CONVERSIONI

Iniziazione fascista di un eroe mancato

    La nostra opposizione al fascismo -avverte Gobetti - è essenzialmente di stile.

    Ciò vorrà anche dire - in parole povere - opposizione di quanto ci è così intimo e irreducibile nello spirito da costituire in fondo il nostro stesso carattere morale!

    Eppure è uno stile - discorriamo non del governo, ma dei singoli gregari - in cui hanno vissuto anche alcuni di noi. Tanto che delle sue ultime suggestioni ci siamo liberati appena dopo un certo travaglio interiore e ancora oggi guardiamo alle spoglie smesse con un sorriso di tristezza. Ma che nessuno si illuda! E' lo stesso sorriso con cui carezziamo un vecchio berretto gogliardico: lo amiamo per tutti i ricordi che suscita. Guai, però, a rimettercelo in capo!

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    Che Piedigrotta dell'irreale fu in certi momenti Fiume! È come ci abituavamo a quella irrequieta e voluttuosa vita dominata dal senso continuo di una imminente Apocalissi: a tutte le nostre opere cotidiane si dava un meschino valore di provvisorietà in attesa sempre del diverso, del nuovo, del più bello, dell'avvenimento ignoto! Ignoto a tutti, ignoto anche al Duce che ce lo prometteva, peraltro, come se fosse un ricchissimo premio d'acchiappar con le mani in cima all'albero della cuccagna: intanto si acchiappavano le nuvole; così dense in fondo al Carnaro. Ma noi eravamo allegri lo stesso.

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    Il birro austriaco quando parlava di Cecco Beppe arcuava le sopracciglia e pronunciava "Sua Maestà" con un sibilo che ci faceva rabbrividire. Quelle erano " gerarchie" sul serio!





    Da noi la parola "Re" ha un non so che di gelato che non ci desta che quel vago e generico senso di rispetto dovuto a tutti i grandi personaggi scomparsi dalla circolazione e già debitamente inseriti nei manuali di storia.

    Invece che bel motivo di vanteria misto a un dolce sapore di intimità casalinga era quello di poter dire: "ho parlato col Comandante", con quell'aria usuale e svogliata di chi racconta che ha parlato col compare. Che beffe della democrazia ai suoi spregiatori!

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    Un tedio grandissimo ci recava il gentume bigio e uniforme, infagottato e ciabattante per le strade, immagine tetra della vita mediocre e di quello che saremmo divenuti - maledizione -tosto o tardi anche noi. Che stizza se ci passavano accanto senza guardarci i nastrini sul petto! Che rancore per tanta ingratitudine!

    In compenso abbiamo provato quel sentimento, intraducibile per la povertà della nostra penna, di crederci, soltanto noi, tutta l'Italia e di palpare il suo bene come un tesoro affidato dal Duce alle nostre mani. Buone mani!

    Vivere in questo paese chimerico, dove tutte le cose avevano delle linee grottesche, era inebbriante.

    Ci si vedeva così grandi che le scene di Fiume parvero un bel giorno troppo piccole per le proprie stature omeriche e si progettò una marcia su Roma. Se fosse riuscita, oggi saremmo ministri anche noi.

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    Vivemmo in quello stato di beatitudine perfetta che dona la contemplazione delle proprie virtù e dei propri meriti insigni.

    In soliloqui privatissimi ci facemmo talvolta il racconto anticipato delle nostre gesta future commovendoci anche fino alle lacrime come colui che si diverte a immaginarsi dietro il proprio funerale.

    Vuotammo e risciacquammo il nostro cervello da ogni molesto pensiero e c'immergemmo nei tepidi vapori della più divina incoscienza!

    Allora tutte le idee, i discorsi, i messaggi, gli ordini, i motti, le invettive del Duce ebbero l'effetto di un getto di coriandoli che mette in baldoria una turba di pazzerelli.

    Ma un alalà era sempre lì, in gola, pronto per la Patria anche quando la Patria dormiva nel cuore ed era lontanissima dal pensiero.

BISBY.