FORDFord scrittore può ricordare Franklin. È un moralista impegnato a scrivere una vita modello, una vita rappresentativa. Che questa biografia fosse un'autobiografia era necessità, non solo per dare all'argomento un valore probativo o derivarne un invito all'emulazione. Parlando di sé Ford può presentare le sue teorie come se fossero un racconto di fatti: si nasconde l'ideologia e si mettono in prima linea gli artifizi dell'idealismo pratico. Quest'arte di esposizione piacerà in clima latino come una specie di esibizione di cinismo e di energia diabolica. Invece, conviene cercare nell'autore dei lineamenti meno invidiati e più rari: l'uomo ingenuo e il sognatore. Il libro di Ford farà fortuna come un manuale dei progettisti: eppure codesti lettori usi a contemplare l'americanismo con invidia di europei tenuti lontani dalle più grasse avventure, sono per natura votati a delusioni. I consigli commerciali e industriali di Ford sono banali. Chiunque si sia occupato mediocremente di affari li ha scoperti con facilità e applicati con profitto. Non occorre l'esperienza di un bilancio di miliardi, basta l'esercizio di una casa editrice di opposizione e di avanguardia per stabilire: che non occorre darsi pensiero della concorrenza; non mirare al guadagno e alla speculazione ma allo sviluppo dell'impresa e al miglioramento del prodotto; che l'impresa migliora in quanto si riducono i costi e le spese generali con lo scopo di diminuire i prezzi e aumentare le mercedi alla mano d'opera; che si possono fare debiti per l'impianto iniziale o per nuovi impianti ma è segno di cattiva amministrazione ricorrere al credito per il corso ordinario degli affari, e gli stessi ampliamenti si possono effettuare più seriamente nella misura graduale data dal reddito che ricorrendo ad arrischiati aumenti di capitale; che si può sempre semplificare il servizio e migliorare indefinitamente l'organizzazione del lavoro. Si sa che, scelto un prodotto utile al pubblico, applicate queste e altre norme di economia generale, qualunque impresa deve riuscire prospera. Ma il segreto di Ford non è un segreto commerciale o industriale. Qualche anno fa la Fiat mandò in America una commissione di ingegneri a studiare i metodi applicati nei suoi stabilimenti. Ford volle che avessero tutti i dati, tutti i materiali, tutti gli schiarimenti; che nessun sistema di acquisti, di vendite, di amministrazione, nessun congegno tecnico fosse loro nascosto. Ford sa che il suo è un segreto religioso, un sistema di morale. Nella storia dei suoi inizi si avverte la presenza di una ispirazione ascetica. Ha nutrito in solitudine il suo pensiero dominante, la sua idea fissa di costruttore e di impresario, come un monaco di romitaggio si vota alla meditazione di Dio. Il suo spirito pratico ha una forza di concentrazione intensa come la rinuncia del mistico: conviene pensare alle origini religiose del pragmatismo. Il giovane meccanico rinnega le divagazioni eclettiche come poi l'industriale disdegnerà le avventure e le improvvisazioni dei banchieri: occuparsi di una idea alla volta. In questa atmosfera di semplicismo quasi rozzo nasce il paradosso di Ford, l'idea fissa: dedicarsi alla fabbricazione di un prodotto di universale necessità. Fanciullo, meccanico-autodidatta, si occupa di orologi, ne costruisce per i vicini: persino al momento di scegliere la carriera futura pensa che potrebbe fabbricare un orologio servibile per trenta centesimi ma poi si persuade che gli orologi non sono di universale necessità e che quindi la gente in generale non li avrebbe comprati. La stessa considerazione lo distoglie del fabbricare trattrici per l'agricoltura (Ford è figlio di un agricoltore: il suo equilibrio sano, l'indipendenza spirituale, la sua fermezza audace e insieme cocciuta, fanno pensare alla sua giovinezza trascorsa, nei campi, libera, lontano dalla scuola e dai più sottili problemi della città. Ford ignora la città). C'è un'altra idea nel suo cervello, persistente come la sicurezza di una missione. Dal giorno che a dodici anni io m'imbattei in una locomobile stradale, fino ad oggi, la mia massima aspirazione fu quella di costruire una macchina che percorresse le strade. Alla base di questo cervello di industriale c'è un sentimento di contadino: la meraviglia di fronte all'ostacolo delle distanze. Ma il concetto di missione, e qua e là il tono dogmatico e quasi orgogliosamente nazionalista non devono far pensare al nostro tipo convenzionale dell'americano dinamico e spregiudicato. Nell'arida costanza e nell'impassibilità di Ford c'è sempre una sfumatura di intimità, un segno di ricchezza interiore. "Nessun lavoro che interessi è mai duro. Ero sicuro del mio successo. Ma mi era una gran cosa il vedere mia moglie anche più fiduciosa di me. Ella è sempre stata così". Certi suoi aforismi fanno pensare al cliché protestante: "La vita non è una battaglia se non contro la nostra tendenza a metterci a riposare", "Non è necessario che l'imprenditore ami il salariato, o che il salariato ami l'imprenditore. Necessario è che ciascuno cerchi di rendere giustizia agli altri secondo i loro meriti". "Possa ogni americano corazzarsi l'animo contro il tenerume. Gli americani dovrebbero abolirlo. E' un narcotico: state ritti e difendetevi: lasciate i deboli accettare la carità". Ma sotto il cliché è sempre vigile uno spirito vivo. Protestante è l'idea iniziale del servizio di universale necessità da rendere. Protestante il metodo di soddisfare il servizio con l'oggetto più semplice, più leggero, uguale per tutti. Protestante il noviziato a cui il costruttore si sottomette prima di produrre, studiare e trovare il prodotto migliore che non dovrà più mutare. Per Ford queste sono leggi; per noi sono segni organici del suo cervello. Sentiamo nella sua fantasia un largo fondo di umanitarismo austero dissimulato, un'energia di utopista. Cristiana è in lui l'abitudine a comprenderne, il bisogno di sognare redenzioni, con un ottimismo che a noi parrà esaltato. Ma delle sue parole egli è sicuro: "Il genio degli Stati Uniti d'America è cristiano. Ciò non comporta significazioni settarie, ma riconduce a un principio fondamentale, che differisce da ogni altro principio in quanto attua la libertà con la moralità, e conferma la società a un codice di relazioni umane costituito sopra concezioni essenzialmente cristiane degli umani diritti e doveri". Tale tranquilla esclusione delle questioni di principio vuol rivolgere tutti gli sforzi al lavoro quotidiano, forse con un semplicismo troppo primitivo; ma alla nostra civiltà scaltrita riesce assai malagevole opporre dei dubbi e delle sfumature a una fede così candida e lineare; ci sembrerebbe di offendere l'innocenza. O piuttosto noi ci sentiamo meno attaccati al presente e il nostro scetticismo è una specie di fede nell'oscuro avvenire, perché sappiamo che dei nostri peccati non potremo essere assolti che da una catastrofe. Alle forze ignote di una società futura, che ancora non s'annunzia, noi affidiamo la nostra salvazione. La religione di Ford invece non ha bisogno di imponderabili. Il senso del sacro è ben fermo in lui. "C'è qualche cosa di sacro in una grande azienda che provvede all'esistenza di centinaia e di migliaia di famiglie". "V'ha nei salari alcunché di sacro: essi rappresentano case e famiglie e sorti domestiche". Il lavoro, il diritto e il dovere al lavoro, è la legge del mondo di Ford: è una necessità e dà un potere. Spiegazioni più integrali non si possono chiedere che allo spirito fresco e fiducioso della razza. Si sono resi conto di questi fondamentali problemi etici i progettisti dell'industria italiana? Si può importare in Italia con espedienti di magia la grande industria, che può nascere solo in virtù di adattamenti e di sforzi aderenti a bisogni locali? Si sono resi conto dei problemi oltre a tutto ideali che importa la creazione di un triangolo di produttori Milano-Torino-Genova? E' un'impresa che importa nell'Italia progettista e dilettante, decenni di preparazione psicologica, e che si può solo maturare lentamente. Questi dubbi è in dovere di presentare chi vuole in Italia una industria seria, non un'avventura di banchieri. Sta di fatto che in Ford non si trova soltanto lo schema del calvinismo industriale, ma un'organica struttura di attività e di personalità. Soltanto i retori dei destini della latinità noteranno che in questa civiltà meccanica manca la genialità poetica. La fabbrica di Ford è tutt'altro che il regno dell'automismo. Non è che Ford abbia abolito l'abilità. La verità è che per certi tipi di cervelli il pensare è proprio una pena. Costoro preferiscono essere utilizzati in un lavoro facile e uguale. L'abilità poi importa sempre un certo grado di spirito direttivo e inventivo. Il genere di abilità che in questa fabbrica si esclude è il disordine dell'imprevisto, la risorsa dell'improvvisazione. In quest'uomo di fabbrica l'immagine dei campi è rimasta presente e forte come gliel'ha data la fanciullezza. La salute del sole e il senso di spazio della sterminata campagna sono la sua nostalgia di impresario. Nemico della concentrazione egli è sicuro che l'epoca della grande città è morta: sogna per il futuro un'industria alleata all'agricoltura, la vita dell'operaio divisa tra i campi e la fabbrica. Noi non ci commuoveremo a questi progetti pittoreschi, ma il segreto del capitalismo americano, la sua vitalità presente (e diciamo pure la sua presente superiorità sul movimento operaio) è proprio nella coesistenza quasi grossolana di spirito d'organizzazione e di idealismo sognatore. Il capitalismo (razionale, cinico, rigoroso) sembra avvertire il suo peccato originale e chiede l'assoluzione all'utopia. p. g.
|