ESPERIENZA LIBERALE
L'idealismo di un economista.Trascrivo dagli Ideali di un economista di Luigi Einaudi (La Voce, Firenze, 1921): "Sono le idee che fanno muovere gli uomini e che fanno servire le cose materiali ai fini che l'uomo si propone". "Sempre, in passato fin dove rimontano i ricordi storici, le materie corsero volentieri verso i popoli che della loro intelligenza e della loro perizia eran fatti abili ad acquistarle a più alto prezzo dei vicini incapaci e pigri" "Lo spettro della disoccupazione è una chimera quando non la si provochi con una condotta dissennata e precipitosa. Non vi è un limite fisso al lavoro che vi è da fare in un dato paese in un dato momento. Prima viene il saper fare. Poi quel che si è saputo fare si vende sicuramente". Delizie indigene.Da una lettera di Stolfi dalla Basilicata: "In un grosso paese, vicino a Potenza, un privato si propose un giorno di fondare una bibliotechina scolastica in memoria d'un congiunto morto nel fiore degli anni, ed inviò ad una maestra parecchie centinaia di volumi, nella persuasione che essi avrebbero formato la delizia dei bambini del suo paese. Ma il locale direttore didattico era di diverso avviso, e ordinò che i libri fossero dispersi o restituiti all'insolente donatore, reo di essersi sostituito alla legittima autorità, che è sempre previdente e provvidente, sopratutto quando lascia che i giorni si susseguano malinconicamente uguali, in una tranquilla atonia di vita. Non è dato infatti ai privati di entrare facilmente nei tabernacoli della sapienza riposta in coloro che hanno l'onere ed insieme l'onore di provvedere alla direzione della scuola basilicatese. Ma questa volta l'ukase non venne accolto con la rassegnazione usata in questi paesi, e poiché il detto direttore didattico conosce uomini e cose, temendo il peggio, dovette lasciar intendere che la bibliotechina avrebbe potuto prender posto in un armadio per portare la luce nello spirito delle vispe bambine che lasciano ogni giorno, col cuore triste, le loro catapecchie affumicate. Ma non una parola d'incoraggiamento o di scusa ha pronunziato finora il detto direttore, che forse ritiene ancora d'aver dato prova di singolare benevolenza, permettendo, costretto, l'intrusione di estranei nella vita scolastica del suo paese, cioè nel campo chiuso riserbato alla sua direzione illuminata...". Le letture del popolo.Non possono essere organizzate secondo le teorie educative che espone nel suo recente opuscolo (Milano, 1921) il nostro amico G. C. Pico, valoroso maestro, pensoso di effettuare nelle classi popolari un radioso sogno di umile bontà collettiva. Codesto appello è generico mentre l'esperienza educativa è sempre aderente all'individuo e non subordinata mai a preconcette pretese o ad illusorie contemplazioni di risultati. Pico confonde le categorie. Leggere non significa essere morali. Leggere è un atto pratico, su cui non è possibile dare un giudizio di valore. Essenzialmente formale questo atto attende il suo contenuto dalla volontà individuale, dalla situazione specifica. Ora le volontà individuali, penetrabili soltanto per opera dell'arte del politico o dell'apostolo, sono energie nuove capaci di ogni sforzo, trascendenti lo schema intellettualistico; ove altri pretenda limitarle, liberamente rincorrenti quello che è l'intimo loro desiderio, sorto in una situazione storica determinata. Perciò non esiste il libro del popolo (come non esiste il popolo, definito e compiuto). Non esiste il libro difficile né il libro facile. Il libro facile, dilettevole, come lo concepisce Pico, è immorale. Morali sono soltanto il lavoro, la fatica, l'energica volontà; la gioia tranquilla, il compiacimento inerte sono infeconda debolezza umana. I libri che vorrebbero recare la gioia al popolo si dirigono ad un popolo di maniera e lo solleticano col più banale sentimentalismo. Queste facili letture che vorrebbero (e riescono infatti) sostituirsi alle tendenze al vizio sono più viziose della bettola, perché con maggiore ipocrisia, ricercano diletti sensuali (c'è una sensualità del sentimentalismo, del misticismo, della facile erudizioncella). La cultura e l'elevazione del popolo sorgono col desiderio di vedere chiaro nelle proprie condizioni, nei propri bisogni. Allora scompare il concetto inerte o corruttore del "facile". Conosciamo operai che hanno voluto leggere Marx e lo hanno penetrato. Poi sono anche riusciti a leggere Dante e Leopardi. L'economia individuale, diventata esperienza, generava il libero esercizio di una cultura critica disinteressata: dall'economia all'etica, dal partito all'umanità. L'Ordine Nuovo stampa articoli di fondo che i lettori del Resto del Carlino leggerebbero a disagio: gli operai non li intendono a prima lettura, si raccolgono insieme, li discutono, li assimilano. Volete una cultura popolare? scatenate le autonome volontà e le libere iniziative: ne sorgeranno reali problemi cui i non ancora esperti sapranno dare solide soluzioni. Allora si preparerà ognuno il suo elenco di libri da leggere... L'aurora ed il tramonto della Nazione.Scrive R. Tagore con l'ingenuità apocalittica che lo fa caro alle signore francesi: "Fin dal principio della storia dell'uomo, il suo vero scopo fu di formare una comunità, divenire una nazione. In quei tempi lontani, gli individui si raggruppavano secondo frontiere geografiche. E soltanto quelle comunità di uomini che sviluppavano il sentimento della loro unità e il loro spirito di cooperazione sopravvivevano e diventavano un popolo. Perivano invece quelle altre i cui membri, diffidando dei proprii simili, erano in perpetua guerriglia". "Ma nell'epoca presente, con la facilità di comunicazioni, le barriere geografiche hanno quasi perduto la loro ragione di essere e il grande incontro, che può tanto divenire una realtà vivente, che culminare in una catastrofe, non sarà un incontro di semplici individui, ma un incontro di razze diverse". Confondere il problema politico empirico col problema metafisico è naturale aberrazione per chi abbia dietro di sé l'eredità del bramanesimo. La religione indiana non è uscita dalla preistoria: corrisponde ancora alla ingenua immediatezza dello spirito infantile che respinge e sconsacra il mondo della molteplicità vivente, per esaurirsi in un vuoto che affermando un astratto ideale spirituale vi si nega. L'ascesi nasce dall'aver inteso la forma dello spirito come qualcosa di empiricamente concreto, come contenuto: nello sforzo di raggiungere il suo ideale, di essere pura forma, l'indiano si annulla per la stessa assurdità del suo misticismo. Il bramano è nel mondo della preistoria ma è coerente: nega la storia e riconosce solo l'umanità perché ha negato nella contemplazione la pratica. Tagore, nutrito di miserevoli catechismi socialisti, tolstoiano, europeo oltre che asiatico, vuol dalla preistoria trarre una posizione valida per la storia presente. Tagore ha una cultura scientifica. Tagore sa che nell'epoca presente è aumentata la facilità di comunicazioni. Per Tagore, professore indiano, come per il suo buon confratello, professore italiano, gli areoplani e le automobili risolvono il problema metafisico. Che cos'è la nazione? Una comunità di uomini che camminano a sei chilometri all'ora. Imparate a divorare due chilometri in un sol minuto e la nazione è distrutta per sempre ed esiste solo più l'umanità universale. Al nostro brav'uomo, poeta semi-fallito, il premio Nobel ha montato la testa: non par vero al suo semplicismo di immaginare i più bei piani di sociologia applicata. La nazione è indistruttibile come l'umanità, quando sia intesa come popolo-Stato; l'umanità è l'ideale illusorio, concreto solo come forma, lo Stato è la realtà, il solo contenuto possibile dell'umanità. Muoiono gli Stati travolti da un'umana dialettica che li trascende (la storia): resta lo Stato. E Stato vuol dire limite che crea le sue relazioni con altri limiti, forza che si esplica a contatto con altre forze: le razze diverse s'incontrano ogni giorno, ma sono ogni giorno in perpetua guerriglia. Unità è diversità, lotta e negazione, sacrificio e operosità. Solo a patto di questi contrasti l'umanità si svolge. L'ideale pacifista è uno degli sproni più vigorosi all'implacabile guerra. |