Matteotti amministratoreGiacomo Matteotti ... grazie a qualche baiocco sparso in alcuni paesi - così egli diceva sorridendo - poté essere amministratore in parecchi Comuni del Polesine (Fratta, Villamarzana, San Bellino, Badia, Lendinara, Rovigo, ecc.) in giovane età. Nei Comuni di Fratta e di Villamarzana ebbe anche le funzioni di assessore e di sindaco. Partecipò assiduamente ai lavori del Consiglio provinciale in rappresentanza del mandamento di Occhiobello: leader della minoranza socialista. Ebbe la carica di presidente della Deputazione provinciale per brevi giorni nel 1914. Escluso dal Consiglio provinciale per sopraggiunte sue incompatibilità, vi ritornò con le elezioni dell'autunno 1920 che diedero ai socialisti 38 seggi su 40. Fu membro dei Consigli amministrativi di molti enti ed istituti locali. I problemi scolastici furono oggetto di suo assiduo appassionato studio. Opera diligente egli diede nel Consiglio provinciale scolastico coi compagni Gastone Costa, Aurelio Balotta e Dante Gallani. La fondazione di biblioteche popolari e scolastiche, il riordinamento delle scuole primarie dei Comuni rurali ebbe da lui grande impulso. Oltre ai problemi della istruzione popolare si dedicò principalmente a quelli della finanza comunale. Pubblicò parecchi saggi appunto sulla finanza locale, collaborando al libro: Nel Comune socialista, edito a cura del giornale Avanti! Scrisse uno studio, mirabile frutto di profondi studi amministrativi: Il Regolamento per le imposte comunali. Fu per alcuni anni membro del Consiglio direttivo della Lega dei Comuni socialisti, della quale tenne anche con molta solerzia l'ufficio di segretario. Nel 1920 promosse l'istituzione di un Ufficio di consulenza legale e di ispezione amministrativa per i sessantatré Comuni del Polesine, allora tutti amministrati dai socialisti, facendo affidare la direzione ad un esperto segretario comunale - il rag. dott. Ezzelino Faccini - e al deputato provinciale avvocato Enea Ferraresi, già sindaco di Stienta, competentissimo in materia amministrativa Il Convegno nazionale dei rappresentanti di 250 Comuni socialisti, tenutosi in Bologna - nella sala del Liceo Musicale - nei giorni 16 e 17 gennaio 1916, gli offrì l'occasione di farsi conoscere come studioso competente di problemi municipali. Il sindaco di Milano, Emilio Caldara, aveva terminato di illustrare la sua relazione sul tema: "Le finanze comunali di fronte ai pesi tributari da parte del Governo", quando il Matteotti chiese la parola e, ottenutala, oppose al punto di vista del Caldara, fondato sull'esperienza milanese, il suo di esperto amministratore di almeno una decina di comunelli e di controllore ed ispettore di una trentina. Il sindaco milanese, per fare approvare la sua relazione, dové - non senza disappunto - acconsentire che le conclusioni della sua relazione fossero modificate per quanto riguardava i Comuni rurali. Alcuni dei maggiorenti socialisti furono scandalizzati dalla mancanza di tatto del Matteotti che non si era peritato dal criticare la relazione di un uomo in fama di competentissimo in materia amministrativa, ritenuto quasi infallibile! Il Matteotti era un amministratore severissimo. Per comprendere questa severità non bisogna dimenticare che era figlio di un rigido conservatore parsimonioso nell'amministrazione del patrimonio domestico ed allievo dell'onorevole prof. Alessandro Stoppato, conservatore di stile e di razza, parlamentare fra i più rappresentativi, militante nelle destra clerico-moderata. A quell'esempio, a quella scuola egli era cresciuto. Anche senza mandati precisi si era fatto controllore di pubbliche Amministrazioni. Era l'incubo dei sindaci e dei segretari comunali per la sua diligenza di spulciatore di atti e di bilanci, per le critiche inesorabili, severissime. I bilanci comunali dovevano essere compilati con onestà in realistica corrispondenza con le possibilità finanziarie del Municipio. Economie fino all'osso, niente debiti. Se per opere pubbliche di grande utilità e per le scuole mancavano i fondi, si provvedesse aumentando le tasse fino ai limiti consentiti dalla legge. Compilava lui stesso i progetti dei bilanci per i Comuni dove temeva che le sue istruzioni non fossero applicate per l'ostruzionismo dei segretari comunali, i quali approfittavano talvolta della inesperienza dei sindaci per farla da padroni. I segretari Comunali maneggioni e faccendieri di alcuni Comuni, gli impiegati facili e tolleranti, lo consideravano come un nemico. Egli non aveva molta stima del ceto impiegatizio e vedeva con sfiducia l'accorrere degli impiegati nelle leghe confederali e nelle sezioni socialiste appena la fortuna arrideva ai socialisti. Avrebbe voluto che fossero sistematicamente respinte le loro domande di ammissione alla lega e alla sezione. Che cosa poteva fare per gli impiegati un partito operaio classista? Egli considerò sempre con scetticismo il movimento per la conquista dei ceti medi delineatosi nel partito qualche anno fa, oggi molto caldeggiato in seno al partito unitario. Si trattava insomma di categorie economicamente improduttive, il miglioramento delle cui condizioni era dipendente dallo spostamento dei redditi e da altre cause complesse. Urgeva invece provvedere per i lavoratori manuali già proletari. I ceti medi si sarebbero proletarizzati certamente - se pur era possibile - solo dopo un lungo processo di tempo. Quando tutti gli impiegati comunali domandarono nuove condizioni di lavoro, egli fece deliberare dalla Lega dei Comuni provinciale che le trattative si svolgessero su base provinciale, ed egli stesso vi prese parte attivissima dimostrandosi tenacissimo nella difesa degli interessi dei Comuni. Le trattative laboriosissime conclusero ad un capitolato-tipo da introdursi in tutti i Comuni per deliberazioni singole. In questa circostanza gli impiegati di alcuni Comuni, solitamente remissivi e ossequiosi nei confronti dei vecchi amministratori clerico-moderati, si dimostrarono battaglieri e aggressivi. Il Matteotti aveva già collaborato in riviste e giornali come: La rivista di diritto e procedura, diretta dall'on. prof. Eugenio Florian di Venezia; La lotta, l'Avanti!, L'idea socialista, ecc., ma i suoi magistrali articoli su temi di bilancio comparvero nella Critica Sociale solamente quando aveva studiato e lavorato per anni ai bilanci comunali. Con questa base di seria preparazione egli si pose in evidenza alla Camera dei Deputati per i suoi discorsi pronunciati contro i progetti Giolitti del 1920. Membro della Giunta del Bilancio e della Commissione di Finanza, stese parecchie relazioni, tra cui quella al bilancio dell'entrata del 1922. Segretario della Commissione per la riforma burocratica, scrisse frequenti relazioni di minoranza e per la minoranza fu relatore contro la concessione dei pieni poteri al Ministero Mussolini. Rigido difensore dell'erario in materie di spese, fu anche tenace propugnatore della libertà in materia doganale. Il liberismo doveva essere una scuola di maturità politica e sindacale. Così egli si oppose sempre ai tentativi degli agrari polesani di avere l'adesione dei lavoratori nel sollecitare provvedimenti protezionistici dal Governo. Una volta sola, nel 1920, derogò dal suo rigidismo liberista quando si trattò di aiutare alla conclusione di un patto di lavoro per le risaie del Comune di Porto Tolle. Si trattava di indurre i conduttori delle valli coltivate a risaia a non abbandonare la coltivazione. L'abbandono voleva dire far ritornare la valle a palude coi suoi miasmi e la malaria, la disoccupazione per circa tremila lavoratori. Per queste considerazioni egli acconsentì a presentare al ministro dell'Agricoltura una Commissione di conduttori vallivi e di lavoratori chiedente, - ed ottenne - un lieve aumento del prezzo del risone limitatamente alla produzione dell'annata nel Comune di Porto Tolle. Non volle però avere nessuna parte nella trattazione del patto e fu lieto che io assumessi intera la responsabilità della dèmarche presso il ministro. Perché egli mai ebbe in comune con certi riformisti la complicità nel protezionismo. Nel suo ostinato liberismo egli aveva due alleati nel gruppo socialista: Nino Mazzoni e Emanuele Modigliani. Di quest'ultimo spiaceva al Matteotti l'abilità nelle manovre parlamentari, la scaltrezza curialesca, il possibilismo collaborazionista, ma il vederlo al suo fianco nelle battaglie liberiste dissipò ogni aprioristica antipatia. E Giacomo si legò di affettuosa amicizia al Modigliani del quale ebbe poi sempre molta stima. Per il Matteotti il problema della redenzione operaia era un problema di produzione e di capacità. Si vale per quanto si produce e si produce per quanto si sa. Bisognava quindi educare, istruire il proletario. Come il Proudhon, egli chiamava gli operai all'emancipazione per mezzo della istruzione. Nel suo Polesine in questo campo vi era molto da fare. Dopo la grandiosa bonifica della terra, vi era da compierne un'altra non meno importante, quella dell'uomo. In questi ultimi anni l'istruzione ha avuto nella plaga fra il Po e l'Adige un notevole incremento, ma al tempo della prima agitazione dei contadini al grido: la boie (1884), vi era ancora colà il sessanta per cento della popolazione analfabeta! Giacomo vedeva nella scuola un formidabile strumento di elevazione, di indipendenza e di redenzione proletaria. Ma i lavoratori facessero da loro stessi non si affidassero al governo o alla borghesia. I diseredati si sollevassero con le loro forze. La filantropia, la beneficenza non erano che elemosina poco utile perché non eliminavano le sventure sociali e nemmeno bastavano a lenirle. Peggio, funzionavano talvolta da sussidio sobillatore di fannullaggine. Marxista, egli pensava col grande di Treviri abbisognare per primo all'uomo la dignità più ancora del pane. La fatica dei migliori, degli uomini di fede, doveva essere rivolta all'educazione delle masse, prima ancora che ad ottenere il loro miglioramento economico, il salario sarebbe aumentato invano ove l'uomo non avesse perfezionato la propria educazione. Formare l'uomo del lavoro per formare la classe e innalzarla. La forza collettiva della massa insieme alla capacità per organizzare le forze della produzione e preparare alla gestione sociale. Su questa via di conquista avviarsi con passi progressivi. Non imporsi mai, ma conquistare e convincere con la propria virtù. Questo il pensiero di Giacomo Matteotti, il quale fin dal 1910 aveva già scritto in La Recidiva: "Per l'Italia nostra, troppo ricca di delinquenti e di analfabeti insieme, nelle disgraziate regioni meridionali, ci permettiamo un unico atto di fede, contro ogni dubbio che dia veste scientifica all'inerzia, al malvolere; crediamo all'utilità dell'istruzione, crediamo, con l'antico greco sapiente, che sol chi conosce il bene possa operare il bene, crediamo all'istruzione capace di richiamare a più larghi orizzonti il pensiero e l'attività umana, crediamo che essa possa insegnare l'altruismo come l'ottima forma di egoismo". ALDO PARINI.
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