LA VITA REGIONALEIl problema dell'amministrazione a GenovaIl fuoco di fila delle riforme e degli "assalti" fascisti sta ora per cogliere in pieno anche le amministrazioni comunali e provinciali: non contenti del lungo e penetrante assedio (rovesciamento dei comuni, conquista dei comuni, dominio e signoria sui comuni non conquistati), i nuovi signori stanno per far crollare con l'ariete dei pieni poteri la vecchia legge comunale e provinciale, compiuta manifestazione di stile politico e legislativo giolittiano: dopo che alcuni "tratti di penna" hanno già profondamente trasformato la fisionomia di provincia e comuni, a vantaggio contingente di satrapie e di avidi dominatori, a duraturo svantaggio di una tradizione che si stava rinnovando quasi da sé. L'intransigenza fascista nella politica locale non poteva, dove le è stato concesso di svilupparsi, arrestare per vero il suo cammino alla prima fase di tumultuoso scardinamento delle amministrazioni socialiste e popolari, e di elezioni ad alta percentuale di elettori forzati. Fatti "sintomatici", come il 12% di votanti nelle elezioni provinciali di Venezia, o la compattezza persistente della minoranza socialista a Milano, invece di essere interpretati con una buona dose di senso critico, sono diventati lo stimolo a una estensione sistematica della "violenza" elettorale, e il movente di una successiva "violenza" amministrativa. E tutto questo sarebbe niente, se non si fosse poi avuta la pessima e definitiva esperienza delle amministrazioni fasciste, con i dissidii di Milano e gli scandali di Alessandria; se non fosse avvenuto l'assalto alle stesse amministrazioni filofasciste e liberali (Taurinum docet), colpevoli di otturar l'orizzonte delle bramosie locali e della "più grande" Italia. Al momento "eroico" della conquista municipale e provinciale é susseguito il momento "politico": vale a dire che, raffreddatosi il calore iniziale, son comparse le crepe, si son snodati gl'intrighi, e si é voluto anche quello che non era conquistato. La coscienza della inferiorità di questo movimento di fronte alla stessa affermazione socialista e popolare, e di tutti i pericoli di un naturale rovesciarsi della situazione per l'insorgente scetticismo degli amministrati, ha determinato infine il rimpasto delle circoscrizioni e la legge di fine novembre sulle amministrazioni comunali e provinciali, sulle opere pie, sugli enti tutti che ormai si chiameranno autarchici solo per una delle consuete ironie. L'ipertrofia degli aggruppamenti comunali, diretta a eliminare il predominio dei ceti medi liberali e democratici; l'accentramento dei poteri amministrativi e della stessa pubblica beneficenza; la semplificazione, a tutto vantaggio delle maggioranze consigliari, delle procedure di controllo civico sulle volontà municipali; la classificazione dei comuni a danno dei piccoli centri: tutto un sistema di provvedimenti per combattere, con una grossolana ombra di coerenza, non più le grosse fazioni avversarie, che si terranno a posto con mezzi demagogici, ma le classi dirigenti, che sfuggono ancora, o stanno di nuovo sfuggendo alla presa fascista. Esaminiamo, in luogo di una superflua discussione teorica, il problema amministrativo al saggio concreto di una situazione regionale: in Liguria. E prima di tutto rispetto a Genova, che costituisce un caso unico fra le città dell'alta Italia per la sua sostanziale sordità politica così al "radiosomaggismo" come al "radioso-ottobrismo", e più ancora a questo che a quello. A Genova il fascismo non ha potuto avanzare: non é valso il travasamento ne' suoi quadri delle folle operaie, con relativa elevazione a potenza dei metodi "sindacali", operatosi qui molto più facilmente che nella vicina Sampierdarena: non il multiforme frazionamento dei sindacati, non la sequela delle Sagre e tanto meno il suo nuovo quotidiano. Anche l'istante critico del contrasto Rocca-Lantini si é risolto in un "come prima, peggio di prima", anziché in una chiarificazione politica: il frutto della cosa é consistito soltanto in una rappresentazione tragicomica a beneficio dei curiosi. Ma pure in provincia ci sono stati, gli allori: e li ha trovati quel medesimo fascismo che a Genova rimane impacciato. Sí che nelle due Riviere, sopratutto a Spezia, Savona e Sestri si era sentito molto di più il vento socialcomunista; sí che nelle medesime Riviere ha potuto meglio esplicarsi la forma violenta della reazione e dell'assalto: ma non é che di questa forma mancasse la volontà anche nella "Superba". Bisogna dire che la "Superba" ha resistito, e in particolar modo con la sua amministrazione. Questa amministrazione andò al Comune, nel 1920, con la tipica bandiera di prevenzione dal socialismo di tutte le maggioranze liberali riuscite elette in quel torno: come un blocco di liberali, democratici e combattenti (questi ultimi occuparono, per l'urgenza del loro aiuto, la metà della lista), appoggiato praticamente anche dagli "autonomi" delle organizzazioni operaie. Ma frustrando le speranze reazionarie della destra liberale, il sindaco Ricci mostrò subito che questa era per lui una base di maggioranza, più che una base di programma: e si appoggiò sulla sinistra, formata in gran parte di giovani consiglieri portati dalla "Combattenti", che gli diede elementi di ottima volontà. Il fascismo non aveva e non ha che un rappresentante nel Consiglio, Lantini: e questo come combattente, non come fascista. Apparentemente, la politica dell'amministrazione ha attraversato due fasi: una di rigorismo liberale, con approvazione dei fascisti, contro la minoranza socialista, le organizzazioni dei dipendenti dal Comune, e le organizzazioni sindacali del porto; la seconda di rigorismo democratico, e di freddezza coi fascisti. Ma la realtà della sua storia é nell'opera tecnica da essa svolta, diretta al risanamento del Comune, abbastanza sgovernato dai clerico-liberali: opera di indirizzo socialdemocratico (forte tassazione dei contribuenti, febbrile espansione di lavori pubblici, assunzione e municipalizzazione di grandi imprese), ma condotta con grande probità ed energia, con economie "fino all'osso" fatte sul serio: e di ottimi risultati. La minoranza, divisa fra unitari e comunisti, si é, in sordina, riconciliata col sindaco: la destra, dopo aver tempestato contro l'aumento delle tasse, si é rassegnata al suo impero: ma é scoppiata invece la "crisi" coi fascisti, subito dopo i loro trionfi dell'estate e dell'autunno '22. La battaglia impegnata sul referendum per l'assunzione da parte del Comune dell'azienda dei gas, e per la definitiva municipalizzazione degli autobus, fu vinta da Ricci a grande maggioranza: ma col precipuo sostegno della piccola borghesia e dei socialisti. Era mancata un'opposizione di principio, veramente serena: i "liberali" l'avevano, si, proclamata, ma fu troppo evidente dietro a loro l'offensiva capitalistica; i fascisti volevano il si per gli autobus, perché i conducenti erano fascisti, e il no per il gas, in via di... principi. Inde irae: ma non più per i sacrosanti principi, bensì per lo smacco toccato ai fascisti, per la scoperta che soltanto poche centinaiee di votanti avevano seguito il loro precetto del si per un verso e del no per l'altro, per il dispetto di vedere i socialisti trionfanti. Il fascio accusa pubblicamente il Sindaco di "freddo cinismo", Lantini cominciò ad agitare lo spettro delle sue dimissioni; i "destri" che avevano augurato la caduta dell'amministrazione per un voto contrario della cittadinanza, gridarono allo scandalo. Ma il sindaco rimase al suo posto, spiegando ironicamente che con i socialisti non si era punto affiatato: e si venne alla solita "riconciliazione". Il "cinismo" continuò a tenere le redini del Comune, immutato. Senonché i fascisti, ormai fatti legione, non poterono perdonare a Ricci la loro sconfitta, e sopratutto la sua resistenza al filofascismo. Hanno continuato ad avversarlo in tutti i modi: frustrandogli il suo grande progetto di impresa portuaria, che pure era a tutto disgravio dello Stato, tenendo Genova in quarantena davanti alla crismatica grazia del Duce, non risparmiando nessuna circostanza per dar noia all'amministrazione (ancora due mesi fa, hanno gonfiato violentemente il dissidio fra l'assessore alla polizia urbana e il sindacato fascista dei conducenti di taxis). Ma non hanno potuto nemmeno tentare, non hanno avuto il coraggio di abbattere Ricci come hanno abbattuto Cattaneo: perché nessuno si sentiva di appoggiarli in questo, perché la cittadinanza é quasi tutta favorevole al sindaco, perché si sa benissimo che il Comune sta in forze e può avere una grande amministrazione moderna solo per le garanzie di serietà che danno i presenti amministratori. E non é detto che Ricci, o in genere la sua tendenza, sia per morire alle nuove elezioni. Certamente, Ricci é un "cinico", un tecnico che non vuol preoccuparsi altro che della tecnica; a Torino, a Milano, a Bologna sarebbe fuori di posto. Ma nel suo fondamentale disinteresse teoretico, nella sua intima indifferenza alle "squisitezze" della sensibilità politica, egli è "l'uomo" di Genova, e rispecchia a fondo la psiche di questa grande città senza proletariato panperista, senza americanismo, senza fascismo vero e proprio. Il dramma della sua sordità politica, della sua freddezza tecnica ha in questi anni un particolare significato: poiché definisce la serietà amministrativa, poiché dimostra il profondo valore dalle autonomie municipali, oggi conculcate. Un programma che si riassume in questa parola: amministrare, non può piacere ai nuovi Cesari: essi non vogliono che possa svilupparsi in tal forma, perché vi sentono la segreta ostilità al loro "barocco", vi intuiscono il divenire delle forze con cui dovranno fare i conti domani. La protesta non finisce qui bisogna mettere in conto al governo "nazionale" anche il rimpasto delle circoscrizioni liguri, comunali e provinciali. Quanto alle provinciali, l'erezione della Spezia a capoluogo di provincia poteva essere la sanzione di un vecchio e ragionevole movimento locale; ma quando si fosse fatta davvero la provincia di Lunigiana. Invece abbiamo veduto dar causa vinta agli onnipotenti "ras" di Massa e Carrara: la "provincia" della Spezia é riuscita un ridicolo aborto, presentato come un'offa alle ambizioni spezzine, come un premio per la sua condizione di piazzaforte marittima. Invece dell'istituzione di una organica unità regionale si é semplicemente raddoppiata la lustra dell'ammiragliato con la lustra della prefettura: anticipo di indennità per un eventuale bombardamento. Ma la questione gravita sullo strazio fatto della provincia di Porto Maurizio. All'opposto del casetto di Cavarzere, spartito fra tre comuni con tanta premura che una quarta frazione era rimasta fuori senza che si sapesse a chi doveva toccare, qui di 105 comuni se ne vogliono fare ventotto: e intanto si é cominciato a mettere insieme la famosa Imperia, con Porto Maurizio, Oneglia e non so quanti comunelli del contado. Lascio alle cronache l'allegra trovata di "Imperia pi" e "Imperia o", e tutta la sequela delle imprese fasciste. Ma importa rilevare l'assurdità delle arbitrarie fusioni, esclusivamente subordinate alla buona volontà (di far fortuna) di alcuni nuclei fascisti che non possono farsi strada da sé. La provincia di Porto Maurizio é una delle più anziane nella storia del nostro socialismo regionale: ma sotto l'egida di un marxismo campagnolo, conforme alle esigenze di una popolazione benestante, con proprietà largamente divisa, con larghe possibilità economiche: sulla base di un movimento democratico più che classista, e di bonarie aspirazioni morali. A prender rivalsa sulle vaste correnti di sinistra quando declinò il loro potere bastarono, qua e là, i partiti borghesi: socialisti e popolari tenevano la bilancia della situazione. Si capisce che di fascismo non era qui il caso di parlare, nemmeno sotto l'aspetto nazionalistico, per i grandi contatti economici e civili con la Francia. Ora si tratta di unità municipali stabilite fin dal regno di Sardegna, estremamente frazionate per evitare l'imbarazzo delle distanze, individuate ciascuna da specifici bisogni, sorrette da una modesta ma sicura coscienza civica, in un paese che non ha analfabeti. In provincia fa testo contro le fusioni l'esempio del comune di Ospedaletti e Coldirodi, dove le due frazioni, una rivierasca e l'altra montana, sono in perenne contesa: ma adesso la commedia delle alternative vittorie di ospedalesi e colrrodesi diventerà sistema e legge, dall'Arroscia alla Roja. E Comuni di cento o duecento abitanti, come il Sasso di Bordighera e Seborga, forti di una lunga tradizione storica, diventeranno lontane e isolate appendici di un centro indifferente, se non ostile: senza dubbio, non potranno più concedersi il lusso di avere un'amministrazione "sovversiva" di piccoli proprietari rurali e saggi mezzadri, di floricoltori e di vignaiuoli: senza dubbio, vedranno immiserite, o addirittura soppresse, le loro scuole - seminatrici di idee libertarie: e per disperazione si lascieranno, finalmente, "conquistare". Tutti poi, assorbiti e assorbenti, questi comuni entreranno nella quarta classe particolarmente raccomandata alla tutela prefettizia, o a quella del sottoprefetto, elevato a maggior dignità per facilitare le sue funzioni di sorveglianza locale. È vero che a Chiavari l'anno scorso il sottoprefetto fu aperto complice dei fascisti nella gloriosa impresa di deporre, con prigionia, il buon sindaco "popolare" Arata, che reggeva il comune da quasi trent'anni. Dopo di che, si poteva benissimo affidare ai sottoprefetti la Liguria, invece che ai sindaci: nessun sottoprefetto si chiamerà mai, certamente, Ricci o Arata. SANTINO CARAMELLA.
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