Lettere dall'Inghilterra
LE ELEZIONI INGLESILondra, 9 dicembre. Le elezioni inglesi del 1922 segnarono su quelle del 1918 un progresso nel senso che volevano dire la fine del coalizionismo reso necessario dalla guerra e protratto oltre il periodo in cui poteva parer giustificabile e il ritorno alla distinzione normale dei partiti; ma erano più l'eliminazione dei coalizionismo che non questo ritorno. Il corpo elettorale desiderava anzitutto una cosa negativa, la tranquillità, e a quest'uopo diede una maggioranza di 80 seggi ai conservatori guidati dal Bonar Law, il quale si impegnò a non introdurre fondamentali mutamenti nel regime fiscale senza un altro appello al paese. Fu in seguito a questo impegno che Bonar Law ebbe l'appoggio morale pur di un ex-Cancelliere liberale e liberista dello Scacchiere, il Mac Kenna; e questa soluzione fu preferita ad altra pur da liberali come Lord Grey. Un governo di tranquillità non era possibile con una maggioranza conservatrice; i liberali erano scissi, i laburisti agitavano lo spauracchio della leva sul capitale; i conservatori erano il solo partito di governo possibile. E non vi é dubbio che un simile parlamento avrebbe potuto durare ancora due o tre anni; nessuno desiderava a così breve scadenza nuove elezioni; Baldwin, successo a Bonar Law ritiratosi per motivi di salute, non ebbe un solo voto di sfiducia. Ma Baldwin era un uomo di nessun intuito delle situazioni, che presto si lasciò dominare dall'elemento estremo, ultraprotezionista e militarista del Gabinetto; il quale elemento credette che si potesse sfruttare la Conferenza imperiale e la situazione interna per ottenere un voto capace di autorizzare un ritorno al protezionismo. Non aveva il Bonar Law anni sono detto che due inverni di disoccupazione sarebbero basati a rendere irresistibile la conversione del paese al protezionismo? E non si era ora di fronte al quarto inverno di disoccupazione? E per di più, non erano i liberali scissi tra Asquitiani e Lloyd-georgiani? Non erano i liberali e i laburisti più che mai ostili gli uni agli altri? Non era la massima parte del nuovo corpo elettorale completamente all'oscuro in materia di questioni fiscali? Chi non avrebbe abboccato all'idea che la protezione, con l'escludere la merce estera, avrebbe dato lavoro a tutti? Chi non avrebbe preferito, alla peggio, il protezionismo alla leva del capitale e al socialismo? Non sarebbe bastato un immediato appello al paese, con appena il termine legale di tre settimane di propaganda, affatto insufficiente per la catechizzazione liberista dei nuovi elettori di fronte a un programma tariffista a bella posta formulato in termini incerti e nebulosi, per carpire la necessaria maggioranza in seggi, pur se non la necessaria maggioranza di voti? Ecco le considerazioni che un po' alla volta, nonostante deboli resistenze di colleghi e di altri capi del partito conservatore, finirono con l'indurre il Baldwin a non attendere nemmeno il nuovo anno e a provocare le elezioni del 6 dicembre; elezioni fino a poche settimane prima ritenute impossibili da tutti, certo non desiderate dalle opposizioni; elezioni che ebbero per unico scopo l'ottenere dal paese un verdetto, sotto forma di adeguata pur se ridotta maggioranza conservatrice, che esonerasse il Governo dall'impegno di Bonar Law e l'autorizzasse a introdurre un bilancio protezionista. Le elezioni del 6 dicembre vanno quindi, senza possibilità di contestazione veruna, considerate essenzialmente come un referendum se il problema della disoccupazione dovesse o no risolversi con un ritorno al protezionismo. E in questo sta il carattere differenziale delle elezioni del 1923 in confronto di quelle del 1922: i partiti erano già distinti; ora si é già tornati anche alla tradizione degli appelli al paese su una o due questioni ben determinate. Senonché lo stato d'animo del pubblico, per quel che se ne poteva giudicare, rimaneva quello del 1922; il paese continuava a desiderare essenzialmente tranquillità; e quindi si sentì subito che la decisione ministeriale andava contro questa aspirazione col risollevare una delle questioni più controverse; il mondo degli affari si rivelò tosto perturbatissimo; da tutte le parti cominciò a sollevarsi un'onda di protesta contro l'idea di tassare il cibo per accentuare la preferenza ai prodotti dei Dominions; Baldwin dovette tosto impegnarsi a far eccezione per il grano, la carne, le uova, il burro, il formaggio e così riduceva a ben poco le promesse di preferenza, che non potevano essere sostanziali che se si escludevano la carne e il grano estero. E d'altra parte col far queste eccezioni egli scontentava anche i produttori di grano inglesi e anche più allarmava le industrie di esportazione, che si servono di molti manufatti esteri importati come di loro materie prime. E ad Asquith non era difficile il mettere subito il dito sul sofisma di curar la disoccupazione col protezionismo; il 90 per cento dei disoccupati appartiene ad industrie che sono in crisi perché il consumatore estero non può comprare; la protezione accrescerebbe ulteriormente la disoccupazione in queste industrie. Il lagnarsi dell'importazione e della concorrenza estera era ridicolo: nel 1913, anno di massima importazione, la disoccupazione fu appena del due per cento; e dal 1913 ai 1922, nonostante la crisi mondiale, la quota parte del commercio inglese nel commercio mondiale si era elevata dal 13 al 17 per cento. Dunque la diagnosi protezionista era erronea; dopo la guerra il libero scambio era non meno ma più necessario alla Gran Bretagna. Con questo discorso di Asquith a Dewsbury la lotta era ineluttabilmente vinta. Frattanto Lloyd George arrivava dall'America e la scissione tra i liberali spariva per incanto. A Glasgow e a Londra vari giornali conservatori si pronunciavano pel libero scambio; altri criticavano Baldwin perché aveva di fatto, con le concessioni summenzionate, ridotta a zero la preferenza imperiale; altri chiedevano che ci s'impegnasse a non proporre un bilancio protezionista senza sottoporlo al referendum. In breve: la protezione creò il caos nel campo conservatore; e subito apparve prevalente il prognostico che il Governo non avrebbe ottenuta una maggioranza sufficiente per la rivoluzione fiscale o che non ne avrebbe avuta affatto; che con ogni probabilità non si sarebbe avuto nel nuovo Parlamento alcun partito in maggioranza assoluta, indipendente, di governo, e che tra pochi mesi si sarebbe dovuto di bel nuovo appellarsi al paese. Il risultato delle elezioni ha più che confermano questi prognostici nel senso che andò di gran lunga più in là d'ogni ottimistica profezia. Il Ministero che aveva 80 seggi di maggioranza ne uscì in minoranza di 98 e con 7 dei suoi membri trombati. Lasciamo parlare le cifre:
Sommando i voti liberali e laburisti si ha l'ammontare del voto antiprotezionista, cioè 8.599.000, ossia una minoranza assoluta di 3.240.000 voti; maggioranza anche più eloquentemente commentata dal fatto che solo in 26 collegi si ebbero maggioranze protezioniste assolute. D'altra parte sommando i voti liberali e conservatori si ha l'ammontare del voto avverso alla leva sul capitale propugnata dai laburisti; ossia 9.610.000, cioè una maggioranza assoluta di 5.262.000. Il verdetto elettorale é quindi una condanna ad un tempo del tariffismo e della panacea laburista e di questa anche più di quello. Se si esaminano i seggi parlamentari toccati ai vari partiti, la risultanza é poco diversa e dovuta interamente al fatto che l'assenza nell'attuale legge elettorale inglese del voto preferenziale o della rappresentanza proporzionale ha permesso che vi fossero circa 250 elezioni con tre candidati, in moltissimi dei quali é riuscito eletto un candidato che rappresenta solo una minoranza dei votanti. Composizione del nuovo Parlamento.
Queste cifre non sono rigorosamente definitive, ma non possono essere sostanzialmente modificate nella loro portata dai risultati ancor non giunti. Esse sono importanti perché mostrano che da ogni riforma della legge elettorale in senso più razionale che si introduca prima delle nuove elezioni i liberali sono i destinati a trarre maggior vantaggio. Nelle attuali elezioni essi hanno indubbiamente sofferto, di fronte ai conservatori propugnanti la protezione e di fronte ai laburisti propugnanti la leva sul capitale, dello svantaggio di cui soffre un medico onesto che raccomanda di stare a dieta di fronte a due ciarlatani che proclamano di avere la ricetta per tutti i mali. Il combattere le illusioni protezioniste e socialiste, l'esporre cioè i difetti di sistemi di cui sono a prima vista visibili solo i vantaggi immediati é opera molto più difficile e meno rimunerativa che il criticare il libero scambio, che non pretende d'essere il rimedio per tutti i mali, ma solo di essere migliore e meno doloroso per la società, alla lunga, che le altre due ricette. Queste cifre dicono chiaro che il paese ha detto che la soluzione del problema della disoccupazione non può né deve essere cercato in qualsiasi varietà di protezionismo - reciprocità, preferenza imperiale, protezione del mercato interno, ecc. - e nemmeno in alcuna leva del capitale, ma in altre direttive, che sono quelle che i liberali e i laburisti hanno in comune in questioni interne e in quelle che hanno in comune in questioni estere anche coi più intelligenti e moderni tra i conservatori. Essi dicono che l'attuale vittoria liberista é anche più decisiva di quelle del 1906 e del 1910 perché gli aumenti in voti e in seggi dei laburisti, col dimostrare che v'è una gran parte del paese che ha non paura della leva sul capitale, per quanto remota e problematica, ma del pericolo tariffista, mostrano anche che il talismano tariffista ha cessato di posseder la virtù di scongiurare il pericolo laburista ed anzi direttamente lo provoca. Ma, le cifre da noi riportate richiamano la nostra attenzione anche su di un altro aspetto del verdetto elettorale: per la prima volta nella storia parlamentare inglese non c'è un solo partito che possegga una maggioranza indipendente di governo, ognuno dei tre partiti, incluso il conservatore che resta il più forte, non potrebbe comporre un Gabinetto che se certo almeno dell'appoggio di uno degli altri due; e nondimeno nessuno vuole una coalizione, ossia la partecipazione di uomini suoi a un Gabinetto in cui entrino uomini di altro partito. Il recente coalizionismo irrita ancora le narici di tutti; si sente che prestarsi al coalizionismo è commettere suicidio; chi più saprà resistere alla tentazione e più saprà aspettare trionferà degli altri. Eppure occorre bene che qualcuno governi, riformi la legge elettorale, faccia approvare il bilancio e indica, forse in giugno o luglio, le nuove elezioni. Le cifre date dei seggi che aspetterebbero ad ogni partito in regime di rappresentanza proporzionale mostrano che anche con questo regime il problema del come evitare una coalizione rimarrebbe tale e quale. Il classico dualismo dei partiti ha, almeno per un buon pezzo, ceduto il posto al triadismo; non é solo la legge elettorale che va modificata; va modificato pure il concetto dei rapporti ed obblighi reciproci tra Governo ed opposizione. Intanto una cosa é certa: con la eliminazione del protezionismo dal programma del partito conservatore e con la sconfitta degli elementi di questo che impedivano a Lord Curzon di assumere di fronte alla Francia un atteggiamento più risoluto, la politica estera inglese, pur se fino alle future elezioni in mano ai conservatori, sarà anche più di prima intesa a fare della Lega delle Nazioni e delle idee di cui questa é simbolo, il perno delle proprie operazioni in Europa. Poincaré e i suoi imitatori continentali devono prepararsi ad avere ossa più dure da rodere. E ciò sarà anche più vero nell'ipotesi d'un Governo liberale specie se tacitamente appoggiato dai laburisti e sopratutto se, come tutto fa prevedere probabilissimo, esso avesse a vincere le future elezioni. Ora che il pericolo tariffista é eliminato per una generazione almeno, il problema delle prossime elezioni sarà quello di spacciare il partito laburista trovando una alternativa al suo feticcio della leva sul capitale. Tale alternativa non può non essere costosa, non può venire dai conservatori alle cui spese dovrà farsi; non potrà venire che dai liberali, che sono in Inghilterra i più dotati di genialità finanziaria. Se essi avessero a proporre un bilancio, che fosse la sola alternativa, anche pei conservatori, all'avvento al potere dei laburisti, essi avrebbero ogni probabilità di ridiventare il partito più forte. I laburisti hanno fatto il loro massimo sforzo; moltissimi tra i loro guadagni sono dovuti, come si accennò, all'imperfetta legge elettorale; molti sono dovuti al fascino che sempre esercita un partito che ancor non sa le responsabilità, le tentazioni e le perversioni che vengono dal potere. Il loro partito é poverissimo di capacità di governo; sarebbe facilmente alle prese con la burocrazia di cui sarebbe facilmente la vittima; sarebbe il più timido e paralitico dei partiti al governo; oscillerebbe tra una timidezza è l'impulsività e prestissimo si rivelerebbe una coalizione di elementi eterogenei che al primo urto con gravi problemi si sfascerebbe in vari gruppi trascinando nella sua crisi il governo emerso dal suo seno. Un paese come l'Inghilterra, cui é essenziale un grande commercio di esportazione; cui é essenziale la più vigorosa ed elastica iniziativa privata; cui é essenziale il massimo credito nella sua vita commerciale e finanziaria, non potrebbe tollerare a lungo un governo di laburisti, a meno che in pratica sapesse funzionare non diversamente da un governo di liberali o di conservatori; nel qual caso esso spegnerebbe gli entusiasmi che l'avrebbero reso possibile. La bancarotta dei conservatori, che, risolta la questione irlandese, e l'eterogeneità, l'inesperienza, da parte dei laburisti dell'inadeguatezza delle loro ricette sempliciste pei mali d'una complessa e delicata società industriale moderna, cooperano egualmente a non lasciare altra via di uscita, oggi o fra sei mesi, che il ritorno alla tradizione liberale rinvigorita dal nuovo pensiero ricostruttivo neo-manchesteriano. Questa la portata delle elezioni del 6 dicembre. In contrasto col continente in cui la realtà è più che mai caratterizzata dal ritorno al nazionalismo e al militarismo più esasperato e brutale e in cui le libere istituzioni crollano e sono apertamente dileggiate da legioni d'imbecilli, l'Inghilterra ha dato ancora una volta l'esempio della maturità politica e dell'indipendenza di spirito del suo popolo col respingere l'attacco più formidabile fin qui lanciato al libero scambio, nel momento che fin qui fu più favorevole alla riuscita dell'attacco medesimo. Un popolo che sa su di una questione complessa come la fiscale, in un'ora tanto buia, infliggere al suo Governo una lezione come quella inflitta a Baldwin dà con ciò stesso la migliore delle spiegazioni e delle giustificazioni del posto che esso ha nella storia e nel mondo e delle speranze e delle attese che in ogni parte d'Europa si ripongono nell'opera sua e nel suo esempio per la restaurazione dello spirito di pace tra le genti e del senso del diritto nei loro rapporti reciproci. In Inghilterra almeno il liberalismo resta l'anima della vita pubblica e nessuna coscienza é tanto abbietta da bestemmiare la libertà. ANGELO CRESPI.
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