PETIZIONE AL SENATO
per il ripristino dei combattimenti di gladiatoriHo fatto depositare, nella segreteria del Senato del Regno, una petizione tendente ad ottenere: 1°) La modifica dell'art. 1628 del Codice Civile che vieta la locazione di opera per tempo ed impresa indeterminati. Questa locazione dovrebbe essere invece consentita, rispetto a speciali imprenditori patentati di spettacoli di arena, comprendenti tanto tutte le forme degli sports in uso quanto il ripristino dei combattimenti di gladiatori, fioriti nell'antica Roma; 2°) La modifica degli art. 145 e segg. del Codice Penale, relativi il sequestro di persona e ai maltrattamenti: e questo per consentire ai suddetti imprenditori tutta quella latitudine di poteri, necessaria per disciplinare gli individui arruolati, e renderli atti ed esperti al mestiere da essi prescelto; 3°) La modifica dell'art. 490 del Codice Penale, relativo agli atti contrari alla decenza pubblica: e questo per talune particolari esigenze degli spettacoli gladiatorii, su cui non mi indugio; 4°) La facoltà, riconosciuta dal Ministero della P. I., di concedere in affitto ruderi di anfiteatri o di altri monumenti romani, suscettibili di adattamento per gli eventuali spettacoli gladiatorii. Un mio progetto di legge, naturalmente schematico come si conviene ad un profano di ogni pratica legislativa, accompagna la petizione, in cui spiego le ragioni, che, secondo me, lo appoggiano, e impongono senz'altro una decisione legislativa in proposito. Riporto qui, senz'altro, i tratti essenziali della petizione stessa. La prima idea relativa all'obbietto della presente petizione, mi fu suggerita, nel settembre scorso da un discorso tenuto dal prefetto fascista di Cagliari, Generale Asclepio Gandolfo, in occasione della partenza per la Libia della 176ª; Legione Militi Volontari Libici, o Cacciatori-Guide di Sardegna. Il generale volle allora indirizzare ai militi un proclama, in cui li chiamava "anime forti su cui pesa il ritmo della vita usuale", li encomiava della loro prontezza ad accorrere all'appello del governo, e li ammoniva, concludendo, così: "Tutti gli occhi sono rivolti su di voi, come sui gladiatori nel circo". Il paragone, piantato là, con soldatesca rudezza, dal generale, dapprincipio - lo confesso -non mi quadrò: e, per residui dei miti democratici di cui, contro nostra voglia, siamo stati impestati, mi scandalizzai quasi, dell'epiteto di "gladiatori" conferito a dei difensori delle nostre Colonie. Senonché, la considerazione tutta speciale che ho per un prefetto fascista, mi indusse a maggiore ponderazione. Il generale aveva ben definito il fiore della generosa gioventù italiana; vi abbondano appunto le "anime forti su cui pesa il ritmo della vita usuale": per le quali, non sempre, gli arruolamenti nelle truppe coloniali sono possibili, e gli altri sfogatoi per una decorosa e peregrina forma di attività aperti. Che la frase del generale Gandolfo racchiudesse un presagio? L'altra parola di un maestroSettimane di dubbio. Tutti i vecchi clichés sulle barbarie dei combattimenti gladiatorii, tutte le declamazioni del filantropismo sedentario contrastavano l'affiorante convinzione seminata in me dalle parole del Generale. Raccoglievo indizii, discutevo ed interpretavo i desideri inespressi dalle folle, che accorrono alle sagre del regime. Fu proprio la osservazione ammalizzita di queste sagre, dei caroselli fatidici, delle gioiose adunate, quella che mi persuase. Da un lato, notavo negli accorsi alla fine della strenue giornate, un deplorevole avvaccamento generale, assolutamente simile a quello delle folle dei comizi bolscevichi, nei giorni nefandi per sempre scomparsi. Dall'altra, un'ansia, nei protagonisti, di escogitare sempre qualche nuovo espediente per allontanare quell'avvaccamento ed attirare la folla nel girone della passione dinamica e propulsiva: un desiderio di farsi vedere, ancora, terribili come leoni; sia pure come leoni che ne hanno abbastanza del deserto, e vogliono provare un po' di trionfi della ménagerie e le emozioni degli applausi. In questi miei bagni di folla, in questa comunione universale con la folla, io mi sono accorto che l'accento nuovo, inconfondibile, definitivo alle festività sagraiole può essere posto solo dal ritorno integrale alle tradizioni di Roma: arena e gladiatori. Il genio italiano questo attende, per potenziarsi in una sfida orgogliosa alla civiltà moderna. Si, la concupiscenza della esaltazione gladiatoria é primitiva nella psiche italiana, e non può derivare da un sistema di giustificazioni dottrinali. Per essa valgono le alte e chiare parole di un Maestro, Paolo Orano: "La sua scaturigine é primitiva quanto quella da cui rampollano l'atto religioso, l'atto eroico, la certezza passionale, il moto sentimentale, il fremito-simpatico e generativo, l'elemento primordiale che ha capacità di fecondazione e di moltiplicazione". La divina ebbrezza del sangueE valido argomento, in appoggio di questa mia convinzione, io traggo anche dal linguaggio patriottico corrente, e per vero, dei documenti più autorevoli e solenni. Da essi infatti é scomparsa quella deplorevole ipocrisia dei popoli dell'impero wisky and soda, secondo cui perfino l'offerta delle proprie membra alla patria dovrebbe essere annunciata con frasi involute e riservate. Invece, la genialissima maschilità e crudeltà della stirpe si esalta nella memoria delle mutilazioni sofferte sui campi di battaglia, e le esibisce al sole imperiale. Già D'annunzio, a Fiume, aveva dato l'esempio di questo dionisismo guerriero, squisitamente dinamico e mediterraneo: egli aveva detto ai suoi legionari: "Il sangue gronda e sfolgora. Le schegge aprono nella vostra pelle tante altre bocche rosse perché possiate più ridere ed esultare. C'è chi di voi é fasciato: e c'è chi lascia gocciolare il sangue per adornarsene". Su queste traccie di maschia eloquenza, tutti i superstiti della guerra hanno parlato senza puritaneggianti pruderies delle menomazioni subite dal loro corpo: e certo non c'è manifesto o discorso, in cui non troviamo frasi assai significative, come: "il marchio indelebile entro la nostra carne giovine", ovvero "l'offerta della nostra carne", ovvero "il sacrificio della carne", ovvero "l'umile carne dei fanti", e altre simili non numerabili. Un esame perspicace di questo linguaggio induce a credere, che si voglia con esso mettere in evidenza che i buoni cittadini devono sottoporsi ad una dedizione corporale verso lo Stato, mettere a sua disposizione i proprii muscoli e le proprie ossa, in una parola la propria carne, come, nella Città Antica, i cittadini facevano ardere sul piastrone arrossato del Moloch i muscoli, le ossa e la carne dei primogeniti, e infine, qualche volta, la propria, per ottenere la vittoria: oppure che i buoni cittadini devono abbandonare il loro corpo ai "Depositi Rifornimento Uomini", tale quale i gladiatori antichi lo affittavano agli imprenditori. Il commendatore Arangio Ruiz; presidente del Comitato direttivo della più grande Associazione di reduci, terminava, per esempio, nel giugno scorso il suo manifesto commemorativo della vittoria del Grappa, con queste parole: "I combattenti che han visto tutta la bellezza dello strazio roseo della carne, lanciata a gloria del cielo". Non essendo supponibile che un personaggio di questa dignità usi queste frasi, e in un simile documento, a fini rettorici e reclamistici, é d'uopo ammettere che egli abbia assistito allo spettacolo della guerra, come a un enorme ammazzamento ieratico o circense, donde egli è tornato leggermente inebriato dall'odore del sangue, o perfettamente convinto essere lo Stato una divinità solare, che tripudia quanto più sangue di guerrieri ventenni immolati le si versa dinanzi: ed essere la Patria desiderosa assai più che dell'illegittimo sentimento di dignità della creatura pensante, di materiale umano disponibile per essere lanciato a gloria del cielo, come in una grandiosa esibizione pirotecnica si fa con le girandole. Questa è, secondo me, la disposizione di spirito più propizia per apprezzare la completa reintegrazione dei ludi gladiatorii, intesi come sacrificio propiziatore offerto dalle generazioni rifiorenti della stirpe agli imminenti numi indigeti della Patria rigenerata. Le mutandine tricolorate del pugilatoreNé perdiamo di vista che l'istinto delle folle italiche é già corso a quella reintegrazione, attribuendo ai cimenti sportivi un sapore sacrificale, e concentrando sulle membra possenti di un pugilatore quegli identici sguardi, che, nel Circo, i nostri padri romani lanciavamo sul gladiatore favorito. Anche in altri paesi, e specialmente nella decadente Inghilterra, ai grandi incontri degli atleti assistono principi e uomini di Stato. Ma in Italia soltanto la partecipazione delle più alte cariche dello Stato a siffatti spettacoli assume carattere non semplicemente sportivo, ma cesareo: né é dubbio che Erminio Spalla, se il Duce lo inchiodasse sulla pedana con un'occhiata, non si rassegnerebbe a morire sotto i colpi di mazza di un avversario, come l'antico gladiatore soccombeva rassegnato fra le urla dell'anfiteatro. Questo significato, italianissimo, dei nostri incontri sportivi, é messo bene in rilievo da un aneddoto. All'incontro Spalla-Van der Veer assisteva la gentile consorte di un importante uomo politico, la quale, dal momento in cui i due atleti salirono sulla pedana e si denudarono, esibendo il loro ben di Dio, non deviò la mira del suo madreperlato binoccolo dalle mutandine attillate e succinte che cingevano le reni possenti e le coscie muscolose del campione italiano: e soltanto dopo lunga contemplazione, fece notare, vibrante, al marito che quelle mutandine erano orlate di un nastro tricolore, debitamente aggraziato e infiocchettato alla cintura: e, fiera, di questo particolare si compiaceva come di un augurio: che nulla era sfuggito alla sua passione di indagatrice! Ma proprio il caso di Spalla dà adito a considerazioni più generali. Per il prestigio dei pugno d'ItaliaOgnuno ricorda quali gravi rampogne rivolgessero i giornali fascisti a Erminio Spalla, quando egli non mise knock-out un suo avversario belga: e con che serietà gli facessero presenti le sue responsabilità verso lo Stato italiano, gli obblighi verso chi lo aveva pagato, con un premio attribuitogli mesi prima: e con quanta giusta severità gli fossero rinfacciate le troppe frequenti gite in automobile, e le debilitanti fatiche d'amore. Il nostro capo del Governo ha ordinato, in un memorabile telegramma, allo stesso Erminio Spalla di conquistare il campionato del mondo nell'Arte pugilistica. Ogni ordine implica la sicura prospettiva del premio o della sanzione punitiva: ora, se Erminio Spalla eseguisce l'ordine e conquista il campionato, il premio sarà certo sollecito, come lo fu per Bordino e Nazzaro: ma se egli vi si dimostra negligente, dovrà restare la parola del duce inadempiuta? I rimproveri postumi non giovano a tutelare il prestigio del pugno d'Italia: occorre ben altro. Occorre interpretare con un provvedimento legislativo gli umori delle giovani generazioni, tòrre di mezzo un decrepito articolo del Codice Civile, e promuovere l'arruolamento di giovani vigorosi, che si sottopongano a tutte le norme del Circo, e cedano volenterosamente la loro musculatura alle arti di un allenatore riconosciuto dallo Stato. Questi li regga con sapiente mano, ne regoli i pasti e le ore di esercizio, ne costringa i sonni su duri materassi di crine, ne sorvegli la castità, ne unga e polisca i corpi con massaggi sapienti, e infine li presenti a tutti i giochi olimpici più diversi, ch'essi dovranno affrontare con successo, pena la fustigazione. Soltanto con questi allenamenti di atleti, potranno gli ordini del Duce avere sempre l'efficacia richiesta dagli inderogabili interessi nazionali, e la sanzione punitiva sicura al pari del premio: ed é certo che Erminio Spalla, o qualunque altro ginnasiasta, posto a scegliere fra la croce di commendatore o le verghe, difenderebbe con accanimento i colori italiani. E le grida degli atleti battuti nelle palestre non commuoverebbero affatto i cittadini: anzi, si potrebbero far assistere alle fustigazioni dei negligenti e dei fiacchi i giovanetti delle pubbliche scuole, affinché si persuadessero del come lo Stato sia inesorabile verso chi non gli consacra tutta la midolla della propria energia. Un altro primato rapito alla FranciaQuesti umori, che oserei senz'altro chiamare squisitamente gladiatorii o circensi, compariscono per altro verso nella moda italiana, e nel suoi ultimi ritrovati, squisitamente latini. Come nella Città Antica, un soffio di sana e gagliarda bestialità pervade i nostri giovani più entusiasti, i quali, spregiando la pietrificata correttezza dei popoli putridi, cercano di mettere in valore, quanto più sia possibile, gli adornamenti della loro virilità; e, come i gladiatori antichi, cercano di sedurre brutalmente, maschiamente, le femmine entusiaste, specialmente nei giorni di sole e di sagre. Come altrimenti spiegabile l'uso invalso fra questa gioventù armata, di sfilare con le maniche rimboccate, e rabbattuta anche la camicia nera sul petto, in modo da mostrare la invidiata villosità? Quando essi, i giovani più prestanti, compariscono nelle nostre strade in siffatta uniforme, dicono d'essere in tenuta di combattimento: e le femmine generose li accompagnano con gli occhi facendo voti che tanta grazia di Dio non vada battuta: nello identico modo formulavano i loro voti le donne imperatorie dell'antica Roma, vedendo sfilarsi dinanzi gli intrepidi morituri. E come questi usavano, così i nostri giovani adottano l'artificio di lasciare che la loro capelliera cresca e si accrespi, e si infittisca come criniera. Sono venuti, si, gli accidiosi stranieri, e ne hanno sorriso: gli é che ad essi é precluso il senso di questa ultramirabile vitalità della stirpe, che in tutto prorompe, anche nelle criniere virili, come presagio dell'impero immancabile. Ludovico Nadeau, sull'Illustration, ha voluto documentare questa moda, squisitamente primaverile, con fotografie riprodotte a fini umoristici: volgare pennarolo, dimentico che il titolo di Gallia comata fu già ambito dalla sua nazione, e che Carlomagno fu chiamato "il ben chiomato sir". Ma che? Ormai é chiaro segno del destino che fino il primato sulle chiome debba l'Italia rapire alla Gallia: questa, maltusiana in tutto, conserverà solo l'Ondulation Marcel. In verità, il significato delle capelliere integre e sconvolte, é riposto, e ben più fatale al suo paese, di quanto il Nadeau non sospetti: esso rientra e si inquadra in quella sana esibizione dei doni del proprio corpo, che sembra un anticipo saporoso dei godimenti virili dell'Arena, e delle grandi sagre popolari del Circo. La scuola delle etère e il campo dei gladiatoriCerto, a diffondere questa esaltazione ufficiale della bellezza fisica, il cui scopo ultimo potrebbe essere quello di stabilire, a favore dello Stato, delle stazioni di monta di cittadini gagliardi, gioverà anche molto la riforma Gentile della scuola media: la quale riforma Gentile introduce nelle palestre per giovinette l'esercizio della boxe, rinnovando così felicemente i fasti delle fanciulle spartane che lottavano nude nello stadio. Anzi, queste innovazioni della riforma Gentile, e in particolare quella del liceo femminile, in cui alle figlie dei signori si insegna musica e danza, dimostrano che dei tempi nuovi v'è, in qualche mente responsabile, più che il presagio. Il Liceo femminile, come fu già accennato, ma con malevolenza da' soliti critici professionali si presenta con un vago carattere di scuola delle etère. In esso si coltiva, pare, la musica, la danza e il latino come mezzi che contribuiscono alla formazione della donna di fuoco e di fiamma, nevroticamente vibrante a tutte le commozioni sagraiole e patriottiche, educata per essere, più che madre, madrina di guerra. Queste virtuose dell'erotismo patriottico sapranno ridare alla vita degli uomini della nuova aristocrazia imperiale quella permanente tensione erotica, propria delle grandi culture mediterranee, che i barbari del nord non conoscono, scaricandosi essi bestialmente nelle due istituzioni del matrimonio o della prostituzione. È un acciecamento, é un delitto contro lo spirito bandire l'erotico dalla vita, come fa il puritanesimo inaridito di tutti i tempi e di tutti i paesi: l'erotico é il pernio di ogni attività umana. Ma certo, deve la donna sapere il suo mestiere, deve trattare l'erotico come un canovaccio, la cui trama appare soltanto, per offrire all'uomo l'occasione del ricamo; sotto la sua guida sapiente, la brama ingenua e tormentosa si cambi nella giostra di spirito e di cortesie. Ad ottenere donne siffattamente esperte mirano le scuole di etère che, oggi ancora, esistono negli imperi guerrieri dell'Asia, e, senza dubbio anche il liceo femminile istituito dal Ministro Gentile. La donna del popolo, appena capace di generare, attesti la fecondità della razza, figliando numerosi cafoni buoni per l'apprendimento della dottrinella e la leva militare: la donna dell'aristocrazia novissima cerchi di raggiungere il tipo della gran dama imperiale attraverso il Liceo femminile. Ebbene, il necessario completamento di questa alta scuola femminile, dovranno proprio essere i campi di istruzione e di allenamento dei gladiatori, come io li vagheggio. Circolari in vista.
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