GERMANIA SPECCHIO D'EUROPA
Si ripete comunemente, essere il problema tedesco il nodo centrale della situazione europea. La cosa é vera in un senso più profondo di quello in cui la intendono i più. Non si tratta soltanto del numero - 80, 70 milioni di Tedeschi -; né della posizione geografica - la Germania nel centro dell'Europa -; né della importanza economica diretta - materie prime del sottosuolo tedesco, sviluppo ed organizzazione delle industrie tedesche -. Il punto decisivo é che il dramma della Germania é quello stesso dell'Europa intera: la crisi della civiltà industriale, della civiltà capitalistica. La guerra mondiale, terminata colla disfatta tedesca, é stata la sconfitta di questa civiltà; il travaglio del dopoguerra, culminante nel disfacimento germanico, la crisi seguente alla sconfitta. Il primo periodo e il secondo si sostanziano nell'assalto ai pilastri della società capitalistica da parte del nazionalismo. Quando si dice che la sconfitta e la crisi germaniche rappresentano la sconfitta e la crisi della civiltà industriale, prodotte dal nazionalismo, non s'intende identificare in blocco, la Germania di ieri e di oggi, con quella civiltà, né i popoli suoi nemici, di ieri e di oggi col nazionalismo anticapitalistico. C'era e c'è un nazionalismo tedesco: e nell'orbita del mondo capitalistico rientrano in buona parte le forze antigermaniche. Mai, come in questo periodo storico di nazionalità pullulanti e di nazionalismo esasperato, le divisioni e i contrasti sono stati, nel profondo, internazionali. La guerra mondiale è stata, potenzialmente, una guerra civile; ed il suo se saputo e sanno, per la più chiara immediatezza degli effetti, Russia, Germania ed Italia. Quello, dunque, che si vuol dire é che la guerra e la sconfitta tedesca coincidono con l'arresto e la deviazione dell'industria tedesca dal suo sviluppo normale, fisiologico, e il disfacimento tedesco del dopoguerra con la crisi suprema di questo medesimo idustrialismo; e che con l'industrialismo tedesco é stato deviato, arrestato, cacciato in una crisi mortale l'industrialismo europeo. Si dice comunemente che l'espansione industriale, il superindustrialismo ha condotto la Germania alla guerra. Ma coloro che affermano questo dicono anche - e magari subito dopo - che la Germania avrebbe fatto la conquista economica del mondo se non avesse scatenato la guerra. La seconda affermazione distrugge la prima. Se si ammette - e l'ammissione risponde a verità - che nella pace, e per la pace, la Germania avrebbe potuto coronare l'edificio del suo industrialismo mondiale, già così avanzato, ne segue che la guerra - scatenata o no dalla Germania - è stata, per questo industrialismo, un colpo gravissimo; e non solo per esso, ma, come ognuno riconosce, per tutta l'economia europea. Lo sviluppo industriale tedesco voleva la pace, e non la guerra; e così quello dell'impero britannico, dell'Italia, della Russia. Il nazionalismo - tedesco e non tedesco - che ha scatenato la guerra, l'ha condotta jusqu'au bout, la prosegue nel dopo-guerra, trasformandola parzialmente in guerra civile, non é un prodotto fisiologico della civiltà capitalistica: é la sua degenerazione, il suo carcinoma. Questo processo degenerativo, questo cancro della civiltà contemporanea, si é abbarbicato, per infezione interna e corrosione esterna, sopratutto sul corpo tedesco; ma di là infetta e corrode l'Europa intera. Ecco perché il problema tedesco é il problema europeo. Anziché essere la proiezione politica della società capitalistica, il nazionalismo rappresenta uno stadio ideologico arretrato sullo sviluppo economico e sociale dell'era capitalistica. La civiltà capitalistica suppone l'individualismo e tende all'internazionalismo; essa non nega la nazione ed abbisogna dello Stato, ma l'una e l'altro sono per lei momenti ed elementi della vita universale, non valori unici e forme definitive. C'è, sappiamo bene, un capitalismo nazionalistico, protezionistico, statolatra; ma é capitalismo incipiente precapitalismo, o degenerazione parassitaria. Immaturità e degenerazione, tuttavia, punto rare, anzi largamente diffuse; i cui effetti si saldano con quelli di un altro fenomeno capitale: l'infantilismo politico delle classi produttive. La società capitalistica, cioè, non ha espresso ancora dal suo seno - almeno nell'Europa continentale - una classe politica corrispondente: e nel posto vuoto si é impiantato il nazionalismo piccolo borghese. In questa mancanza di sincronismo tra sviluppo economico e sviluppo politico, fra realtà sociale ed ideologia sta il segreto della guerra mondiale e del dopoguerra. Il sincronismo mancante in nessun popolo si vede meglio che nel popolo tedesco: Germania specchio d'Europa. L'immaturità politica germanica é un fatto generalmente constatato - dai tedeschi per i primi -, ed a cui giustamente si attribuisce una parte cospicua di responsabilità, nella sconfitta e nella crisi tedesca. Quello che si dice e si vede meno é che tale immaturità deriva in buona parte dalle dittature bismarckiana e guglielmina; e che essa non é se non la manifestazione più cospicua di un fenomeno europeo, la scarsa partecipazione delle classi costitutive della società alla vita pubblica, che é quanto dire, l'arretrato sviluppo della democrazia. Capitalismo nell'economia richiede democrazia nella politica: il fatto che il paese capitalisticamente più sviluppato d'Europa si sia trovato ad essere quello politicamente più arretrato doveva produrre ed ha prodotto uno squilibrio gravissimo, uno sconvolgimento profondo in tutta la vita europea. Pure, la Germania ha avuto qualche sentore dei postulati sociali e politici impliciti nella civiltà capitalistica. Socialmente, anzi, essa era alla testa dell'Europa; sotto la crosta del "militarismo prussiano", unica visibile ai piccoli borghesi d'Occidente, i tedeschi erano andati elaborando il mondo ideale del secolo XX: massima organizzazione del tecnicismo economico in e per un massimo di giustizia e di benessere sociali, di sviluppo e di libertà spirituali. In politica internazionale, essi vagheggiavano la Mitteleuropa, o addirittura gli Stati Uniti d'Europa, superamenti della nazione. Ma a quel magnifico edificio sociale mancava la base politica della democrazia; mentre questi conati internazionalistici erano profondamente infetti, essi stessi, di nazionalismo. Si spiega, pertanto, come l'Intesa, per tanti elementi arretrata rispetto alla Germania abbia potuto apparire, e parzialmente essere, campione di libertà e di progresso contro di lei. Ma con questo risultato: che le democrazie occidentali, anziché fondersi col mondo sociale ed economico tedesco in una forma superiore di vita europea, hanno sviluppato in sé i germi preesistenti della infezione nazionalistica, mentre quel mondo sociale ed economico é in sfacelo. Così la sconfitta tedesca ha portato l'involuzione e la decadenza europee. Unica vittoriosa, la Francia: la Francia agraria, dobbiam dire, e piccolo-borghese; poiché c'è anche una Francia sconfitta, quella industriale e bancaria, e al di là di essa, la Francia maestra all'Europa di politesse sociale, di chiarezza formale, di equilibrio intellettuale, di fraternità umana. LUIGI SALVATORELLI.
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