Il soldato Farreu
18 Settembre.

    Mi hanno raccontato una storia pietosa.

    Certe volte, i contingenti di truppe inviate al Marocco sono bene arroventati. I soldati, a bordo, affilano le navaie: hay que cortar orejas de moro, ci sono delle orecchie di moro da tagliare. Le convenienze sociali, il diritto internazionale, i rispetti umani del secolo ventesimo, la presenza dei corrispondenti di guerra inglesi, tutto un complesso di circostanze infelici obbligano le autorità militari spagnole ad avvertite i soldati che - sotto pena di morte - non si devono mutilare i mori prigionieri. Guerra, guerra a lo infiel marroquì, si: ma senza vendemmia di orecchie. Ma un giorno, tempo fa, arrivano al campo di concentramento di Melilla dei notabili mori prigionieri, con le orecchie mozze. Un disgraziato soldato, Farreu, è colto proprio mentre mutila il moro Amadì. Condannato alla fucilazione. Quando lo si conduceva al palo di esecuzione, Farreu, ottimo soldato, di sua condizione mulattiere a Huesca, spagnolo fine, di quelli che osservano ancora le regole della cortesia paesana, di quelli che non danno mai il fuoco a più di un fumatore per volta: quando lo si conduceva al palo, il povero Farreu chiedeva ancora: "Por qué?". Perché mi fucilate?

    Egli morì da bravo, senza aver capito che oggi si costuma far la guerra ai mori ma non mozzar loro le orecchie.

    I saggi, che fanno delle conferenze all'Ateneo di Madrid contro le imprese marocchine, dicono: "Il povero Ferreu e tutti i suoi compagni, sono vittime di una educazione storica sbagliata. Quanto sarebbe più bello evocare con compiacenza la corte di Abderramànn il magnifico, insegnare ai bambini nei libri di lettura che egli dominò in Andalusia su più di dieci mila prospere Aldeas, mentre che oggi i paesani di Sànchez Guerra vi vivono cristiani si, ma miserabili?".

    Suggerimenti pieni di accademica sapienza. In base ad essi la Spagna è condannata ad essere ragionevole. Dovrebbe fare una "revisione" della propria storia, come un partito italiano qualunque: condannare alla fucilazione tutti i soldati Farreu, grandi e piccoli, che andavano in cerca di orecchie da mozzare: come il Campeador e i conquistadores, il santo di Guzman e la santa di Avila, i carlisti e i guerriglieri. Qualche volta la Spagna prende in santa rassegnazione la sua condanna, e si sforza di diventare un regno proprio tagliato per Dona Victoria, l'inglese moglie di Re Alfonso, che pare veramente il tipo standardizzato della regina anglo-sassone, e che non è ancora riuscita a parlare decentemente il castigliano. Ma altre volte, la condannata Spagna, mentre la conducono al patibolo della ragionevolezza, punta i piedi e comincia a chiedere anch'essa "Por qué?" proprio come il soldato fucilato.





    "Cosa potremo mai fare, mio Dio, se non ci lasciate neppure mozzare le orecchie agli infedeli? Perché dobbiamo essere condannati a coltivare gli aranci e le banane, che i dolcieri dì Inghilterra convertono in marmellata e gli inglesi spalmano sulle tartine dì pane?".

    Parole di Miguel Primo de Rivera alla Stazione di Barcellona:

    "Senores! vi assicuro che ci mostreremo degni della confidenza che avete riposto in noi. Andiamo a Madrid, a finirla con le raccomandazioni e col favoritismo, e a mettere in prigione tutti quelli che hanno tradito il paese. Andiamo a costituire una Spagna grande e sincera; una Spagna nuova...".

    I resoconti dei giornali portano: "Ovacìon".

    Ovazione alla prospettiva di un po' di vacanza, di un po' di orecchie di meno da tagliare.

La spiegazione carlista
20 Settembre.

    Gli uomini politici girano tutti al largo dalla capitale. Romanones, in una intervista pubblicata stamane da El Sol, ha detto: "In bocca chiusa non entrano mosche". Don Antonio Maura, il più forte e il più solo, vive gran parte dell'anno in provincia. Non mi riesce di incontrare altri che il signor Vazquez de Mella, capo della minoranza parlamentare integrista. "Integrista" è un nome pulito per dire callista. Anzi jaimista: perché, adesso, il pretendente del ramo legittimo dei Borboni è Don Jaime: un principe che vive un po' in Svizzera, un po' sulla Costa Azzurra, e - in omaggio a tutti i baschi, nazareni e asturiani che si son fatti ammazzare per i suoi diritti al trono di Spagna - si compiace di portate in testa la boina bascongada. Nello studio del signor Vazquez de Mella c'è una grande fotografia dell'Infante don Jaime di Borbone, con la barba nera e una formidabile boina calcata sull'orecchio.

    Don Juan Vazquez de Mella, uomo profondo nella genealogia borbonica, e che si indigna ancor oggi della violazione dell'ordine di successione al trono spagnolo perpetrata dal re Ferdinando VII a favore di sua figlia Dona Isabel e a danno di suo fratello Don Carlos, giudica favorevolmente il colpo di stato di Primo de Rivera. Egli dice:

    "La legalità che si considera violata fu stabilita solo in parte nelle Cortes del 1876. Però, donde teneva la sua fonte la cosiddetta legalità del 1876? In un fatto di forza contrario alla legalità stabilita, quello di Sagunto. E dove si fondava la legalità anteriore sovvertita in Sagunto? In un altro fatto di forza: quello di Alcolea. E dove si appoggiava la legalità anteriore che cadde al ponte di Alcolea? Nel fatto di forza perpetrato nel 1856, con la caduta definitiva di Espartero e la imposizione militare di O'Donnel. E su cosa si fondava la legalità anteriore? Sul fatto di forza di Vicalvaro col programma di Manzanares, che originarono il biennio progressista. E in che cosa si fondava la legalità anteriore? Nel fatto di forza che precipitò Espartero nel 1843 e originò la decade moderata. E in che cosa si fondava la legalità anteriore? Nel fatto di forza che obbliga ad abdicare e ad emigrare nel 1840 Dona Maria Cristina, e che produsse la reggenza di Espartero. E dove si fondava la vantata legalità anteriore? In un altro fatto di forza: quello del sergente Garcia e del pronunciamento liberale, in la Granja. E dove si appoggiava la legalità anteriore? In un altro fatto di forza, il più clamoroso, il più scandaloso; nella promulgazione dello Estatuto Real nella prammatica sanzione del 1829 che aboliva la legge salica: nella proclamazione di Dona Isabel come erede del trono, contro le proteste formali di Don Carlos: nella imposizione armata di Dona Isabel come regina e di Dona Maria Cristina come reggente, perpetrata nel 1833 e anni seguenti, dai generali cristiani.





    Tutta la legalità costituzionale del parlamentarismo si stabilì con la forza contro la costituzione interna e tradizionale della Spagna".

    Don Juan Vazquez de Mella ha finito. Egli ha ricondotto la crisi ai suoi principii. Se il re Don Alfonso subisce oggi l'umiliazione di controfirmare gli ordini di De Rivera, è perché un secolo fa Ferdinando VII commise una enorme ingiustizia successoria. Se gli spagnoli, oggi, debbono obbedire al potere illegale dei candillos militari, è perché un secolo fa non seppero imporre Don Carlos, e i madrileni non insorsero contro Dona Maria Cristina quando, nel 1837, egli apparve in vista di Madrid, e chiese di entrare nel suo palazzo reale, alla plaza dè Oriente. Il ragionamento di Vazquez de Mella è di uno spagnolismo monolitico, definitivo. Non c'è niente da replicare. Io mi sento in corpo una gran voglia di essere carlista: e lo dico, al signor Vazquez de Mella. Egli mi replica, sentenzioso e sicuro: "El carlismo es la justicia misma". Interessante, portare quest'uomo in Italia, e metterlo un po' a confronto con tutti i nostri monatti della legalità, il senatore Albertini che difende (in Senato) la legalità di avantieri o l'onorevole Mussolini, che parla della legalità di oggi "El carsismo es la justicia misma". Miserabili i paesi, dove le monarchie cadute non lasciano pretendenti, e dove i pretendenti non trovano seguaci: sono paesi senza giustizia. Che cosa stolta è la monarchia, se non ci sono i legittimisti che si spingono gelosamente a spiare fra le tendine delle alcove dei principi!

Confusione delle lingue
20 Settembre.

    Alla Acciòn, il giornale reazionario di Don Antonio Maura, propizio al pronunciamento, critico acerbo del caciquismo parlamentare, tengono sottomano il rimedio per sanare la vita politica di Spagna; dopo la parentesi militare.

    Un articolo del giornale ha cominciato ad enunciarlo.

    Semplice. La proporzionale. Solo la proporzionale può colpire a morte il caciquismo, liquidare Alba, Garcia Prieto, tutti gli uomini putridi dell'antico regime, ecc.

    Restano assai stupiti quando li informo che i restaúradores italiani hanno proibito la proporzionale peggio delle pistole corte.

    Un redattore, il signor Pica, mi domanda incerto:

    - Ma, allora?...

    - Allora, niente. Chi vi ha mai detto che in Italia ci siano dei

    rivoluzionari come voi mauristi?

Goya
21 Settembre.

    Mattinata al Prado. Goya.

    Ritratto della Famiglia di Carlo IV. Il paese de la quadrilla sulla piazza dei tori.

    Ritratti dei principi borbonici. I quadriglieri si presentano, a uno per uno, sull'arena. Labbra cascanti, occhi cerchiati, occhi da pesce morto, occhi da acquario; incesto e bastardigia. Il legittimismo è finito.

    Quadro dei Fusilamentos. L'insorto goffo, allucinato, piangente, dinanzi alle canne dei moschetti, col camiciotto bianco pieno di luce, coi piedi scalzi sul selciato viscido di melma e di sangue. Il carlismo è finito, la guerrilla è finita.

    La Maja vestida. Dimostrazione che è impossibile insegnare il pudore alle ninfomani, il controllo di se stesse alle gitane - i costumi parlamentari alla Spagna.





    Sotto una delle sue acqueforti, il Goya scrisse: "El sueno de la razon produce monstruos" Il sogno della ragione produce mostri. Egli ha dubitato, noi tremiamo.

    Ma il buon popolo di Madrid, tranquillo come il battista, se ne va a vedere il Museo de pintúras, cioè Goya: perché, insomma, la prima cosa sono sempre i ritratti dei Borboni. Questa impassibilità dinanzi a un uomo che ha messo un enorme punto interrogativo su tutta la Spagna, é degna della impassibiltà della corte Borbonica, che restava così contenta del ritratto "della Famiglia" da nominare Goya pittore reale. Lo spagnolo della strada, lo spagnolo primo venuto, lo spagnolo qualunque, nelle corride non si accorge neppure delle budella che il cavallo trascina sull'arena; al Prado, dinanzi a Goya, non si accorge neppure degli intestini che - anche qui! - sono sparpagliati dinanzi a lui.

Gli spazi bianchi
22 Settembre.

    Alla sera, sono ammesso con i giornalisti spagnoli presso il tenente colonnello Labastida, capo dell'ufficio stampa, o, come si dice, della Oficina de Informaciones, Prensa y Censura. Labastida è l'uomo che dirige la censura sui giornali di Madrid, per incarico del Direttorio militare. È stato anche l'unico personaggio militare di rilievo che in questi pochi giorni ho potuto avvicinare.

    Riceve alla Capitania General, quasi di fronte all'ambasciata italiana.

    Il suo tratto coi giornalisti é graziosissimo e cavalieresco. Si scusa ad ogni momento dell'ingrato compito che deve disimpegnare. Da parte dei giornalisti, nessuno di quei tali leccameni che non mancherebbero nel mio caro paese. Chi cinge la sciabola non fa la faccia feroce, chi adopera la penna non fa lo stenterello.

    La discussione fra censore e giornalisti si impegna sugli spazi bianchi. Il censore prega i signori giornalisti di volergli mandare per tempo le bozze degli articoli ch'essi suppongono incriminabili: egli si farà un dovere di restituirle prestissimo con i tagli eventuali: così i signori giornalisti potrebbero rimbastire il pezzo, e i giornali non sarebbero deturpati dagli spazi bianchi.

    Ma i giornalisti trovano che la richiesta del tenente colonnello mostra troppo la corda. Gli spazi bianchi sono la garanzia dell'indipendenza del giornale, sono el honor del periodista.

    L'invocazione all'onore non lascia insensibile il censore. Il quale allora dice ai giornalisti: "Ma se voi continuate a mandarmi le bozze tardi, e a far raschiare i pezzi censurati dal piombo pronto per la rotativa, voi mi mettete veramente in imbarazzo: perché non volendo a nessun costo rovinare la bella impaginazione dei vostri giornali, dovrò eccessivamente allargare i criteri della censura, con grande pregiudizio dell'incarico affidatomi".





    A questa battuta, imbarazzati sono i giornalisti. L'assalto di cortesia, procede così un bel po' sempre in frasi rotonde e fiorite: infine le due parti si lasciano con un compromesso pieno di dignità.

    La censura militare, in Spagna, è una corrida di tori, dove da toro fa il censore.

    La sorveglianza sbirresca sulla stampa, in Italia, è una corrida di vacche: dove da vacche fanno i giornalisti.

La rivoluzione spagnola
23 settembre.

    Popoli signori: il francese e l'inglese. Il gruppo dirigente sa presentare un tipo sociale facilmente imitabile, sa creare delle convenzioni assimilabili anche dalla povera gente: dà il tono. Le geste cavalier dei cortigiani domina ancora oggi tutta la vita francese. I finti pudori, le riserve, il cant dei gentlemen prontamente scimmiottati, fanno le spese di tutta la vita sociale anglo-sassone.

    Popoli plebei: il tedesco e l'italiano. Le classi dirigenti presentano i seguenti tipi: in Germania, il Korpsstudent, il Professor, l'ufficiale prussiano. In Italia, il commendatore romano prima, il curiale e il cavalier servente. Imitazione da parte della povera gente, impossibile: gli esemplari sono troppo goffi, o troppo raffinati. Risultato: mancanza di stile: gli scompisciamenti di birra in Germania, il cafonismo in Italia.

    E in Spagna?

    Ah, in Spagna, popolo di signori. L'ultimo esemplare della gran vita che presenta il gruppo sociale dirigente all'ammirazione delle folle, è il nobile che torea a cavallo, caballero en ambas sillas, e uccide il toro con la lancia. Il duque de Lerma toreò ancora così alle nozze di Carlo II, l'ultimo re di Casa d'Austria.

    Poi, sotto i primi Borboni, profittando di circostanze favorevoli di Corte, come il disfavore dei nuovi re per la corsa dei tori, il popolo spagnolo compie la sua rivoluzione sociale: invade le plazas de toros, e comincia il toreo a piedi. I plebei si appropriano, anche nelle corride, lo stile, il tono, il gesto dei cavalieri e dei cortigiani. Col regno di Carlo III, la rivoluzione è perfetta. Il saggio re e i suoi sapienti ministri si affaticano a riformare l'amministrazione; i valenti e coraggiosi spagnuoli riformano la fiesta nacional. Sono gli anni in cui gli americani del Nord proclamano la loro indipendenza dalla Corona britannica, in cui i francesi preparano le tavole dei diritti dell'uomo. Ma questa è democrazia politica. Più assoluti, integrali, gli spagnoli attuano la uguaglianza tauromachica fondano la democrazia taurina annunciano, per merito di plebei, i canoni invariabili dell'arte di toreare e stoccare a piedi. Todos espadas. Tra il plebeo Franklin che entra nei saloni di Versailles impastranato da fortunello puritano, e il plebeo Francisco Romero de Ronda, che per primo, inzimarrato di oro e di argento, fa sventolore la muletilla nella plaza de toros, non so chi riporti una vittoria più grande. Certo la democrazia sociale di Francisco Romero fu più soda e sugosa di quella di Colonna di Cesarò.





    Nessuno potrà mai dimostrare che la democrazia taurina vale meno della democrazia politica. Coloro che piangono sulle plebi spagnuole oppresse dal militarismo, dal clero, dalla nobiltà latifondista, non sospettano neppure quali vaste, ritempranti, orgogliose, compensazioni alla mancanza di certe istituzioni politiche, tutto un popolo possa trovare nelle sue abitudini signorili. Disse Ricardo de Vega del toreo:


                              Esta es la fiesta espanola
                              que viene de prole en prole,
                              y ni el Gobierno la abole
                              ni habrà nadie que la abola.


    Non sentite che qui sotto c'è tutto il correttivo ai pronunciamenti militari e ai colpi di Stato liberticidi?

    (N. B. La fiesta nacional spagnola non ha niente da fare con la sagra mussoliniana).

I progressi tecnici
23 Settembre.

    Non ci sono mai state in Spagna tante Plazas de Toros come oggi. Barcellona ne ha tre, una monumentale capace di 30.000 persone. Madrid, altre tre, e due monumentali in progetto. Siviglia, due, di cui una monumentale. Due, San Sebastiano. Nessuna capitale di provincia, nessun pueblo miserabile manca del suo circo tauromachico. Mai gli espadas rinomati hanno sostentato tante corride, come ora, in una stagione. Anzi, ora non c'è più "stagione". Fino a qualche anno fa, la "stagione" si inaugurava solennemente la domenica di Pasqua. Bombita fu il primo che ruppe con la tradizione, e toreò durante la Quaresima: fatto importante per la storia del libero pensiero spagnolo.

    La affezione tauromachica è in aumento enorme.

    Vi ha contribuito sopratutto lo sviluppo ferroviario. Le rapide comunicazioni hanno moltiplicato le possibilità degli espadas. L'automobile consente che un bravo espada ammazzi il suo paio di tori ogni sera, e galvanizzi una provincia in una settimana.

    Ferrovie e auto, in America hanno servito alla propaganda pietistica condotta con grandi mezzi logistici: in Spagna, all'incremento della tauromachia.

    Forse, e in America e in Spagna, non ad altro.

    "Un bello e orribile mostro si sferra come gli Oceani, corre la terra; salute o Satana, o ribellione, o forza vindice della ragione".

    Poveromo!





Prima delusione tauromatica
24 Settembre.

    Ieri, seduto in un buon posto dei tendidos, parte dell'ombra, mi godetti tutta la mia prima corrida, leggendo diligentemente la descrizione del programma ad ogni fiera che si presentava: e sempre col mio binoccolino avvitato agli occhi, tenendo la speranziella di veder capitare qualche incidente. Insomma: lo sventramento dei cavalli non mi bastava: volevo lo sventramento del torero. Come al Museo di Arte moderna spagnuola: "Los amantes de Terruel". Feretro: "Dona Juana la loca", altro feretro: "Conversion del duque de Gandia", altro; "Muerte de San Fernando", altro; "Entierro de San Sebastian", altro; "Fusiliamento de Torrijos", altro; "Muerte del torero". Almeno avessi potuto vedere questa conclusione delle grandi pompe funebri spagnole!

    Niente.

    Oggi, incontro Filippo Sacchi in un caffè di Alcalà. Filippo Sacchi, ornamento del Club Gran Pena di Madrid e del Corriere della Sera di Milano, maestro di diligenza per tutti gli inviati speciali, sotto l'amabile veste di Momolo svogliato, é competente anche in tauromachia. Gli chiedo perciò subito se ha assistito alla corrida di ieri. Si. E come hanno toreato gli espadas?

     - Tutti male, tranne il primo: che è in punto di morte. Forse è già morto.

     - Come, in punto di morte?

     - Ma sì! Il primo, Freg, non hai veduto che al momento di dar la stoccata prese una cornata in malissimo modo, e si trascinò appena alla barriera? Perciò il pubblico lo applaudì.

     - Ma è incredibile! Ed, io, che aspettai per tutto lo spettacolo l'incidente!...

    Sacchi fu così preso da un convulso dì risa, che sbruffò tutto il caffè che stava sorbendo sul tavolino: cosa che, certo, un redattore del Giornale d'Italia può fare quando vuole, ma che in, un inviato speciale del Corriere della Sera non è tollerabile.

    Compro i giornali della sera, gli unici del lunedì. Sacchi ha ragione. Pagine intiere dedicate alla gravissima cogida del matator. Luis Freg messicano. Bravura di Freg, suoi detti memorabili, sue condizioni disperate. Ma il mio caso è ancora più terribile della prima corrida cui assisto. Al primo torero della corrida, tac, arriva l'incidente. Quasi lo sventramento. Ed io non me ne sono accorto. Non me ne sono accorto!

    Hanno veramente ragione, quando trovano che sono "poco giornalista".


GIOVANNI ANSALDO.