LE GRANDI CONCENTRAZIONI INDUSTRIALI IN GERMANIA
Uno storico frettoloso, il quale si lasciasse guidare nei suoi giudizi da preconcetti teorici accettabilissimi ma altrettanto pericolosi nella loro generalizzazione, potrebbe essere facilmente indotto ad affermare che la guerra ha determinato un enorme acceleramento del movimento economico della Germania, provocando nella forma più intensa l'accentuarsi di tutti quei fenomeni, che sono considerati come le caratteristiche più schiette del grande capitalismo moderno. Assorbimento di imprese medie e minori da parte di imprese gigantesche; sindacati che regolano la produzione e la vendita per interi rami dell'industria; enormi concentrazioni verticali, per cui sotto una sola direzione o sotto un solo controllo si passa dall'estrazione del minerale alla fabbricazione del prodotto finito; dominio di potenti organismi finanziari sopra un numero infinito di industrie; son tutti fenomeni squisitamente capitalistici, che in nessun'epoca si erano manifestati in proporzioni così impressionanti, come in questi anni di crisi e di rovine. La tendenza a tutte queste forme di concentrazioni è indubbiamente anteriore alla guerra. Nell'industria come nel commercio la tendenza all'accentramento, al kolossal, si era manifestata imperiosa, specialmente dopo il 1900. Nel 1907, mentre si erano censite tre milioni e mezzo di imprese industriali, v'erano fra queste 255 case giganti, che da sole impiegavano un milione e mezzo di operai. La sola Casa Krupp contava 70 m. operai, i quali con gli impiegati e le famiglie facevano salire ad almeno 250.000 persone la popolazione dipendente da quella azienda. La Badische Anilin and Soda Fabrik, che nel 1855, aveva appena trenta operai, ne contava nel 1913 più di diecimila. L'Allgemeine Elektrizität Gesellschaft dava lavoro nelle sue officine di Berlino ad oltre 60.000 persone, ed aveva filiali in tutta la Germania ed in ogni parte del mondo. La sua rivale, la Siemens e Halske, aveva nello stesso anno un personale di 81 mila individui. Accanto a queste imprese gigantesche, risultatiti molte volte dalla fusione o dall'assorbimento di numerose imprese minori, che esercitano spesso industrie diverse integrantesi fra loro, si costituiscono potenti sindacati, che esercitano il loro controllo su centinaia di officine, mentre per la vendita, sopratutto all'estero, si costituiscono fra gli esercenti la stessa industria, numerosi e spesso colossali cartelli, che diventano i regolatori dei prezzi sul mercato intero ed influiscono sul mercato internazionale. Dopo gli Stati Uniti d'America nessun altro paese del mondo s'era spinto più avanti della Germania su questa via delle grandiose concentrazioni di capitali, e degli accordi, volontari o coatti, tra pochi gruppi di produttori. Ed a spingerla su questa via, oltre a ragioni tecniche, allo spirito di disciplina, all'amore per tutto ciò che è organizzazione e regolamentazione, concorrono in primissima linea due cause esterne: da un lato il protezionismo, che mantenuto in vita quando l'industria non ne ha più bisogno per conservare il mercato interno, permette la creazione, sotto varie forme, dei premi d'esportazione a spese del consumatore nazionale, a condizione però che si eviti la concorrenza tra le singole imprese e che si impedisca l'aumento illimitato della produzione, donde deriverebbe la necessità di abbassare i prezzi anche all'interno; dall'altro la dipendenza immediata delle industrie dai grandi istituti di credito mobiliare, che nello stretto collegamento delle imprese debitrici trovano un mezzo per assicurarsi il loro credito ed aumentare la propria influenza, diminuendo i rischi e le immobilizzazioni. Per cause diverse la guerra ha enormemente accelerato questo movimento verso la concentrazione. L'intervento diretto e sempre più esteso dello Stato in tutti i campi dell'economia, gli uffici statali per l'acquisto e la ripartizione delle materie prime, per l'assegnazione e la disciplina della mano d'opera, per la requisizione o gli acquisti di tutti i prodotti necessari all'esercito, la mobilitazione civile e così di seguito, sono andati creando una situazione sempre più favorevole al sorgere dei sindacati, che in molti casi sono anzi diventati obbligatori, in quantoché gli organi statali invece di avere rapporti con un numero infinito di produttori, di acquirenti, di fornitori, preferivano trattare con un unico ente che li rappresentasse tutti e provvedesse poi alla ulteriore distribuzione fra i suoi rappresentanti. Cessata la guerra non solo hanno perdurato molte delle cause che avevano agito in quel periodo, e prima fra esse la difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e la chiusura di quasi tutti i mercati, ma altre se ne aggiunsero che determinarono una spinta, anche più forte nello stesso senso: da un lato la classe operaia, costretta durante la guerra ad una durissima disciplina, aspira a rifarsi della compressione subita, ed il partito che la rappresenta, portato improvvisamente ad assumere la responsabilità del potere, per sottrarre le masse alla suggestione comunista, è costretto a progettare e tentare, in forma assai timida ed ibrida, i primi passi verso la socializzazione. D'altra parte elementi lontanissimi, per origini sociali e per idee, dal socialismo, come Rathenau ed il von Moellendorf, giungono per altre vie e per altri motivi a risultati non molto diversi. Abituati durante la guerra nella direzione degli uffici economici statali, a dare l'indirizzo (o ad illudere di darlo) alla produzione ed alla distribuzione, essi sono convinti in piena buona fede che non solo nel periodo di transazione, ma anche dopo il ritorno alle condizioni normali, non si debba rinunciare alla esperienza del tempo di guerra, non si debba permettere il trionfo anarchico dell'economia individualista coll'enormi dispersioni di ricchezza che ne derivano, ma si debba mantenere o creare una più razionale disciplina della economia o con la sostituzione di colossali sindacati per ramo d'industria, o di altrettanto gigantesche unioni raggruppanti i diversi rami d'industrie interdipendenti, in modo da sopprimere tutto il lavoro e tutte le spese inutili ed ingenti, che ora si sostengono per il collocamento della produzione, per l'acquisto delle materie prime e dei prodotti intermedi (Rathenau), oppure con la creazione di uffici statali o sindacali per il commercio esterno e per la disciplina dei singoli rami d'industria (von Moellendorf). Rimasti nel campo dei progetti avveniristici sia il programma massimo delle unioni del Rathenau, che quello delle grandi socializzazioni, le forme più timide di semisodalizzazione e di controllo, che si attuarono nel '19 e nel '20, ed i numerosi uffici mantenuti in vita o creati nello stesso tempo per disciplinare il commercio e la produzione, raggiunsero tutti lo stesso effetto di moltiplicare e rafforzare i sindacati ed i cartelli. Ma intanto il periodo di espansione, che in quei due amni attraversava l'economia mondiale, la progressiva apertura dei mercati alla produzione germanica e la rapida salita delle sue esportazioni determinano la caduta di una gran parte di quell'edificio ed un rapido ritorno al predominio della economia privata, non ancora libera, ma con decisa tendenza verso la libertà. Se però il prevalere di questa tendenza determina un primo declinare dei sindacati, in ciò che essi avevano di coattivo, si manifesta invece più forte che mai, ma con forme e con indirizzo mutato, la tendenza alle grandi concentrazioni industriali. È stato detto, con qualche esagerazione, che la Germania d'oggi, uscita dall'epoca dell'economia dei "cartelli", è entrata in quella dei trusts, sia nella forma delle grandi fusioni di società, sia in quella, che nel mondo tedesco degli affari si designa col nome di "Konzern", di accordi cioè fra gruppi d'imprese che esercitano vari rami di una stessa industria, oppure anche rami d'industrie diverse, ma tecnicamente ed economicamente collegate fra loro. A determinare questo nuovo indirizzo delle concentrazioni, di carattere prevalentemente verticale, hanno contribuito in misura assai alta il deprezzamento e sopratutto le continue e fortissime oscillazioni del marco, le quali hanno creato da un lato una difficoltà del tutto nuova nell'acquisto delle materie gregge o semilavorate, e dall'altra la possibilità di enormi e rapidissime accumulazioni di ricchezza in pochissime mani di speculatori più abili e più audaci. Poiché oggi la difficoltà massima dell'industria deriva dalle variazioni enormi dei prezzi tra il giorno in cui si acquistano i materiali e quello in cui si vendono i prodotti, si è cercato di eliminare una parte del rischio, riducendo quanto più è possibile la necessità degli acquisti col collegare fra loro tutti i vari gradi d'industrie che si possono completare fra loro. Sorsero così molti gruppi colossali, di alcuni dei quali - per quanto è possibile in una materia che in molti casi é tenuta gelosamente segreta - si è potuto studiare la composizione nella regione Westfalicorenana, in cui l'attività industriale tedesca raggiunge la sua massima intensità. In questa regione si è costituito al principio del 1921, fra industrie minerarie, metallurgiche ed elettriche, il trust più gigantesco che abbia mai avuto l'Europa: la Siemens-Rhein-Elbe-Schuckert-Union, alla quale appartengono la Gelsenkirchen Bergwerke A. G., la Deutsch-Luxemburgische Bergwerke und Hütten A. G., la Bochums Verein, La Siemens und Halschke, la Schuckert e C. Fra tutte queste imprese, ciascuna delle quali costituisce da sola un vero colosso, gestiscono 65 miniere di ferro, 26 miniere di carbone, 26 alti forni, 6 acciaierie, 3 acciaierie per acciai speciali, 3 fonderie di getti in acciaio, 21 forni da puddellatura, 24 laminatoi, numerosissimi e grandiosi impianti ed officine per materiali elettrici, e tutta una enorme organizzazione commerciale. Per comprendere anche meglio le proporzioni paurose di questo gigante basta osservare che, accanto ad esso, Krupp, il quale oltre alle officine ciclopiche di Essen ha legato a sé una quarantina di miniere, altre imprese siderurgiche ed officine meccaniche di ogni genere, sembra non certamente un pigmeo, ma un uomo di statura poco superiore alla media. Di proporzioni press'a poco uguali o leggermente inferiori a Krupp si contano nella stessa regione e sempre negli stessi rami d'industria altri tre o quattro trusts, a cui se ne aggiungono almeno altri sette un po' minori, ma sempre assai considerevoli. Nel periodo dunque in cui la perdita delle miniere di Lorena, le consegne di carbone all'Intesa, l'occupazione militare e la crisi monetaria dovevano dare, secondo l'opinione universalmente diffusa, un colpo mortale alla grande industria pesante germanica; appunto in questo momento sembra che questa industria sia diventata più potente che mai a giudicare almeno dalla grandiosità delle unioni, che ne hanno assunto il controllo. Secondo ogni verosimiglianza fra i due fatti, prosperità dell'industria e rapido sviluppo delle grandi concentrazioni capitalistiche, non v'è alcun rapporto. Ma la formazione e l'esistenza di quelle concentrazioni, sebbene non possa considerarsi come un indice di prosperità, è tuttavia una fatto di un'importanza capitale sia per le conseguenze politiche ed economiche ch'esso può avere, sia per il significato che gli si deve assegnare. Nel decadere progressivo di tutti i pubblici poteri, nell'immiserimento materiale e forse morale delle classi medie e inferiori assillate dalle più dure necessità quotidiane, i dirigenti, i grandi capitani di queste unioni, le quali controllano centinaia di officine e decine di migliaia di operai, che rappresentano una potenza finanziaria di primo ordine, in istretti rapporti col grande capitalismo internazionale, costituiscono oggi quel che vi è di più vivo e di più forte in Germania, qualche cosa di simile ai grandi feudatari, che vivono al di fuori e spesso al disopra dello Stato indebolito ed impotente, e che trattano coll'estero come sovrani indipendenti. E forse è da essi, e non dallo Stato germanico, che potrà venire la risoluzione, o l'avviamento alla risoluzione dell'annoso problema delle riparazioni. Ma, se non è una illusione del nostro ottimismo liberista, ci sembra che da questo inatteso rifiorire delle forme più caratteristiche del grande capitalismo accentratore in piena crisi economica e politica, si possa dedurre un altro insegnamento. L'obiezione più forte che si sia sempre mossa al liberismo è quella delle tendenze monopolistiche delle imprese maggiori che finiscono presto o tardi per distruggere i veri o presunti vantaggi della libera concorrenza: Nessuno infatti può contestare che, anche in tempi normali, non sussiste la minaccia della concentrazione delle imprese e della instaurazione di monopoli privati. Ma se ve ne fosse stato il bisogno, l'esempio odierno della Germania dimostra a luce meridiana che nessun terreno è tanto favorevole all'accentramento capitalistico, ai trusts monopolizzatori, al dominio della plutocrazia, quanto lo è quello dell'intervenzionismo statale, della regolamentazione della produzione e del commercio, delle semi-socializzazioni, dei tentativi di economia mista o di economia associata. GINO LUZZATTO.
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