LA LOTTA DI CLASSE IN RUSSIA

    Per il proletariato le nuove condizioni segnano una continuazione ed accentuazione di quel progressivo allontanamento della legislazione del lavoro dalle originarie applicazioni della teoria comunista, che già da tempo si veniva compiendo. Già con l'ordinanza del 17 giugno 1920 Lenin aveva rinunciato alla teoria comunista del suo Stato e rivoluzione, di quel livellamento egualitario dei compensi, associato alla distribuzione del compenso in natura (paiok), cui la mancanza dei generi necessari non aveva consentito di riuscir pari alle necessità della sussistenza. Simile politica, applicata nei primi anni della rivoluzione, aveva avuto effetti disastrosi, "Distruggendo ogni senso di proporzione tra lavoro e salario e tra salario e costo della vita (riassume il Pagliari da uno studio del Levin), questa politica scoraggiò l'operaio, che cominciò a considerare il lavoro come l'unico mezzo per ottenere il più grande possibile paiok - razione alimentare - con un minimo di lavoro possibile, e usò la miglior energia per procurarsi i mezzi di sussistenza mediante la speculazione, il commercio minuto o il furto; e la fabbrica divenne urna cosa secondaria, e il lavoro una semplice occupazione fortuita e la disciplina industriale un peso".

    L'ordinanza del 17 giugno 1920, eliminando l'uguaglianza dei compensi, mirava a stimolare il lavoro e la produttività con l'introduzione di quel sistema dei premi di produttività, che si può vedere ampiamente esposto nel cap IX della Russia sindacale del Bianchi. Così il principio, proclamato da Lenin nel discorso dell'ottobre 1921, che bisogna "basarsi sull'aiuto dell'interesse personale" era stato già da più d'un anno innanzi sentito e seguito nell'azione economica del governo dei Sovieti. E allo stesso fine dell'accrescimento della produzione il decr. 7 aprile 1921 aggiungeva ai sistemi dei premi, delle multe, del cottimo ecc. anche l'abolizione di ogni limite al lavoro fuori orario; e il decr. 9 aprile anche la facoltà di servirsi delle officine per fabbricare nelle ore supplementari oggetti adatti a costituire un supplemento in natura ai salari.





    Ciò che era al tempo stesso anche una confessione di quella insufficienza dei compensi alle necessità della vita, che è stata per il proletariato industriale la dura condizione permanente di tutti questi anni di rivoluzione, e che é tuttora persistente: sì da far concludere al Lenin che le conseguenze della rivoluzione, per la classe degli operai industriali, non si sono concretate affatto in alcun vantaggio tangibile e materiale, come per i contadini, ma in evidenti perdite e peggioramenti, che ne han prodotto "una completa disintegrazione, quantitativa e qualitativa". Conferma nuova - se ce ne fosse bisogno - della essenza reale della rivoluzione effettivamente compiuta: agraria borghese, e non affatto proletaria socialista.

    Ma, tornando ai mutamenti della legislazione del lavoro, riconosciuto il fallimento della completa naturalizzazione dei salari (pagamento in natura anzi che in moneta), l'ordinanza del giugno 1920 aveva tentato la via che Losowski così esponeva: "data la penuria dei prodotti, si é usato il pagamento in natura solo a scopo di incoraggiamento". Ma neanche il sistema dei premi potè mantenersi; e dovè quindi convertirsi in regola senza eccezioni quella, che a un certo momento lo Schliapnikoff indicava come eccezione alla regola: "i salari in contanti devono talvolta sostituire i prodotti naturali forniti dallo Stato".

    E con l'introduzione generale dei salari in contanti, il problema delle tariffe si poneva in tutta la sua gravità. Il secondo congresso panrusso per le tariffe operaie nel settembre del 1921, preoccupandosene in relazione col problema dell'aumento della produzione, veniva a decisioni importanti per l'industria di Stato: 1° con la classificazione dei salari in varie categorie (17), distribuite in gruppi notevolmente distanziati fra di loro, per essere le rispettive retribuzioni stabilite nel rapporto di uno (salario pari al necessario per il mantenimento di una famiglia di tre persone) per gli operai non qualificati, di tre per i qualificati e di cinque per il personale amministrativo; 2° con la sostituzione, al sistema dei premi, del sistema della partecipazione di operai ed impiegati agli utili dell'azienda.





    Deliberazioni, rimaste poi affermazioni teoriche senza attuazione reale; perché i salari (come vedremo) son restati sempre, nell'industria di Stato, enormemente inferiori alle necessità elementari della sussistenza, e la partecipazione agli utili é un'amara ironia in aziende che sono in grave deficit persistente. Ma come affermazioni di principio hanno una notevole gravità, sia in quanto dividono la classe lavoratrice in tre categorie ben differenziate come ceti distinti, sia in quanto introducono teoricamente il principio della concorrenza industriale e commerciale anche fra i gruppi proletari (maestranze) appartenenti alle diverse aziende, che se potessero in realtà trovarsi cointeressati ognuno alla maggior somma di utili nell'azienda propria, assumerebbero, in luogo della netta figura di salariati e della coscienza di classe, una figura e coscienza miste di elementi proletari e capitalistici, fra i quali l'egoismo e l'interesse particolare, stimolati dalla cointeressenza, tenderebbero a far prevalere i secondi sopra i primi.

    La partecipazione delle maestranze agli utili delle singole aziende (dove veramente se ne abbiano) può essere, senza dubbio, un mezzo di aumentare la produzione; ma, nell'applicare in questo campo il motto della nuova politica economica proclamato da Lenin: - "l'interesse personale aumenta la produzione; e noi dobbiamo, sopra tutto, aumentare la produzione ad ogni costo", - i comunisti non guardavano al rischio di atomizzare e dissolvere in antagonismi particolaristici di maestranze quella solidarietà e coscienza di classe del proletariato, che per un partito comunista dovrebb'essere il porro unum necessarium. Quando, in Italia, i capitalisti proposero, in luogo del chiesto controllo sulle industrie, la partecipazione delle maestranze agli utili delle aziende, le organizzazioni sindacali intuirono subito il pericolo e respinsero la proposta. E in Germania nel gennaio 1922 gli operai delle officine Krupp, respingendo unanimi analoga offerta di azionariato, così motivavano il loro rifiuto: "L'introduzione di queste azioni non può che nuocere agli operai... lo spirito di solidarietà, che solo può assicurare l'avvenire delle classi lavoratrici, sarebbe considerevolmente indebolito dal fatto che alcuni operai si trovino ad avere gli stessi interessi dei padroni" (Avanti!, 29 gennaio 1922).





    La Repubblica dei Sovieti applicherebbe invece (se la passività persistente delle sue aziende non l'impedisse) il sistema, pur riconoscendo - come si esprimeva Kameneff in una relazione, che abbiamo già citata - che "anche fra gli operai noi ci troviamo nella corrente piccolo borghese".

    In realtà il rimprovero di Kameneff non era intieramente giustificato. Egli accusava di tendenze piccolo-borghesi gli operai, in quanto fra loro si andava "manifestando sempre più l'aspirazione a ricevere un salario esattamente fissato". Ma questo era inevitabile, visto il fallimento della naturalizzazione dei salari, e la sostituzione sua col pagamento in una moneta di valore continuamente deprezzato. Il problema del salario s'imponeva in tutta la sua gravità per le necessità impellenti della vita.

    Nelle aziende private é di nuovo riconosciuto e ristabilito in pieno, nel fatto e nel diritto, il salariato, come soggetto alla legge economica del rapporto fra la domanda e l'offerta, ossia assumente la natura di merce (nel regno della merce anche la forza di lavoro, inevitabilmente, divien tale); e per le aziende statali il problema del salario e della sua corrispondenza ai bisogni della vita si complica col rapporto al livello dei salari nella industria privata, e si converte in antitesi fra le esigenze degli operai e le resistenze degli amministratori e dirigenti.

    Vero é che i decreti 10 novembre 1921, 23 gennaio e 15 febbraio 1922, affidando alla Commissione centrale del fondo salari il compito di fissare mensilmente un minimo legale obbligatorio per le singole industrie, di Stato o private, sembravano prevenire una grave causa di competizioni. Ma questi minimi son rimasti (secondo una dichiarazione dello stesso capo della statistica ufficiale) sempre insufficienti a soddisfare i bisogni anche più elementari degli operai. Una volta che sono fissati in moneta, risentono gli effetti della caduta del valore del rublo; anche se l'aumento enorme dei salari nominali abbia trasformati in milionari gli operai, il salario reale é in discesa : secondo la tabella statistica del n. 110 del Trud, organo ufficiale dei sindacati, dal novembre 1921 al maggio 1922 i prezzi di derrate e manufatti erano aumentati di 50 volte, e i salari soltanto di 15 volte. Dati ufficiali ottimisti, riferiti in Russian Information and Review, presentano medie di salari che vanno dal 50 al 73 % (solo per due categorie si avrebbe l'89 e il 98) dei salari, già estremamente bassi, del periodo prebellico: dati pure ufficiali, ma meno ottimisti, della fine del 1922 danno una media generale di solo il 50% dei salari dell'anteguerra; e nel secondo semestre del 1923 risultano ancora per i ferrovieri il 27% e meno ancora per i maestri elementari. Lunaciarski, al X Congresso dei Sovieti (dicembre 1922), dichiarava che il personale sanitario ha solo il 33%, gli addetti ai trasporti il 24%, e i maestri elementari il 12% della somma ritenuta indispensabile per il minimo dell'esistenza!





    Queste cifre, di una gravità impressionante, costituiscono quel salario legale o minimo, stabilito mensilmente dagli organi di Stato competenti per le diverse industrie, e pagato quindi ai lavoratori delle aziende di Stato. Nell'industria privata, invece, le condizioni degli operai, che riescono ad ottenere salari più alti che in quella di Stato, raggiungendo spesso e talora superando anche il livello dell'anteguerra, sono notevolmente migliori.

    Così, mentre il Codice del lavoro stabiliva che il salario contrattuale nell'industria privata non potesse essere inferiore al minimo legale fissato per la relativa industria di Stato, già Tomski al Congresso comunista del 1922 osservava che, ripreso lo sviluppo del capitale privato, non si poteva più ammettere un massimo legale di paghe: "ora (diceva) sarebbe ridicolo esigere che gli operai rifiutino paghe superiori a quelle stabilite". Pure, di fronte al dislivello che si viene a produrre fra la grande industria statale e la piccola privata, l'atteggiamento dello Stato in rapporto agli operai, s'è in certo modo capovolto.

    Nell'industria di Stato sia l'inettitudine dei dirigenti, e la cattiva organizzazione, sia la gravezza dell'enorme apparato burocratico e d'impiegati, sia l'improduttività degli operai depressi dalla denutrizione e dalla sfiducia, il deficit persistente impone il problema dei costi di produzione: e, come dice lo Schwarz e conferma la stessa Economic Zisn nel n. del 25 febbraio 1923, il metodo caratteristico degli industriali rossi (i dirigenti le aziende statali) é di seguir la linea della minore difficoltà, cercando il pareggio a spese dei salari. Ora la riduzione di questi nella industria nazionalizzata e il parallelo aumento in quella privata rinnovano, sotto altro aspetto, il fenomeno del riflusso della mano d'opera (sopra tutto specializzata), che già prima della nuova politica economica minacciava di dissoluzione l'industria di Stato, abbandonata dai lavoratori che tornavano all'artigianato e alla campagna. E il Governo ora, non sapendo altrimenti arrestare questa corrente prodotta dal dislivello crescente, avrebbe (secondo comunicazioni fatte nell'aprile 1923 al Consiglio panrusso dei Sindacati) emanate istruzioni per la sospensione degli aumenti, alle quali i sindacati operai si sarebbero attenuti.





    Ora questo passaggio dalla imposizione di un minimo a quella di un massimo di salari, se anche attuato con l'adesione momentanea dei Sindacati, che non si sono ancora spogliati dell'abito e della funzione di organi Statali, non mancherà di esser gravido di conseguenze: tanto più con la crescente abolizione di quella partecipazione dei Sindacati alle funzioni direttive delle aziende industriali, già attribuita loro, ed oggi sempre più riconosciuta incompatibile con l'iniziativa e l'unità di comando di una gestione a base commerciale. Da organi di Stato, i Sindacati si avviano a tornare organi di tutela e difesa della classe lavoratrice, in tutto ciò che riguarda i contratti di lavoro; come già dichiarava Tomski al citato Congresso comunista del 1922.

    "Le nuove condizioni impongono ai Sindacati la necessità di rifiutare l'intervento diretto nella produzione. Il compito principale dei Sindacati sta ora nel difendere gli interessi degli operai seguendo un'unica linea politica. Non si deve vedere una differenza fra gli operai delle imprese private e quelli delle imprese statali: quando nelle prime si ottiene un aumento delle paghe, non si deve chiedere agli operai statali di accontentarsi di paghe inferiori".

    Così che il compito dei Sindacati torna ad essere, in ogni campo, quello della difesa, della resistenza, della conquista: tornano organi di classe e di lotta, dopo la temporanea conversione in organi statali, partecipi delle funzioni direttive e regolative della produzione e distribuzione sociale. Il passaggio dell'industria nazionalizzata dalla funzione di servizio pubblico a quella di impresa commerciale non poteva non produrre simile effetto.

    La funzione di resistenza e di lotta era stata immediatamente riconosciuta e proclamata nei rapporti con le risorgenti industrie private, sin dal 1921. "Attualmente, (scriveva l'Econom, Zisn nel n. 89, 1921), in presenza della libertà di scambio, il prezzo d'acquisto della forza di lavoro si assimila a quello delle merci soggette al libero scambio".

    E poiché "la forza operaia esige di poter aumentare continuamente il suo prezzo", ha necessità di contrapporre all'azione depressiva della concorrenza la resistenza e il contrappeso della propria unione solidale. Tanto più in vista (come notava il Trud, organo della lega sindacale panrussa, nell'ottobre 1921), della formazione dell'esercito dei disoccupati, che la nuova politica economica ha fatto subito risorgere, con l'abolizione dell'approvvigionamento statale e con la riduzione e il licenziamento di forti percentuali di lavoratori nelle aziende e negli uffici sovietisti. Un articolo dell'Ecom. Zeisn del marzo 1922 prevedeva già per l'aprile un'ascesa del numero dei disoccupati da 600 mila a un milione; e questa crescente armata di riserva sarebbe stata un formidabile mezzo di abbassamento delle condizioni dei salariati in mano dei capitalisti, qualora non vi avesse fatto argine la resistenza dei Sindacati.





    Gli ultimi mesi del 1921 e i primi del 1922 sono appunto segnati da una serie di processi penali contro padroni di imprese private, per violazioni delle leggi sul lavoro: prolungamenti d'orario sino a 12, 16, e fin 17 ore; condizioni antigieniche delle officine, mancato rispetto alle tariffe stabilite dalla Federazione sindacale, opposizione all'inscrizione degli operai nelle organizzazioni di mestiere, assunzione di essi al di fuori della mediazione della Borsa di lavoro, sfruttamento illegale di minorenni, ecc.

    I Sindacati così si trovarono dinanzi un immediato compito di resistenza e di difesa contro il padronato e lo sfruttamento dei lavoratori; e in questo compito si presentava loro anche quella nuova condizione, espressa da Tomski nel citato discorso : "Ora non si deve in modo assoluto rifiutare lo sciopero". E il Trud fin dall'ottobre 1921 presagiva: "gli scioperi nelle aziende private saranno inevitabili".

    Ma mentre allora, rilevando che il massimo interesse della Russia stava nell'aumento della produzione, il Trud soggiungeva: "ne potrebbe conseguire che i Sindacati, nell'interesse degli operai stessi, avrebbero il dovere di impedire scioperi nelle industrie private" - pochi mesi dopo, nella primavera del 1922 (n. 102 e 137), doveva riconoscere una realtà di fatto superiore alla volontà delle stesse organizzazioni: "gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da una serie di gravi conflitti nelle industrie principali (statali) e dalla fuga di operai qualificati dai più importanti distretti industriali. Tutta l'industria statale é seriamente minacciata".





    Al Congresso comunista del 1922, Tomski, pur riaffermando il principio dello sciopero, dichiarava: "bisogna però distinguere gli scioperi nelle imprese private, che costituiscono una lotta contro lo sfruttamento, dagli scioperi nelle imprese statali contro i rappresentanti dello Stato che adempiono al loro dovere con trascuratezza e minano in questo modo il potere sovietista, e dagli scioperi infine che son mezzo di lotta contro il potere sovietista. Contro quest'ultimo genere di scioperi bisogna lottare con tutti i mezzi possibili". Distinzione troppo sottile, che in pratica si traduce in un riconoscimento effettivo del diritto di sciopero solo nelle aziende private e in una repressione costante nell'industria di Stato. Ma se tale ancora é la politica dei Sindacati, la graduale abolizione delle loro funzioni di organi statali e della loro ingerenza nella direzione industriale coopererà sempre più con l'impellente interesse degli associati a ricondurli all'orientamento e all'azione di classe.

    Le tesi della Federazione centrale panrussa dei Sindacati già nel febbraio 1922 ponevano chiaramente la questione. Come le aziende private, così anche ora quelle statali, "trasformate in aziende su base mercantile", si troveranno "per conseguenza ineluttabile cogli operai in antitesi più o meno aspra... La necessità imperiosa di aumentare la produttività del lavoro e il rendimento delle aziende, determinerà inevitabili antagonismi fra le masse lavoratrici e i capi delle aziende statali nelle questioni riguardanti le condizioni di lavoro. Per ciò incombe ai Sindacati il dovere di tutelare gl'interessi dei lavoratori, di migliorare per quanto possibile la loro condizione materiale, di correggere errori ed esagerazioni degli organi amministrativi".





    Così la lotta di classe e la necessità della difesa sindacale risorgono: non soltanto nei rapporti del proletariato col capitalismo privato, bensì anche in quelli con lo Stato dei Sovieti, che pure si chiama lo Stato degli operai e dei contadini. In questa lotta - che sarebbe assurda fra un proletariato dittatore e la sua dittatura - appare nella massima evidenza il mutamento di carattere che lo Stato compie, convertendosi da proletariato, quale voleva essere, in capitalistico, qual'é costretto ad essere di fatto, tramutando il carattere delle sue aziende da servizio pubblico in impresa commerciale. Ne deriva quindi anche tutto un mutamento dei rapporti suoi con le organizzazioni sindacali: che prima, nei Sovieti, cui veniva deferita la determinazione delle condizioni di salario, come ad organo legiferante in materia; oggi, nella difesa Sindacale, diventano strumenti di una lotta, che può ben essere anche antistante. Onde mentre prima l'iscrizione dei salariati ai Sindacati era obbligatoria, appunto per la funzione statale che al sindacato era deferita, dal febbraio 1922 la federazione dichiara "assolutamente necessario rendere facoltativo l'aggregamento ai Sindacati".

    Lo Stato non potrebbe mantenere l'obbligatorietà di una iscrizione dei salariati ad organizzazioni, che verranno a trovarsi anche contro di lui con le armi al piede in vigile difesa; e il Sindacato, d'altra parte, non può formarsi che di volontà e di coscienze liberamente aderenti, per averle convinte e decise alle azioni, che fin d'oggi considera inevitabili.

    "L'adesione ad una organizzazione "scriveva Jarotzki nel Trud, (nel febbraio 1922) dovrebbe scaturire da un bisogno spontaneo e dalla logica insita nella vita economica".

    Il bisogno spontaneo risponde all'esigenza dell'"assoluta libertà dell'operaio di decidere se voglia o no esser membro di un sindacato"; la logica insita nella vita economica giustifica invece la pressione delle organizzazioni sui singoli operai (anche con gli scioperi) per ottenerne l'iscrizione, pressione, di cui Jarotzki riconosce la ragion d'essere e l'utilità in Russia, come negli altri paesi d'Europa e d'America.

    Ma questa logica delle realtà economica, riconosciuta per la Russia sovietista come per le nazioni estere, significa la coscienza di una identità che nei rapporti fra classe lavoratrice ed aziende industriali la Repubblica dei Sovieti presenta con i paesi capitalistici.

    Anche per questo rispetto, della posizione dei lavoratori salariati e della lotta di classe, il capitalismo che si crea le sue leggi si vien delineando nella sua potenza dominatrice del processo storico in corso.

RODOLFO MONDOLFO.