LA CHIESA NAZIONALE
Una tendenza, non molto diffusa, ma efficacemente rappresentata, in alcuni strati degli uomini della cultura e della politica è quella volta a imprimere al cattolicismo una forma sempre più spiccatamente "nazionale", di riuscire insomma ad affezionare il cattolicismo al sistema italiano, servendosene come strumento di coesione all'interno. Noi neghiamo al pari di voi - ragionano press'a poco cotesti fautori di un cattolicismo nazionale - alla Chiesa cattolica il diritto di intervenire nelle cose dello Stato; affermiamo anzi con assoluta intransigenza, l'autonomia piena, la sovranità incontrastata dello Stato, in confronto di qualsiasi altro potere. Ma non bisogna dimenticare che il cattolicismo é anzitutto romano, e quindi italiano; e che una politica di persecuzione o comunque una lotta antireligiosa riuscirebbe fatale all'Italia. Lo Stato invece deve favorire ancora di più il Cattolicismo, costituirsi attraverso una saggia politica di protezione e insieme controllo, un clero devoto e direttamente interessato a far valere il potere dello Stato (perché socialmente protetto ed economicamente ben compensato). Volete negare qual forza di attrazione mondiale rappresenti per l'Italia l'esserci del Papato, il convergere di molteplici elementi che costituiscono il sistema cattolico verso il centro irradiatore che é in Roma? negare qual mirabile coefficiente dell'imperialismo nazionale, non sarebbe il Papato, alleato dello Stato italiano? Quale vigorosa forza per l'espansione, il predominio della nostra razza, rappresentino, ad esempio, - e più ancora potrebbero rappresentare - le missioni cattoliche nell'America del Sud e nell'Asia Minore? D'altra parte, il sentimento religioso, é cosa incoercibilmente radicata nello spirito umano; tanto più, quando, come in Italia, esso si é rivestito di forme e atteggiamenti propri dello spirito italiano. Lo Stato non deve respingere nessuno dei valori che si sprigionano dal seno della Nazione, ma tutti accoglierli, intensificarli, disciplinarli, quelli religiosi in modo precipuo, in quanto non sono, come vuole il superficialismo demagogico, una imposizione di una classe interessata, ma una spontanea incoercibile esplosione della più profonda coscienza popolare. Ciò che sommamente importa é consolidare l'organismo nazionale; saldarne, piuttosto che disgregarne gli elementi, perciò é necessario che la grande tradizione cattolica che da Roma ebbe il suo centro mediatore non sia distrutta o combattuta, ma orientata nell'orbita della vita nazionale italiana, in modo che il cattolicismo si trasformi in un elemento di forza e di vita del grande organismo statale. Esaminiamo questi argomenti. "Il cattolicismo é anzitutto romano, é, dunque, cosa italiana". Quel dunque va considerato. Il cattolicismo é romano, non c'è dubbio; ha assunto così l'impronta che l'ambiente storico in cui s'è specialmente affermato gli ha impresso: una tradizione costante di spirito romano e poi italiano si é insinuata nel grande organismo religioso, rivestendolo delle forme che il nostro suolo, inesausto creatore di vite, ha perennemente creato e ricreato. Ma romano, per riguardo al cattolicismo, é equivalente a "nazionalmente" italiano? Ecco il punto. L'Italia non é più, se Dio voglia, un'espressione geografica, non é più soltanto una gloriosa tradizione storica e artistica, é una realtà nuova che vuol vivere e affermarsi come nazione (e, possibilmente come grande nazione che plasma e trasforma nella sua vita superiore la vita dei singoli organi che la compongono). Ora il Cattolicismo qual esso é, - e più ancora - qual'esso vuol essere non intende affatto diventare un organo della vita nazionale italiana, ed essere plasmato e trasformato nella vita superiore della Nazione. Esso aspira ad essere, anzi, un centro irradiatore di forze e assimilatore di organi, autonomo e sovrano, di una autonomia e di una sovranità, che non ammettono né limitazione né, molto meno, subordinazione. Questo é nella essenza stessa, indistruttibile del Cattolicismo. Il Cattolicismo é romano sopratutto in quanto erede spirituale dell'imperialismo romano, in quanto toglie da Roma le origini e la forza di espansione. Accentrando coll'andar dei secoli nelle proprie mani i poteri direttivi dell'autorità religiosa e subordinando al proprio potere quello di tutti gli altri Vescovi della Cristianità, il papato romano mira ora, come sempre, a costituire - a traverso l'organizzazione ecclesiastico-politica che suscita, rafforza e dirige in ogni Stato - un altro imperialismo religioso-politico che assoggetti i poteri nazionalmente costituiti di ciascun popolo al suo supremo controllo. Orbene, in tal senso il Cattolicismo, anche se permeato di forme latine - anzi forse appunto per questo - non solo non é, né può essere antinazionale, perché supernazionale; così come il Cattolicismo, preso semplicemente come religione, in quanto cioè mira a stabilire e regolare i rapporti tra l'individuo e l'universo é anazionale, perché supermondano e universale. *** Un rapidissimo sguardo alla esperienza storica - affidando alla cultura di ciascuno dei lettori di integrare e ampliare le osservazioni appena suggerite - offrirà nuovi elementi di giudizio. "La storia - obbiettano - presenta esempi clamorosi di Principi e Stato che si accaparrarono, favorendola, la simpatia e la riconoscenza della Chiesa romana, riuscendo a farsene valido strumento di dominio. Pensate, ad esempio, alla fortuna della politica di Costantino". Certo la politica costantiniana parrebbe a tutta prima confortare l'asserto cui vogliamo opporci. Il grande guerriero infatti, e grandissimo uomo di stato, riuscì non solo a servirsi delle forze cristiane per abbattere i competitori che si appoggiavano al paganesimo; ma facendo del Cristianesimo quasi la religione dello Stato, concentrò effettivamente nelle sue mani la somma della potestà religiosa oltreché politica. Non bisogna fermarsi alla superficie dei fatti, ma indagarne le cause. Orbene, anche a un indagatore modesto balza agli occhi che Costantino ebbe a fronteggiare una condizione di cose assai men complicata e assai più facile ad essere dominata, che non quella che lo Stato Italiano si trova ora di fronte. Innanzi tutto il Pontificato romano non aveva assunto quel valore supremo nella gerarchia ecclesiastica, di cui attualmente é investito. Il Papa di Roma doveva guardare anzi con gratitudine la mano benefica che oltre sollevare la Chiesa dalle Catacombe, tendeva a far prevalere la sede di Roma su tutte le altre. Inoltre la Chiesa non aveva saggiato ancora il potere temporale: la "volontà di dominio" non era ancora fatta consapevole; non mancavano certo aspirazioni grandiose e indizi di trasformazione, ma non potevano tuttavia esservi nostalgie del passato e pretesti di rivendicazione, la Chiesa meglio che al tristo passato volgeva gli occhi al miraggio dell'avvenire. D'altra parte Costantino - e qui si rivela specialmente il suo genio politico - ebbe l'accortezza di non far mai sentire il peso della sua autorità e specialmente di non accampare mai pretese di diritto, accontentandosi di agire per vie di fatto. La suscettibilità dei teologi era rispettata, l'ambizione degli ecclesiastici soddisfatta con onori e ricchezze. Così che, durante il lunghissimo suo regno egli poteva ben dire di aver raccolto nel suo pugno tutto il mondo nella sua duplice espressione religiosa e politica. Egli infatti e approvava e anche nominava Vescovi, compreso quello di Roma, dirimeva questioni tra Vescovo e Vescovo, tra città e città, tra Chiesa e Chiesa, indiceva concilii, li presiedeva, apparentemente per regolarne la discussione, in realtà giudicava in supremo appello della loro validità, ordinava alla Cattolicità di accettarne i deliberati, fissava il valore delle formulazioni dogmatiche, raccoglieva insomma i diritti che avrebbero spettato alla totalità della Ecclesia, praticando quello che in seguito il Papa di Roma affermerà essere di sua unica e legittima spettanza. E bisogna riconoscere che le forze cristiane, riuscirono effettivamente di magnifico ausilio alla potenza di Costantino, reagendo contro i tentativi disgregatori che da varie parti si ordivano contro la sua autorità, in quanto comprendevano che le loro sorti erano vincolate al prevalere dell'Imperatore. Ma questo magnifico edificio poggiava evidentemente sopra un colossale equivoco che l'imminente avvenire doveva scalzare dalle basi; in quanto, mentre lo Stato presumeva ormai di avere definitivamente aggiogato al suo carro la Chiesa e fattala strumento della propria affermazione, la Chiesa, viceversa, mirava attraverso lo Stato, di costituirsi le condizioni necessarie di autorità. I successori di Costantino - successori al suo trono e non alla sua mente politica - si mostrarono incapaci di dominar ancora sulla Chiesa, la quale - dileguatosi gradatamente il primo senso di riconoscente devozione per Colui che l'aveva tratta dalle Catacombe e impostala dominatrice sull'odiato paganesimo - andava acquistando maggior coscienza della propria dignità e sopratutto della propria forza. E mentre da un lato tentava l'assurdo della sua posizione di sudditanza religiosa dall'Impero e costituiva con serena fermezza la propria autonomia spirituale, concepiva dall'altro l'audace disegno di rovesciare la posizione e di asservire essa lo Stato, anziché esserle serva. Disegno straordinario e audacissimo, che tuttavia resero possibile l'irrimediabile decadere dell'Impero e l'oscurarsi del concetto stesso di Stato nelle menti che più avrebber dovuto possederlo con lucidezza; e poi l'abile insinuarsi che la Chiesa fece nella rozza coscienza dei barbari invasori, consacrandone il dominio sulle rovine della latinità, e sopratutto la tenacia indomita con cui la Chiesa ne perseguì l'attuazione. Fra la molteplicità degli episodi che in proposito ci offre la storia moderna mi piace ricordare il tentativo napoleonico di appoggiare la Chiesa al carro della sua fortunata potenza. Persuaso della invincibile resistenza del sentimento religioso specie negli strati popolari, e del possibile valore politico della organizzazione ecclesiastica quando gli fosse asservita. Egli mirò a persuadere la Chiesa a collaborare alla consolidazione del proprio potere. E appena poté disporre liberamente delle cose dello Stato, inaugurò una politica di conciliazione, che la coscienza popolare esigeva ormai con crescente ansietà. Naturalmente Napoleone era guidato, come già Costantino, da un criterio esclusivamente utilitaristico, vedere in Napoleone un disinteressato o comunque uno spontaneo esaltatore dei valori religiosi, quasi dalla sua stessa coscienza religiosa gli venisse l'impulso per la ricostituzione del Cattolicismo, sarebbe grave errore, come fu errore credere per lungo tempo che Costantino fosse indotto alla politica filocristiana da una personale simpatia verso i principi costitutivi della nuova religione; dal desiderio di rispondere ad una specie di imperativo categorico della propria coscienza di presunto neofita. Napoleone non vide nel sentimento religioso e nella organizzazione ecclesiastica che un ottimo strumento di governo. Comprese che la massa del popolo francese, stanca ormai di lotte e persecuzioni e stomacato dall'abbiezione di cui la Dea Ragione aveva desolato le pure navate di Notre-Dame, gli sarebbe rimasta grata, e che riconoscente e devota doveva anche rimanergli la massa del Clero sollevata dalla sua miseria economica, liberata dalle sue angustie spirituali. La politica di conciliazione condusse al Concordato del 15 luglio. Ma fu una "conciliazione" soltanto apparente. In quanto se la Chiesa, pur di sollevarsi dalla burrasca sanguinosa che l'aveva schiantata, afferrò la mano che si tendeva misericorde a ricomporle i brandelli dispersi del suo corpo; essa d'altra parte sentiva risanguinare le ferite antiche, costretta a sanzionare la menomazione dei suoi diritti più gelosi e a vincolare la "figlia primogenita" all'autorità di un despota. Si che il concordato meglio si sarebbe potuto chiamare compromesso, in quanto effettivamente in ciascuna delle parti contraenti c'era la limitazione mentale di non attenersi ai patti e di cercar di sopraffare l'avverso amico. Napoleone ne dette per primo e quasi subito l'esempio, aggiungendo di proprio arbitrio, con uno di quegli atti caratteristici in cui il despota si sovrapponeva all'uomo di Stato, i famosi "articoli organici". Napoleone instaurava e praticava fermamente la politica dell'utilitarismo religioso, che trovava partigiani ferventi perfino in una parte del clero, economicamente interessata al prevalere napoleonico, e aveva anche in Italia un teorizzatore acuto in Melchiorre Gioia, per cui la religione é nulla più che una istituzione sociale, sottoposta alle leggi dello Stato e alla volontà del principe e "i ministri del culto sono funzionari pubblici che il principe sceglie o rigetta, secondo che promuovono o no l'istruzione morale che é lo scopo del loro ministero" (1). L'autorità del Papa sul clero francese e perfino sulla costituzione dogmatica della Chiesa era, così, ridotta ai minimi termini. Napoleone poté cantar vittoria. Ma fu breve, il trionfo cozzava contro l'Infrangibile. Il Cattolicismo si può piegare - e con Pio VI° si piegò - ma non si spezza; (flectar, non flangar...). La Chiesa poté nelle tristissime contingente in cui il suo potere era ridotto, abdicare a gran parte dei suoi diritti religiosi, pur di conservare una parvenza di autorità politica; ma non poteva rassegnarsi alla sua condizione. Il suo assoggettamento non potere essere che una questione di tempo. Napoleone conobbe più tardi - non occorre che io mi attardi a illustrarlo - il peso di quella mano, che non s'alza soltanto per benedire! La realtà é, che comprimere un potere che ha radici così salde e diffuse é cosa, se pur raggiungibile, arduissima. Ancor più arduo é far si che il giogo non si spezzi, che sia soave tanto che non appaia come giogo. La Chiesa romana ha lottato ancora più accanitamente contro i tentativi di dissoluzione e di costruzione della sua autonomia religiosa e del suo imperialismo spirituale, che contro quelli i quali combattevan il suo potere territoriale: o comunque politico. Se la sua invettiva é aspra quando si attenta ai suoi diritti politici é addirittura lacerante quando si toccano i suoi diritti ecclesiastici. E se talvolta, sotto la pressione di eventi indeprecabili, essa cede, accettando patti lesivi della sua autorità ecclesiastica, il suo convenire ha sempre implicita la volontà di riaversi e di riconquistare intera libertà. Qualsiasi compromesso imposto al Vaticano, anche se ufficialmente accettato, rigermina fatalmente la lotta. È evidente che non piegandosi mai e per nessuna ragione il Papato a farsi strumento della Nazione, non vi si piegherà neppure il clericalismo, il quale non é se non l'esercito devoto e disciplinato del Vaticano. E il problema si ripresenta, allora, in questi termini: o si lascia che l'avversario penetri gradatamente in tutte le branche dell'organismo nazionale cogli intendimenti e i metodi che noi stiamo sperimentando col governo di Mussolini fino a compromettere o a distruggere l'organicità e l'autonomia dello Stato; o si costringe violentemente la Chiesa, come tale, al dominio dello Stato, manomettendone l'autorità spirituale e il patrimonio dogmatico: ricadendo in quella politica di persecuzione antireligiosa che, col Cattolicismo Nazionale, si presumeva di evitare. VINCENZO CENTO.
(1) Caratteristico esempio della concezione che Napoleone aveva della religione a suo personale uso e consumo è il Catechismo nazionale da lui naturalmente composto e imposto, di cui mi piace riportare una delle domande:
D. - Perché siam tenuti a questi doveri verso l'Imperatore?
R. - Primo, perché Dio che crea gli imperi e li distribuisce a volontà, colmando l'Imperatore di doni in pace e guerra, lo stabilì nostro sovrano, lo rese ministro della sua potenza e sua immagine in terra. (Non c'è male, é vero?). Onorare e servire il nostro Imperatore é dunque, (modestia a parte...) onorare e servire Dio stesso.
Secondo, perché nostro Signor G. Cristo con la dottrina e con l'esempio ci insegnò quel che dobbiamo al nostro sovrano: nacque obbedendo (!!...) all'editto di Cesare Augusto; pagò l'imposta; e come ordinò di rendere a Dio quello che é di Dio, così ordinò di rendere a Cesare quel che é di Cesare.
In verità, secondo l'augusto pensiero del Cesare napoleonico, ben poco resterebbe di pertinenza divina.
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