IL CASO SOFFICI

(ossia la lirica pura sacrificata
sull'altare della patria)

I.

    I nostri procuratori legali per le cause letterarie ci hanno sempre ammoniti: "Tenetevelo caro, questo Ardengo Soffici, questo "dono" (definizione di Renato Serra) questo "lirico, l'animal superiore più caro del mondo"(definizione di Papini), questo "tipo di scrittore così puramente artista" (definizione di Prezzolini). Tenetevelo caro, questo cocco bello della lirica pura: e non fate caso alle sue pose di cinico, alle sue manate di anticrociano, alle sue pretese conversioni da anarchico ad ammiratore delle autorità costituite: godetevene le parole, che per lui sono tutte viventi e gioiose. Non dategli retta, se nel Giornale di bordo è un vagabondo negator della patria, e in Rete Mediterranea un esaltatore dell'ordine: ma state attenti s'egli esce per la sua campagna di Poggio a Caiano, e a quello che dice quando vede l'Ombrone colare sotto il sole, o sente tutta la malinconia delle stelle pesare sopra il suo cuore. Allora gli é bono come l'aragosta nei mesi con l'erre: che fin della cacca se ne fa la salsa".

    E cosí, in coscienza, abbiamo fatto. Ci siamo presi in santa pace i suoi aforismi sui mariti tutti becchi e sulle donne tutte gattine in calore: le sue definizioni di Dio, Befana degli adulti, e della religione, imbecillità: le sue stroncature di Hegel, truffatore, e di Pascal, poveromo: i suoi confronti tra l'Assoluto filosofo e il Moulin Rouge: il suo stock, insomma, di corsivi elzeviro di giornali parigini, spicciolati in monetina toscana. E si badi, che quei tali nostri procuratori legali conoscevano bene la partita: traverso la mostra di fantocci da tre palle un soldo, destinati a rappresentare la filosofia di Soffici, la critica di Soffici, il boulevardismo di Soffici, riuscivano davvero di tanto in tanto a vedere pezzi di cielo e nuvole svarianti sui colli, e campi e bestie, vacche innocenti e bramose condotte alla monta: l'arte di Soffici, grande. Si, amico Suckert: se non proprio profeta, che gli Etruschi non ne ebbero, indovino ci piaceva immaginarlo anche a noi: di quelli che errarono sulle spiagge del loro paese, sull'orlo di alghe ricamato dal mare: e impallidivano ai rotoli del tuono, e rabbrividivano quando il grido degli uccelli neri giungeva ad essi dalle pinete tirrene, e cercavano di dare a questi accidenti un senso riposto. A Soffici, l'ultimo degli indovini, perdonavamo la sua interpretazione, che era sempre ridicola, per il suo brivido, che era sempre vero.





    A lui, non chiedevamo proprio nessun confortatorio politico, di questi tempi. Tutti siamo cristiani, cattolici apostolici romani: come potrebbe venirci in mente di raccomandar l'anima a un indovino etrusco? Che Ardengo Soffici fosse pure fascista: buon pro. Noi eravamo pronti e disposti a sentirci dire tutte le insolenze: avevamo già lo scatolino pronto per mettercele dentro, pillole d'oro. Prezzolini, amico suo, ci aveva avvertito ch'"egli è il Soffici di un tempo, in maggior possesso dei suoi mezzi artistici": e, a parte la frase da mediatore teatrale usata da Prezzolini, ne godevamo. Quanto vogliamo bene a Suckert, che pure non ce le manda a dire, e farebbe tanta tonnina di noi crociani e salveminiani gente da corda, e riempirebbe volentieri Roma di morti: e gli vogliamo bene per questo, che sotto le sue minacce di esecuzioni capitali e le sue teorie storiche di Controriforma e Fascismo, si sente il gioco dello scrittore, come sotto la grana serrata della pelle di un atleta si vede il gioco dei muscoli al vivo. Così, avremmo amato Soffici fascista: e di più. Fermi in questi nostri propositi, avevamo perfino dimenticato che Soffici, negli anni dal 1920 al 1922, aveva pubblicato degli articoli, delle chiose, dei mementi sul Popolo d'Italia.

    Adesso, Ardengo Soffici ha raccolto in volume questi roba (1). Una relazione fallimentare: lo stessissimo effetto. Solo ora si vede quant'è fondo il deficit. Ha inghiottito tutto, tutto, la lirica pura, le parole viventi e gioiose, la casacca dell'aragosta, i brividi dell'indovino, perfin la vacca: ah, nessuna vacca più può mostrarci Soffici, né in calore, né gravida. Sono duecento pagine incolori inodori insapori. Mai avremmo creduto che in tre anni, Ardengo Soffici sarebbe riuscito a mettere insieme un simile piattaccio di gelatina, anzi di colla di pesce.





    A noi: apriamo il volume.

    Ecco le sue insolenze, un campionario. Egli vede "un esempio abbacinante di vigliaccheria intellettuale passista". I governanti d'Italia sono "incoscienti, bestialmente deboli, criminosamente tolleranti della più scellerata propaganda". Bisogna "infrenare il saturnale immondo dove tutte le incoscienza, le ignoranze, le bassezze, le perfidie e le turpitudini si congiungono per il disonore della Patria". "L'ignominia del disfattismo si accumula". "Lo scita Lenin discendente di schiavi, schiavo a sua volta del tedeschismo, rinnegato e rappresentante tiranno di una moltitudine infelice, cieca, selvaggia, malato nello spirito, briaca". "Il trattato Versailles monumento di imbecillità e di infamia, borghese". "Prima di fare affogare il Pus in questa orgia di infamia, in questo bagordo di vergogna, gettiamo un supremo raggio di luce sulla sua bassezza".

    Lo sentite il viscidume, il molluscume di queste insolenze. Le abbiamo lette, da due anni, sui manifesti alle cantonate. Ammoscimento inguaribile. Fraseologia frusta come il fondo dei pantaloni di un impiegato dei Benefici Vacanti. Questa sterotipia degli improperi fa credere a una sterotipia degli odi. Il modulo delle insolenze fa sospettare un modulo anche nel cervello. Ahi!

    Passiamo alle immagini, se vi piace. "Una marea di fango, la quale monta minacciosamente ed é destinata a sommergere il mondo intero, le società tutte, l'umanità intera, con tutti i valori di tutte le civiltà". "I clericali non si peritano ad innestare le rosse verbene educate dall'ebreo materialista Marx sull'aureo tronco del cattolicismo". Je connais ça. Gli oratori dei Congressi del partito socialista amavamo eleganza di questo stile. In verità la prosa di Ardengo Soffici sarebbe, di tutti gli scrittori italiani matricolati e sottoposti a visita medica, quella che mi pare più traducibile in tedesco: con meno stento per risparmiarne il conio. Articoli di fondo del Vorwärts - non dico della Rothe Fohne.





    Egli non ci dà più no, la frase che si regge da sé, trasparente e solida, come ce n'è dappertutto in Arlecchino e in Giornale di bordo, anche dove fa il cinico o l'ateo. Queste nuove sono bolse e arrembate: pennellate, sì, ma da imbianchino. "Una individualità non solo militare, ma politica e morale, di prim'ordine, perfettamente italiana, accumulante in sé i pregi più caratteristici della razza". "La ricostituzione dell'anima nazionale". "La solita altalena si ripete fra concezioni differenti ed opposte della realtà e della vita umana e sociale". "È la degenerazione di ogni idea, non solo, ma l'imbecillità e la bassezza morale su cui si impernia (che razza di perus!) la lotta degli avversari". "Le idealità nuove che dovrebbero emergere dal presente brago". "Ci sono due forme di grandezza: una passionale e una morale, le quali manifestandosi e trionfando volta a volta, creano i fatti salienti della storia". "Una manomissione dei valori sociali più gelosi degli affetti più sacri e profondi dell'animo umano". "La coscienza di compiere un atto di santa obbedienza alla fatalità imperscrutabile che regola la sorte degli uomini". "La mirabile scala dei valori che informano e caratterizzano una società civile". "Le regole che presiedono alla esistenza della comunità". "Il senso più eccelso del dovere imponeva al papa di essere pacifista". "La democrazia entra in stato comatoso". "L'istinto di guerra é nella natura dell'uomo come tutti gli altri istinti che compongono la sua specifica personalità e ne provocano ogni determinazione, che la ragione, istinto più sottile, non fa che sanzionare, come ognun sa". Gli scritti di Gentile entusiasmano Soffici: Quando il Soffici di oggi si entusiasma scrive così: "Animati da una fede... Riscaldati da una passione umana... attingono il più alto risultato... l'intimo significato spirituale... questa ineluttabilità di sviluppo logico... il nutrimento più sostanzioso per lo spirito umano... Creazione storica tormentosa, ma incoercibile... sviscerati in modo geniale... Copia di idee, di concetti e di fecondi principi che se un uomo di governo sapesse farne tesoro..." Il formulario stilistico di Giannettino Soffici. Domanda: "Com'è l'Abruzzo?". Risposta: "Forte e gentile". D.: "Com'è il Duce?". R.: "Invitto". D.: "Perché brillava il tal dei tali?". R.: "Imperscrutabile". D.: "Come sono i principii?". R.: "Fecondi". D.: "Com'è il senso del dovere?". R.: "Eccelso". Bravo Giannettino, approvato. Tu parli come un manifesto.





    Ci siamo intesi, credo, su questo affronto che ci fa Ardengo Soffici. Invece di un Soffici fascista ciompo e partigiano, con le solite vergature lazzaronesco-sentimentali, invece di un Soffici che ci mandasse a far fottere tutti con delle mosse fiere e belle, e uscisse ancora di brigata, come nei tempi suoi più felici a guardar le sagre del Casentino, e le spedizioni punitive di Val di Chiana con i suoi occhi di artista, e desse - almeno - a queste povere cose effimere la risonanza della sua voce, e il suo bon plaisir, le sue buone grazie, il suo capriccio, e ce le imponesse a noi, purificate dalla politica, più durevoli delle fortune di un partito, rese belle, lucide, nobili, da quel suo sguardo ingenuo che rese belle, lucidi, nobili un carciofo d'Empoli sfogliato, o le rose vizze tratte di tasca sotto una pergola di Settignano, o le nozze di due lumaconi: invece di questo Soffici, ci siamo veduti venir fuori un sennino d'oro, un tesoro di mammina, un attuario dell'ortodossia patriottica: e presentare una prosa tale quale come il brodo dei conventi, che ce n'è per tutti i mendicanti e per tutte le cistole, perché il convento allunga l'acqua non in proporzione del condimento; ma in proporzione delle bocche.

    Ardengo Soffici, Romolo Murri, l'articolista di fondo dell'Avanti!, il signor Arangio Ruiz presidente dell'Associazione Nazionale combattenti, sono tutti lirici puri della stessa forza, oramai. C'è più arte in una pagina del librettucciaccio del Banchelli, "Memorie di un fascista" che in tutta questa "Battaglia fra due vittorie". Ma che! Io, qualunque povero gazzettiere che fa il pezzo di circostanza su un tavolino di redazione, siamo pari ad Ardengo Soffici. Ma noi possiamo sempre scusarci con la regola del convento; che è di frati predicatori: noi esponiamo per un ventino le nostre idee, le nostre soluzioni politiche, noi siamo del mestiere: e, infine, molta gente si interessa delle nostre idee fino a spendere un ventino. Ma Soffici non può scusarsi. Cosa c'importano le sue idee politiche? Cosa c'importa ch'egli faccia "sull'altare dello Spirito e della Patria il sacrificio" di scrivere degli articolacci da pagine morte di giornale, degni di restar sul marmo come zavorra per le giornate di magra? Cosa ci importa che egli sia fascista, ammiratore di Mussolini e critico di Lenin, e ce lo venga a dire con le frasi di un discorso sagraiolo? Noi non siamo dei pedanti che gli chiediamo conto del suo antico cinismo, e della sua anarchia d'un tempo: ma pedante non sia neppur lui, e non ci presenti nessuna antologia di luoghi comuni.





    Per giochi di idee, combinazioni su misura, assortimenti, associazioni e dissociazioni, cestini da viaggio e necessaires di idee, glie ne diamo fin che vuole. Non c'è bisogno del suo rinforzo: siamo già in tanti, sulla piazza! La "sostanza dorsale del suo essere" é altrove. Conservare fedeltà all'arte. È ancora capace, Ardengo Soffici, di darci d'un colpo, là, alla brava la spavalda sicurezza guastatora di una squadra di fascisti toscani; ma, intendiamoci, niente disegni a colori della Domenica del Corriere, ma spade confitte nel terreno, frementi e vibranti sullo stelo d'acciaio, come antichi faziosi? O quel che lui voglia, darci, fuorché dei sermoni?

    O almeno: una pagina da artista puro, la vacca in calore condotta al toro?

II.

    Ma la liquidazione Soffici non può esaurirsi con una boutade, e noi essere rimandati a casa con una semplice speranziella. Tre anni di vita dello scrittore hanno dato questa specie di trattato di Versailles artistico, per parafrasare una sua brillantissima definizione. Tre anni son lunghi, gli scrittarelli del volume furono occasionali, staccati l'uno dall'altro da pause profonde, durante le quali le stagioni cambiarono, e l'erba rispuntò. Ma Soffici non la udì mai nascere. La uniformità commercialona dello stile rivela un appagamento sempre pari a se stesso, un pacifico conseguimento di quanto lo scrittore voleva dire. Non é vero ch'egli abbia premeditatamente fatto un sacrificio, contribuendo a salvare la patria con questi pezzi da giornale di propaganda, conoscendone tutta la volgarità. Un simile sacrificio non dura tre anni: finisce che uno sbotta, se é rimasto artista vero, artista puro, e dice: per iddio, adesso salvo me dall'imbecillità. No, no: Soffici scrisse per tre anni prendendo tutte le sue misure, procedendo a sesta, a regola d'arte: e mosse innanzi a debellare il bolscevismo con delle arie da "mi me pappo ò turco", con la prosopopea di un presidente di Comitato per le onoranze ai Caduti. Le Chiose di Soffici hanno la stessa storia intima e segreta, nascono dalla stessa presunzione e hanno dato all'autore lo stesso compiacimento degli Scampoli di Giacinto Menotti Serrati. Il quale si illudeva che tutti i suoi Scampoli avrebbero finito per essere raccolti in edizione nazionale, a spese della Repubblica dei Soviet Italiani.





    Non c'è altra spiegazione che questa. Il mondo di Soffici si é stranamente impoverito. Egli ha messo in ordine il suo universo - "questo universo che si rimescola dentro di me e quasi mi soffoca", vi ricordate? - lo ha messo in ordine come un cassetto o come una valigia. Le cose prette, schiette, nitide, sono sparite. Egli, un tempo, voleva uno stile "che sbucciasse il mondo sensibile come un'arancia da mettersi davanti a noi col suo profumo e il suo sugo colante" Adesso, il suo mondo sensibile é una mela rinsecchita: ed egli ha lo stile adatto alle mele rinsecchite. Dei fantasmi intorbidano i suoi occhi, un tempo veramente divini: il Giolittismo, il Nittismo, l'Ordine, la Patria Pericolante, la Patria Salva. Un tempo, nelle sue pupille vive, palpitavano marine e paesi: adesso, le sfilacciature di quei lenzuoli bianchi; gli stessi, gli identici che tutti i droghieri, tutti i tramvieri, tutti i tesserati italiani, fascisti o socialisti, hanno nelle pupille loro. La guerra e il dopo guerra hanno fatto, a Soffici artista, questo bel regalo. Ha conquistato questo bel bottino. Seduto alle Giubbe rosse, cattivo cittadino, egli aveva gli occhi chiari: in trincea, buon combattente, gli aveva già non leggermente appannati: sostenitore del governo nella patria rigenerata, cittadino esemplare, cataratta completa. Raggiunto dagli avvenimenti, egli vi si profondò tutto, infelicemente: non seppe salvare la patria, resistere sul proprio solco: non capì che l'unico modo per lui, Soffici, di essere antibolscevico era quello di difendersi dai fantasmi e di vedere, da artista, la vita: come per lo studente era quello di prepararsi agli esami, e per il professore quello di bocciare gli ignoranti. Volle salvare la patria con mezzi nuovi, eccezionali, terribili. Come lo studente e il professore diventarono squadristi, Soffici si mise a spacciare degli articoli corroboranti sul Popolo d'Italia. La saggezza più alta é quella di vedere che niente é, se non é nell'ordine comune; è quella di rendere grazie della propria sorte, compiendola: Soffici perdette questa saggezza, ed entrò nella folla dei disgraziati turbolenti, la cui sorte é senza forma. Adesso é uno spostato, un raté. Proprio quando cominciò a parlare di ordine, diventò sovversivo. Tutti i piccoli borghesi d'Italia sono sovversivi: la forma più volgare del loro sovversivismo è quella di salvare periodicamente la patria.





    Il solito Prezzolini, sensale onesto, quando Soffici cominciò ad ammoscirsi (ed é impossibile che Prezzolini non se ne accorgesse) rispolverò l'antica anarchia di Soffici e il suo preteso conservatorismo di oggi, e spiegó ottimamente come l'anarchico finisca sempre col fare omaggio alla copia esteriore, contraffatta dell'ordine interno, che gli manca. E disse ancora: questo é il caso di Soffici; ma state tranquilli, che noi, nei libri del reazionario cercheremo lo stesso capriccio individuale che nei libri dell'anarchico: e ce lo troveremo, perché Soffici é "in possesso anche maggiore dei suoi mezzi artistici" Ahimé, così Soffici lo fosse, un reazionario con tanto di capriccio individuale. Ma egli non ha più capricci di nessun genere non é affatto reazionario: non fu affatto anarchico.

    Cominciamo dall'ultima proposizione.

    La sua pretesa anarchia del Giornale di Bordo, irrisione dei santi principi, eccetera, si svesciava già fin d'allora dinanzi alle fantasmagorie della genialità della razza. Altro che anarchico! Era già in bozzolo un letterato di accademia, pronto a fare una dissertazione sul primato italiano nelle arti e nelle scienze. Tutta Toscanina granducale, sotto le arie da etrusco. Una serata futurista gli suggeriva questa riflessione: "Notiamo che queste mischie per la bellezza avvengono in Italia. Sarebbe forse che alla fine si sveglia davvero, la grande dormente?". Esamina i suoi compagni di scompartimento. "Pochi hanno notato la grandissima differenza che c'è fra il viso di un italiano e quello di un uomo di qualunque altro popolo... Le mani dell'italiano son mani di una razza spirituale ed aristocratica. Un francese, un, inglese, uno spagnolo... ha sempre qualche cosa di sfatto nei tratti della faccia, di vago e di obliterato...". Si capisce che lui non ha mai veduto la faccia di uno spagnolo: é il genio della razza che lo inspira in queste sentenze peregrine. Lemmonio Boreo tutto trasuda di "genialità latina", di "vigore della razza"; é inutile farne lo spoglio, sono le espressioni e gli atteggiamenti ormai famigliari a qualunque commesso viaggiatore milanese. E' un anarchico così poco autarchico, che invece di volersi affermare con l'ingegno, o con la dinamite, si rifà alla eccellenza della sua razza: un anarchico che scriverebbe volentieri sul suo biglietto da visita: "Ardengo Soffici, discendente dagli Antichi etruschi, di razza aristocratica".





    Il suo preteso reazionarismo di oggi é una trovata di Prezzolini. Non sussiste. Soffici non é affatto reazionario. Un reazionario ride quando gli vengono a parlare del genio italico risvegliato. Un reazionario ha delle idee ben precise sugli istituti politici, sulla monarchia, per esempio. Le lamentabili idee di Soffici sulla monarchia, non so tenermi dal trascriverle: "La forma (italiana) di monarchia non si oppone a tutto rigore, in principio, a nessun esperimento politico o sociale, dall'imperialismo al comunismo (appena un poco corretto): e starei per dire al republicanismo, se una pura questione di parole non vi facesse ostacolo unicamente". Questo guazzello (il comunismo "appena un po' corretto", come il caffè!) testimonia della organica incapacità di Soffici a sentire la monarchia come una questione di viscere, ad appassionarsi per la causa del principe legittimo come un carlista o un giacobita. E allora, anche il suo reazionarismo é un bluff. Egli non vedrà mai l'altezza di un re in esilio o di un rivoluzionario profugo; ma forse li inviterà a non fare "questione di parole", e a rifar la pace... sotto gli auspici della monarchia italiana. Le riconciliazioni bonarie e cordiali "nella fede e nell'amore della patria comune" sono il suo forte: egli lo ha dimostrato nelle sue "Massime per i fascisti", dopo la marcia su Roma.

    Né anarchico, né reazionario, dunque. La sua passione politica é di taglio perfettamente governativo: "al disopra dei partiti" Maltusianismo patriottico. Si perde in una vaga genericità, non si radica in un numero di tradizioni, di illusioni, di convincimenti. Soffici é veramente un italiano dei nostri tempi, delle generazioni pullulate, per generazione spontanea, dalle fessure dell'altare della Patria. Non sono ancora arrivati alla patria attraverso la casta, attraverso la classe, attraverso il partito: tutte "invenzioni" che Soffici indubbiamente detesta e supera, perduto in un lattemiele di fratellanza con i contadini che arano i campi anche mentre si discute il contratto di Versailles (che cosa straordinaria!!...) o tutto immerso in riflessioni di questa forza: "Non c'è più nessuno, credo che ritenga un blasonato superiore perché tale ad un genio o semplicemente ad un galantuomo ma di schiatta plebea". Sono sicuro, per esempio, che Soffici fa suoi i giudiziosi apprezzamenti dei libri di lettura sulle stoltezze degli antichi comuni italiani "dilaniati dalla guerra civile": che depreca ogni episodio di lotta politica fra partiti contrastanti, perché può ben presto "degenerare" in guerra civile: che detesta il disfattismo genuino di poca gente di studio e di idee durante la guerra, come un tradimento, e non si accorge ch'era invece il primo sintomo, l'avant-goût delle guerre civili europee, l'unica novità di qualche valore messa innanzi dalle carneficine.





    Non c'è da illudersi. L'uomo ha ormai un sistema nella testa, il sistema di patriottismo tipo corrente. Vano é sperare che il capriccio individuale riaffiori: Il letterato può rivivere, l'artista é morto. Potremo avere delle cicalate accademiche e linguiste, non più delle notazioni uso Giornale di bordo. L'"ordine ristabilito", la "rigenerazione nazionale", gli splendori del nuovo regime hanno risuscitato in Soffici il vecchio letterato come nelle folle plaudenti alle sagre hanno risuscitato le plebi del Cardinale Consalvi e del Cardinal Rivarola. Tutto si riscontra e tutto vi risponde: la liquidazione di un artista e la liquidazione di un popolo. Il mussolinismo é mefitico: io comincio a credere che solo i ras rappresentino la speranza delle buone lettere.

    Salutiamo Ardengo Soffici, tenutario della terza pagina in un giornale mussoliniano. Ahimè, chi credette mai che Don Giovanni Tenorio, continuasse vecchio a farsi condurre in casa qualche ragazzina flessibile? E chi credette mai all'altra versione, che don Giovanni Tenorio, pentito dei suoi peccati di libertinaggio, si battesse i fianchi col cilicio, e girasse attorno vestito da Terziario francescano? Né l'una, né l'altra soluzione. Sono troppo belle. Don Giovanni fini in Siviglia, persona rispettabilissima, progressista moderato, membro di una Confraternita.

    Né anarchico, né reazionario: mussoliniano.

GIOVANNI ANSALDO.
(1) A. SOFFICI: Battaglia tra due vittorie - " La Voce", 1923.