LA POLITICA SCOLASTICA
DEL FASCISMO

La scuola dei galantuomini

    I difensori ragionevoli della riforma Gentile (dicendo "riforma Gentile" intendiamo "riforma della scuola media", che é dell'opera del ministro fascista della P. I. la parte essenziale) quando, di fronte agli argomenti degli oppositori ragionevoli, devono pur riconoscere la realtà e la quantità dei danni che l'esecuzione di essa riforma ha recati alla scuola, si rivalgono poi sempre ricorrendo al grande argomento della "organicità" di essa riforma. Anche Benedetto Croce, nella già citata lettera al Giornale d'Italia, adduceva a difesa dell'opera del Gentile, come argomento principale, appunto questo: "mercé l'opera del Gentile si ha ora... un ordinamento saldo, razionale, coerente... il quale... é bene piantato, capace di svolgimento". Vogliamo vedere oggi in che cosa consista la saldezza e la coerenza dell'edificio scolastico or ora creato dal fascismo, e vogliamo precisare quale sia il concetto "razionale" da cui sono stati guidati i costruttori di tale edificio.

    Per quanto concerne la scuola media italiana, lo "stato di fatto", quale s'era venuto costituendo presso di noi dopo la legge Casati "in modo occasionale" e "sovente sotto lo stimolo di interessi che non erano né di educazione né di istruzione", era, insomma, il seguente: una scuola con latino preparatoria alla università (ginnasio-liceo) e una scuola senza latino o "tecnica", in parte "media" o preparatoria all'Università, in parte fine a se stessa e professionale. Caratteristica di questa seconda "branca" era l'esistenza di una scuola inferiore unica (l'antica tecnica), da cui si poteva accedere o alle sezioni professionali dell'istituto tecnico, o alla normale, o, mediante la sezione fisico-matematica dell'istituto teorico, all'Università.

    La scuola media italiana era, come del resto tutte le istituzioni di tutti gli stati, in "crisi": i mali di cui soffriva ora in Italia, come ieri in Francia, come duemila amni fa in Roma, eran parecchi: difetti di ordinamenti e di metodi, vizi di uomini, malanni di tempi. Naturalmente questi mali eran più gravi per la scuola di tipo teorico, più recente di origine, più povera di esperienza didattica, invasa dalla "gente nuova", più aderente e più soggetta alla realtà dei tempi o più buoni o meno buoni; difetto massimo di questa scuola, sorta con intendimenti di "realità" e di tecnicismo, era quello di aver via via smarrito gran parte del suo realismo e del suo tecnicismo per tornare al tipo della "scuola di coltura generale a prevalenza letteraria".





    Data la malattia della scuola media é naturale che ci fossero dell'inferma i medici e per l'infermità le ricette. Gran fervore di discussione intorno alla riforma della scuola media in Italia vi fu negli anni così tipicamente riformatori del principio del secolo (1902-1906): documenti più notevoli di quegli studi e di quelle discussioni gli atti dei congressi della Federazione degli insegnanti medi, il volume Galletti e Salvemini sulla Riforma della scuola media e i due volumi della Commissione Reale per detta riforma. In quelle discussioni s'eran delineate due correnti più importanti, con ciascuna un suo tipo di scuola media riformata: una corrente, che qui chiameremo Salveminiana, il cui postulato fondamentale era quello dell'esistenza di due tipi di scuola media: uno quello tradizionale del liceo-ginnasio classico, l'altro quello d'un ginnasio-liceo moderno e scientifico, avvianti entrambi, a pari diritto, all'Università; l'altra corrente, quella della Commissione Reale o anche della Minerva, la quale tendeva a risolvere il problema della scuola media con l'istituzione della famosa scuola unica inferiore senza latino, con ulteriori diramazioni in liceo classico, moderno, scientifico, corsi professionali ecc.

    Motivo comune ai due disegni era, fra gli altri, quello della necessità di creare, accanto alla scuola media vera e propria, una gran quantità e varietà di scuole "reali" e "tecniche". Preoccupazione costante dei "riformatori", particolarmente di quelli che facevan capo al Salvemini, era questa: che la riforma della scuola media era anche e sovratutto una questione finanziaria, e che "non si dovevan fare le nozze coi fichi secchi".

    Poi, a poco a poco, quell'ansia di riforme s'era quietata; volumi ed atti eran passati nelle biblioteche e negli archivi: altre questioni avevano attirato l'attenzione dei professori e degli studiosi, e adagio adagio s'era venuta formando l'opinione che il miglioramento della scuola media non si dovesse attendere dalla attuazione di questo o quel disegno, "coerente, saldo, razionale" di riforme, ma piuttosto dal miglioramento degli uomini: insegnanti, che si volevan più colti, scolari, che volevano più scelti; e sopratutto della tutela della scuola contro il pericolo che si vedeva sempre più incalzante, del suo "imburocratichimento", del suo trasformismo da scuola in "ufficio", da istituto di educazione in "amministrazione".





    Negli anni immediatamente antecedenti alla guerra e negli anni della guerra e in quelli del dopoguerra, questa terza corrente accennava a prevalere, almeno nel mondo della cultura superiore, e la questione della "riforma della scuola" s'era mutata in quell'altra, più vasta, più alta, della "libertà della scuola". Il primo tentativo - davvero serio, coerente, saldo - di rinnovare in questo senso la scuola italiana e di "indirizzarla al rinvigorimento del pensiero, del carattere e della cultura italiana"; fu quello fatto dal Croce con l'appoggio di Giolitti e di Don Sturzo, del quale tentativo il pregio sommo era quello di non proporre nessun vasto e "razionale" sistema di riforme, ma di operare empiricamente, alla liberale, sulla realtà, magari irrazionale, ma viva e concreta, della scuola italiana esistente.

    L'opera del Croce fu frustrata, più che dalla resistenza delle democrazie e delle "classi" professorali e studentesche, da errori di tattica del ministro e dallo scioglimento della camera deliberato nella primavera del'21 dal Giolitti: dopo di allora in Italia, per la ribellione delle classi dirigenti ai risultati delle elezioni del'21, non ci fu più né governo né azione legislatrice, finché venne la marcia su Roma, ed il governo fascista.

    Col fascismo al potere si chiude - o s'interrompe - il ciclo di esperienze di governo liberale, tentate da Nitti e da Giolitti, delle quali esperienze le più notevoli erano state quelle della proporzionale e della riforma Croce, e si torna ai "piani organici e razionali di riforme", al progettismo astratto e giacobino, del quale "riformismo progettista" uno dei documenti più insigni é appunto quello che si chiama "la riforma Gentile della scuola media".

    La quale riforma, se non ha tenuto conto, come s'è dimostrato, della vivente realtà scolastica italiana, e se non ha tenuto conto nemmeno delle condizioni finanziarie ed economiche dell'Italia del dopoguerra, più inadatte che mai ad esperienze di riforme vaste e radicali, tanto meno ha tenuto conto degli studi e delle discussioni avvenute sulla questione della riforma scolastica nell'ultimo ventennio. L'ideatore della riforma, abbandonato francamente l'indirizzo liberale ed empirico rappresentato dal Croce, é tornato, come s'è detto, all'indirizzo "riformistico" già prevalente nei primi anni del secolo, ma, trascurando tutti i piani di riforme organiche allora escogitati, ne ammanniva uno suo proprio, la cui idea centrale, e qui ne é la maggior singolarità, non é né filosofica, né nazionale, ma é propriamente sociale e regionalistica.





    Il sen. Gentile nell'ideare e nell'attirare la sua riforma dice di aver perseguito fra gli altri e sopra gli altri questo scopo: di ridurre il numero dei laureati, dei licenziati, degli abilitati, che la scuola del "vecchio regime" ogni anno metteva in circolazione. Anche la riforma Croce mirava espressamente a questo scopo; ma il Croce nell'attuare praticamente il suo proposito, tendeva a contrarre imparzialmente il numero di tutte le scuole di Stato, di qualunque tipo esse si fossero: anzi, avendo il Croce posto come criterio di questa soppressione il criterio della popolazione scolastica, ed essendo gli istituti scarsamente frequentati quasi tutti ginnasi e licei, all'atto pratico la scuola, più sacrificata da quella riforma veniva ad essere la scuola classica, cioè la scuola delle classi più agiate, cioè appunto il congegno essenziale della fabbrica governativa dei laureati; meno disturbate invece, o non disturbate affatto erano le altre scuole (tecniche, istituti, normali) protette contro la minacciata riduzione quantitativa appunto dalla loro, quasi sempre, esuberante popolazione scolastica, e frequentate, come ognuno sa, dai figli della minuta borghesia e del nostro proletariato più eletto.

    La riforma Gentile invece, generosissima, come abbiam dimostrato, verso la scuola classica, la scuola majorum gentium, è stata addirittura feroce contro la scuola della piccola e della povera gente. Per essa i ginnasi licei regi con cinque, tre, zero alunni per classe, situati a venti, dodici, sette chilometri di ferrovia da altre sedi di ginnasi-licei, sono stati rispettati o tutti o quasi tutti; per essa a città secondarie, dove era già di troppo un liceo classico, é stato regalato anche un liceo scientifico; per essa le classi e i corsi dei ginnasi licei sono stati, come s'è visto, complessivamente aumentati di numero così nelle grandi come nelle medie città; ma per essa riforma la scuola tecnica è stata privata del privilegio di dar accesso alle scuole medie superiori; per essa le normali sono state ridotte da 153 a 87; per essa sono stati ridotti di numero, di sezioni, di corsi e di classi gli istituiti tecnici, niente affatto numerosi in Italia, sebbene quasi tutti pletorici; per la riforma Gentile insomma, mentre i figli e le figlie dei galantuomini d'Italia hanno trovato posto, tutti o quasi, assai comodamente nelle scuole fatte per loro, i figli invece dei piccoli esercenti, dei contadini rinciviliti, degli operai più scelti, sono stati - a migliaia e migliaia - esclusi dalle scuole di stato, divenute d'un tratto - solo per loro, specialmente per loro - anguste ed inospitali. E per i superstiti figli di questi "artisti" e "maestri" e "cafoni", ostinati a voler frequentare la scuola governativa, lo Stato fascista ha foggiato una scuola, la quale fosse quanto più possibile uguale alla scuola dei "galantuomini", che avesse il latino come quella, la filosofia come quella, Plutarco come quella, Virgilio come quella, il signor Preside come quella, e che fosse così in grado di "umanizzare", di "ingentilire", di "galantuominizzare" anche i rozzi e selvatici figli dei cafoni.





    Sociale dunque la riforma Gentile più che politica: cioè rivolta a favorire più una classe che l'altra, anzi, in una classe, più una categoria che un'altra: e, se politica, non conservatrice né tantomeno aristocratica; ma piuttosto democratica, di quella particolar democrazia nazionalfascista, per cui si vuole di botto e a forza inalveare nel letto del nazionalismo, dell'idealismo e dello pseudo classicismo anche le correnti marginali del proletariato e della borghesia, togliendo per contro ogni diritto e ogni possibilità anche di vita spirituale autonoma, agli elementi o più umili o più renitenti di quel proletariato e di quella borghesia. E riforma, ho detto, più regionalistica che nazionale, perché l'idea di bandire una simile crociata scolastica contro quel tal ceto sociale, non poteva mai venire in mente ad un uomo del Nord o del centro d'Italia, dove la differenza fra la clientela della scuola media classica e quella della scuola media tecnico-professionale é, insomma, meno profonda e sensibile, e dove la necessità di una scuola media tecnico-professionale é più sentita, ma poteva nascere solamente nella testa di un uomo del mezzodì, per cui l'unica scuola che meriti il nome di scuola é il ginnasio-liceo, la scuola per galantuomini, mentre tutte le altre scuole medie, tecniche, magistrali, ecc., non sono che importazioni estere, superfetazioni non rispondenti alle esigenze sociali ed economiche e spirituali di quei paesi, convegni di scugnizzi e di picciotti ribaldi e screanzati, non istituti di istruzione.

    Ma la questione impostata come l'ha impostata il sen. Gentile é male impostata, e, quindi, peggio risolta. Anzitutto é - con licenza - ingenuo credere che la crisi della sovrapproduzione dei laureati, diplomati, ecc. la si possa risolvere con una riforma scolastica. Ci sono in Italia troppi avvocati, troppi ingegneri, troppi ragionieri: é verissimo, ma ci sono anche in Italia troppe modiste, troppi fruttivendoli, troppi bar, troppi macellai, e così via; e quest'altra crisi di sovrapproduzione, non meno grave di quell'altra, nessuno pensa sul serio di risolverla p. es.: con una sospensione di concessioni d'esercizio: questa crisi la si potrà risolvere solamente con favorire l'incremento delle industrie, dei commerci, dell'agricoltura, la si potrà risolvere solamente con l'arricchire l'Italia. E non é a credere che per la crisi degli ingegneri e dei ragionieri il rimedio sia diverso.





    C'era, se mai, un modo di sfollare un poco le scuole medie ed università, riducendo il numero degli aspiranti ai diplomi, e questo era quello di stabilire con legge che per adire agli impieghi pubblici non occorresse né laurea, né diploma, né licenza, ma bastasse l'esame orale e scritto di ammissione; ma invece, proprio ieri l'altro, nel Regio Decreto 11 Novembre l923, n. 2395, sull'ordinamento gerarchico dell'Amministrazione dello Stato, all'art. l6, é stato di nuovo solennemente posto il principio che "per l'ammissione agli impieghi é richiesto o il diploma, o la laurea, o il titolo equipollente, o la licenza d'istituto medio di secondo grado, o quella di scuola media inferiore, o alcuno dei corrispondenti diplomi a termini del decreto 6 Maggio 1923, cioè della legge Gentile sulla riforma della scuola media.

    In secondo luogo, il sen. Gentile non ha tenuto presente che tutta l'Italia non é mezzodì, e che tutto il mezzodì non é... Castelvetrano: all'atto pratico é successo che la piccola borghesia milanese e lombarda, seguita tosto da quella del resto d'Italia, é insorta contro la "serrata" delle sue scuole, e, a poco a poco, questa parte della riforma é stata limata e corrosa e sgretolata: oggi era la conservazione sino a consumazione delle magistrali "soppresse", domani era la concessione d'un secondo istituto tecnico a Milano, d'un istituto tecnico a Lodi o a Legnano, domani l'altro erano i decreti per cui si mettevan fuori i corsi paralleli aggiunti per istituti tecnici primi tenuti in serbo; finché venne, con l'estensione del corso popolare fino alla ottava e con la concessione dei corsi integratori alle complementari, la reintegrazione vera e propria dell'antica tecnica nella sua funzione e dignità di scuola unica preparatoria ai corsi medi superiori. In appresso i figli dei "cafoni", insieme con i loro insegnanti, provvederanno loro a far giustizia anche del latino, altro ostacolo che il sen. Gentile aveva loro buttato fra le gambe per impedirli nel loro fatale andare verso il "titolo".

    E così nella lotta ingaggiata in margine al fascismo fra il ministro siciliano e la minuta borghesia del Nord, chi avrà vinto in definitiva, sarà quest'ultima, e chi sarà stato svalutato come uomo politico, come "realizzatore", sarà in ultima istanza il sen. Gentile.

    In questa lotta noialtri, che pure vedevamo di buon occhio la "chiusura dei ruoli" nella scuola media di Stato, non abbiamo potuto sostenere il Gentile, anzitutto per quella tale pregiudiziale liberale, e poi perché la "serrata" noi la volevamo di tutte le scuole medie e non di una piuttosto che d'un'altra; e in ogni caso, secondo noi, se riguardi si dovevano usare, questi dovevano esser riserbati piuttosto per la scuola che serviva alla povera gente che non per quella frequentata dai ricchi, piuttosto per la scuola tecnica e moderna che non per la scuola disinteressata e classica.





    Ma anche per altre ragioni noi siamo profondamente ostili alla riforma Gentile. Per noi, che in fondo siamo i soli autentici "militaristi" in Italia, vi devono essere nel nostro, come negli altri paesi, tre tipi di scuole: la scuola per soldati, che è la elementare popolare, la scuola per ufficiali, che é la media e la universitaria, e la scuola per sottufficiali, che é la media tecnica e professionale: cercare ora quale sia delle tre scuole la più importante é inutile: certo si é che la terza, quella per sottufficiali, quella tecnico-professionale, quella per la minuta borghesia e per il proletariato scelto, non é, nell'Italia odierna, la scuola che meriti la minore attenzione: la crisi di Caporetto é stata anche, se non specialmente, la crisi dei graduati di truppa e dei sergenti; la stabilità della nostra vita sociale ed economica é raccomandata specialmente alla costruzione ed educazione di una buona categoria di sottufficiali civili, maestri, esperti di aziende industriali e agricole; capi operai, operai qualificati, impiegati d'ordine, ecc.; l'antica scuola tecnica, le sezioni professionali dell'istituto tecnico, la scuola normale dovevano servire appunto a formare questi sergenti e questi caporali: se queste scuole non assolvevano bene il compito per cui erano state create dal legislatore liberale circa 70 anni fa, questo era dovuto al fatto che tali scuole avevano visto obliterarsi il loro carattere tecnico e professionale, e col prevalere della "coltura generale" eran divenute delle copie, delle brutte copie, della scuola umanistica disinteressata; riformarle voleva dire ricondurle ai loro fini primitivi rimettere allo scoperto il loro carattere professionale, differenziarle dalla scuola di coltura; la riforma Gentile ha fatto tutto l'opposto: la riforma "squisitamente fascista" anche qui ha accelerato e portato alle ultime sue conseguenze il processo già iniziato negli anni antecedenti, ed ha definitivamente e completamente assimilato la scuola media tecnico-professionale alla scuola classica disinteressata; cioè ha soppresso, in definitiva, la scuola per caporali e per sottufficiali; per questi graduati di truppa e per questi sergenti, dopo la riforma Gentile, non dovrebbe restare altra alternativa che di retrocedere a soldati semplici o di salire a ufficiali: il mezzodì, che non dà sottufficiali o ne dà pochissimi, potrà forse accontentarsi di ciò; il Nord d'Italia non può accontentarsene e non se ne accontentata di fatto.

    Ancora una e poi ho finito.

    Noi, che, con tutta la nostra democrazia, siamo forse i soli autentici aristocratici che ancora girino per l'Italia, siamo offesi dalla riforma della "scuola per galantuomini", perché per essa viene divulgato, viene "democratizzato" quello che formava per noi la quintessenza della scuola aristocratica, cioè l'insegnamento del latino.





    Per noi già troppa gente in Italia, prima del'22, studiava latino che non era degna di tanto onore, il fascismo ha aumentato di 12 x 5 volte il numero di questi aspiranti, più o meno coatti, alla nobiltà del qui-quae-quod, con il che non si é rannobilita la scuola dei ragionieri ma sibbene si é raumiliata a la scuola dei dottori. Può darsi che ai maestri elementari smaniosi di far carriera piaccia di essere nominati dottori in entrambe leggi: noi, nelle cui case sempre "sono stati molti letterati" troviamo la cosa di assai cattivo gusto e ci pare che in questo rinnovato medioevo sia tornato al mondo il marchese di Mombaldone che conferiva patenti anche... anche al somiero del suo mugnaio.

    E noi che, con tutto il nostro classicismo, siamo dei pochi uomini moderni sperduti per questa vetustissima Italia, siano ancora dolenti che la novella "scuola per galantuomini" abbia spazzato via anche - guardate un po' dove posiamo le nostre tenerezze - anche la sezione fisico-matematica dell'istituto tecnico. La bontà o meno di una scuola é tutta una cosa di didattici; e la didattica é tutta una questione di tradizione e di esperienza: la scuola classica é da noi e in Francia superiore alla scuola moderna e scientifica specialmente perché ha al proprio attivo una tradizione didattica non secolare ma millenaria; però in questo secolo e mezzo in Europa, in questo cinquantennio in Italia, anche la scuola scientifica e moderna si veniva creando a poco a poco, per tentativi e per esperienze, una sua tradizione didattica, della quale anche in Italia già si avevan notevoli documenti in libri, studi, testi, ben noti a tutti gli studiosi di queste materie; a poco a poco anche da noi veniva sorgendo e assodandosi, accanto alla bimillenaria scuola classica, una scuola media a base di scienze e di lingue moderne, la quale era pure la schietta e genuina rappresentante di quella non disprezzabile civiltà che, incominciata, se si vuole, con Galilei, non aveva ancora finito, se Dio vuole, di portare i suoi frutti, e non aveva ancora detto la sua ultima parola.

    In Italia, paese malato di tabe umanistica e accademica, questa scuola media poteva riuscire, per la creazione di nuovi ceti tecnici, preziosissimi; occorreva anche qui aiutare questa scuola ad acquistare ed a consentire una propria fisionimia, occorreva favorirla con liberalità ed amore, accreditarla presso l'opinione pubblica, arricchirla di mezzi e di uomini.

    La riforma Gentile, facendo sparire la sezione fisico-matematica degli istituti tecnici, ha schiantato dalle sue non tenacissime radici la pianta novella di questa scuola moderna; il fascismo nella sua inettitudine a capire quanto è moderno, scientifico, industriale, "capitalistico", ha fatto piazza pulita di quella che doveva essere nell'avvenire la scuola specifica dei capitani d'industria e dei tecnici di stile, e vi ha posto invece un doppione del liceo classico, a cui per ironia, ha posto il nome di scientifico, "lucus a non lucendo".

    Anche per questa ragione, noi che siamo i soli veri amici del capitalismo e dell'alto tecnicismo, ci dichiariamo ancora una volta della riforma Gentile decisi nemici, augurandoci che venga ridotta, nel più breve tempo possibile, con l'aiuto del terzo, del quarto e del quinto stato, ad un ricordo e ad un capitolo di storia della scuola italiana.

AUGUSTO MONTI.