REVISIONE LIBERALE

LA SCONFITTA DI FAUST

    Molti altri argomenti, e di carattere più realistico, potrebbero comprovare questa decadenza della trazione e dello stato nazionale. Gli innumerevoli ragionamenti economici intorno alla insufficienza dei mercati nazionali, le tendenze continentali americane e forse asiatiche, la debolezza organica delle così dette nuove nazionalità dell'Europa centro orientale, ove, per la confusione etnica, il governo degli stati viene riservato ad una minoranza, talora infima come in Polonia, si che i nuovi stati, formalmente calcati sul modello democratico-parlamentare, non si reggono anche là che sull'arbitrio e sulla compressione. Ma tale analisi venne fatta esaurientemente da altri, né ci giova ripeterla. Ci importa invece accennare ad una differenza essenziale tra i nazionalisti dell'Europa occidentale e quelli dell'Europa orientale. Mentre in quella il risveglio e la formazione degli stati nazionali corrisposero a momenti diversi della nostra civiltà, ed ebbero come sostrato storico la cultura e la formazione di interi popoli: Francia, Spagna, Inghilterra, Italia e Germania; nell'oriente invece la formazione dei nuovi stati é un fatto meramente politico, che là le forze operanti nella storia e nella cultura sono tre e tutte e tre supernazionali: panslavismo, cultura germanica, giudaismo.

    Che cosa possono opporre ad esse il nazionalismo e le tradizioni, non diciamo lettoni od estoni, ma polacche e rumene?

    E tale fenomeno della decadenza del nazionalismo appare intimamente connesso ad un fenomeno di più vasta portata, ormai ammesso come incontroverso: la decadenza e l'isterilimento della civiltà occidentale. A chi guardi oltre le attuali condizioni politiche ed economiche alle reali forze spirituali e materiali esistenti in Europa, appare molto probabile che il centro intellettuale dell'Europa si sposti verso oriente, restando alla Germania la funzione di mediatrice. Gli intellettuali tedeschi, come quelli che la sconfitta, dissipando i fumi del pangermanesimo, rese chiaroveggenti, appaiono sempre più consapevoli di questa loro funzione di mediatori tra la decadente cultura occidentale e la nuova cultura slava.





    In occidente si é troppo abituati a considerare il nazionalismo e la cultura di base e formazione nazionale "sub specie aeterni" per vederli, quali sono invece, un fenomeno storico degli ultimi secoli della nostra civiltà.

    Così quando uno slavo - si chiama egli Dostoievski o Lenin - parla di una missione universale della Russia e dello Slavismo, si classifica il fatto senz'altro per imperialismo nazionalista e non si comprende invece che egli rivela l'aspirazione o l'iniziativa effettuazione di quella realtà culturale, che assimila e plasma sul proprio modello gli individui ed i popoli. Nessuno nega che una tale realtà spirituale possa costituire una base saldissima anche per un imperialismo politico. ma l'una cosa e l'altra sono ben distinte e non procedono necessariamente di conversa. Se no, tanto varrebbe gabellare per imperialismo politico Ellenismo, il Cattolicesimo medioevale, l'Umanesimo italiano del Rinascimento.

    Ripetendo queste umili verità, non ci conforta di certo la speranza di convincere le piccole borghesie latine della sterilità, cui appaiono condannate per decenni. Ci fu un momento, quando - sotto l'incubo di una catastrofe imminente - la nostra borghesia ascoltava le profezie relativiste sulla fine dell'Occidente, che essa menò vanto del proprio "senso storico" che la faceva andare incontro rassegnata se non serena, al proprio tramonto. Oggi, scongiurato temporaneamente il crollo materiale, pare che si sia abbandonata ad un senile ottimismo. Ma il letargo degli esseri viventi non muta le vicende delle stagioni ed i sogni degli inconsci non scongiurano le decadenze.

    Intanto essa non sente che per la vita perdette le ragioni stesse della vita, che nella lotta al coltello per la propria esistenza materiale lasciò la fede in quegli ideali e in quelle forze che avevano dato un senso alla sua affermazione e al suo dominio; non s'accorge, la nostra borghesia, che irridendo alle ideologie ed ai miti dello stupido secolo XIX, rassomiglia al vecchio che sorride degli ideali della sua giovinezza. Solo le borghesie anglo-sassoni - colla loro fede, tanto derisa, nel pacifismo Lega delle Nazioni ecc. - paiono per il momento fare eccezione, e presso di esse infatti si salvano almeno le forme politiche della nostra civiltà.





    E quale appare la sorte dell'individuo, in questo tramonto? Come la filosofia idealista, non riuscendo a risolvere il suo problema centrale che é quello dei rapporto tra l'Io trascendente e l'io empirico, sbocca nel relativismo e nel solipsismo, così l'uomo moderno, perduta ogni fede nella Ragione o nella Storia, nella Libertà o nella Giustizia, si trova isolato, separato dai suoi simili da una muraglia insuperabile. Pare che sia spezzata anche la continuità colle generazioni passate, perché ormai la storia, dopo i trionfi dello storicismo, sembra non abbia più nulla da dire. Quel processo storico, che si pensa nell'atto in cui si pensa, non differisce per nulla dal processo d'indagine dello scienziato, la cui scienza é vera, non per il suo empirico contenuto, ma per l'atto del pensiero che la vivifica. Così anche ogni risultato storico, ogni esperienza logicamente si abbassa ad empiria. Curiosa conclusione per un pensiero che identifica la filosofia con la storia!

    Solo, sempre identico e sempre diverso, in fondo ad ogni realtà empirica, ad ogni processo spirituale, rimane l'atto del pensiero indistinto ed inafferrabile.

    È il trionfo e la morte dell'Io, coll'i grande o piccola poco importa. Faust aveva detto: "Be haupten will ich mein starres Ich" "io voglio affermare il mio superbo Io" ed oggi, nel vuoto che gli si fa attorno, nello scolorarsi di ogni realtà empirica ed estetica, etica e religiosa, sente che il suo io - si chiami esso pure l'Atto del Pensiero - lo circonda da ogni parte, cacciando da tutti gli oggetti, un tempo dilettosi, il loro contenuto, per riempirli della sua vacuità; e nello spavento e nell'oppressione egli geme lamentosamente.

    "Vacuo fantasma tenebroso e macro "l'Io mi ravvolge siccome una bara".

    Nella vita politica e sociale l'uomo moderno, per le sue conquiste, si era foggiato lo stato nazionale e liberale, l'unico che gli consentisse di affermarsi pienamente. Oggi lo stato nazionalista e non più liberale, questa realtà contradditoria, lo rinserra anch'esso come una bara.

    Questo crollo della sua realtà politica, ch'egli s'era faticosamente costruito, non é che l'aspetto esteriore della sua interiore disfatta.

    Avanzerà come nel Faust di Goethe, il coro mistico a riconciliarlo colla Realtà Trascendente, o l'eroe morrà disperato, come nel poema di Lenau, ed invidiando la perfetta empietà di Görg?

PIERO BURRESI.