REGIONALISMO E LIBERTÀ
Rimeditando sul volume di Michele Viterbo: "Il Mezzogiorno e l'accentramento statale", che contiene una serie di importanti articoli su alcuni tra i principali aspetti del problema del Mezzogiorno e del decentramento, e che può costituire un buon vade-mecum per noi meridionali, e pensando alle possibilità contradditorie al riguardo contenute in seno al fascismo ed enunciate dai vari organi del governo, mi rispondevo come i nostri contadini di una cosa che é del tutto fuori del loro potere e della loro scienza, e per la quale conviene rimettersene al tempo alla fortuna o a domineddio: - O maschio, o femmina. Ci darà il fascismo il decentramento e la regione? Forse che si, forse che no. Ci darà ad ogni modo qualche cosa, o anche non ci darà nulla, il che poi non sapendolo esso, non possiamo saperlo noi e bisogna rassegnarci ad aspettare. Il volume di V. insomma poche osservazioni richiede quanto ai particolari e molti consensi merita per l'accuratezza con cui sono trattate singole questioni ed affermate conclusioni che devono diventare assiomi per la media cultura. Così può sembrare strano che un propugnatore della politica di economie e della necessità di molti capitali liquidi per la soluzione dei nostri problemi agricoli e del conseguente capovolgimento dell'odierno sistema fiscale, tutte cose da lui affermate molto chiaramente, si attardi alle "delusioni subite in Albania e in Dalmazia dal nazionalismo" (pag. 65) e trovi che "le leggi esistenti a favore del Mezzogiorno... sono tra le migliori che mai siano state votate dal Parlamento" e le giudichi "meditate, in buona parte, sui bisogni reali ed immediati delle regioni del sud e sulle loro necessità peculiari in ogni campo". Questo sì che può generare funesti apprezzamenti, ben più che il pessimismo di Giustino Fortunato e di Azimonti, contro cui l'A. reagisce vivacemente (pag. 26) e pel quale mi permetterei di consigliare ai nostri di comportarsi come Pascal pel paradiso, agire come se fosse. Il V. sa perfettamente che, per dirne qualcuna, la legge 10 agosto 1862 per la ricostruzione dell'enfiteusi mercé la censuazione dei beni ecclesiastici fu una grande prova della immaturità dei nostri ceti dirigenti e della loro assoluta incomprensione della realtà; che la legge 15-7-1906 contiene ben poco, e ad ogni modo la parte più discutibile del progetto del 1902 sulle anticipazioni di sementi al colono e contro gli arbitri e le angherie dei proprietari, di modo che il tipo dei contratti agrari del Mezzogiorno rimane oggi, anche dopo la legge, immutato e quale i secoli sancirono nel Medio Evo. Questo sa tanto bene il V. che insiste per conto suo sulla inutilità sociale dei nostri agrari non coltivatori (pag. 14) e recita note osservazioni del Franchetti e di Sonnino sulla feudalità ristabilita dallo stato italiano a profitto delle oligarchie del Mezzogiorno (pag. 146-47) e sulla pazza politica fiscale a vantaggio degli abbienti (pagina 69 e altrove), per concludere che a un effettivo risorgimento del Mezzogiorno non potrà mai e poi mai derivare dall'attuale organizzazione delle forze produttrici" (pag. 48). E qui bisognava accennare che é proprio a vantaggio di queste classi di sfruttatori, per spazzar via le quali Sonnino avrebbe accettato una rivoluzione, che vanno risolvendosi dal governo le situazioni locali del Mezzogiorno. Non so poi dove si voglia andare a parare col raccontarci il buon senso del Mezzogiorno che "non si lasciò mai conquistare dal miraggio di Mosca" (pag. V). Scetticismo, amico Viterbo, nessuna fede in sé, molto meno nei propri signori; e anche nessun senso politico, nessuna intuizione né di Mosca né di Roma. Ma io temo che l'A. si faccia veramente delle illusioni sulla possibilità che le nostre cose abbiano presto a cambiare e che in somma per conto suo sappia... se sarà maschio o femmina. Almeno a giudicare da certe espressioni: "lo stato in Italia s'è fin ora incocciutito a legare la sua sorte all'accentramento dei poteri... (pag. 15). Tanta gente, anche colta e d'ingegno, si é messa, bontà sua, ad avversare il decentramento sol per avversare... don Sturzo (pag. 41)... Uno stato chiaroveggente, fatta l'esperienza di due o tre decenni, avrebbe mutato rotta (pag. 15)... Dateci il decentramento e sapremo provvedere ad elevarci" (pag. 12) .Altro che incocciuto! Si tratta di una formidabile rete d'interessi industriali bancari politici da spezzare. E anche questo sa l'A.: solo mediante la risurrezione delle regioni, l'opposizione ferma pugnace tenacissima (contro il prepotere dell'alta banca e della grande industria" (pag. 68) ecc. ecc. Tutto ciò sta bene. E stanno bene i propositi di fierezza, le proteste della nostra dignità conculcata dallo stato leviatano. E, dopo questo, che fare? Il V. si lascia andare ad una critica, di gusto troppo corrente, del parlamento e del parlamentarismo per arrivare poi inaspettatamente a Kurt Eisner: "noi vogliamo che tutto il popolo che produce sia chiamato a collaborare direttamente alla cosa pubblica" (pag. XV). Magari! Ed io per mio conto, sarei contento di poter spiare qualche sintomo... del parto famoso. Probabilmente, se il V. ci avesse dato, invece che una serie di articoli, una trattazione organica, si sarebbe soffermato anche sul presente esperimento di governo o almeno sulle tendenze del fascismo, senza lasciarci così a farneticare sulla domanda, che egli stesso suggerisce al lettore, che egli stesso si é posta, che é insomma la quistione principale, unica, se cioè sia possibile oggi una organizzazione statale forte e sicura, che osi rompere contro tutti gl'interessi parassitari che finora han costituto la nervatura dello stato e poggiarsi su altri, rurali e regionali, meno tenacemente avari (nel senso di Villari) e più solleciti delle plebi sottoposte, i quali noi crediamo più sani e più saldi. Non basta teorizzare che "tutto il nostro passato ammonisce e rammenta che la entità piena ed assoluta dello stato non può disgiungersi dalla coesistenza delle autonomie locali e regionali. Lo stato pugliese di Roberto il Guiscardo sorse e signoreggiò appunto mediante la coordinazione di forze diverse, senza soppressioni violentatrici" (pagg. 57-58). E anche "sarebbe ingiusto dire che monarchia e accentramento sono tutta una cosa e che, fin quando c'è la prima, bisogna piegarsi al secondo. Delle grandi monarchie europee fu accentratrice la francese, lo sono la spagnuola e l'italiana; non lo furono la tedesca e l'austriaca, non lo é l'inglese. La centralizzazione non é dunque una norma necessaria all'esistenza della monarchia. Questa come considerazione d'indole generale. Nel caso particolare d'Italia, le cose mutano. Da noi Cavour, Ricasoli, Minghetti e i loro successori non poterono effettuare i loro progetti perché la monarchia temeva di saltar per aria. V'à di più: l'accentramento fu la chiave di volta della conquista piemontese, cioè monarchica, del paese: sol così fu possibile il tentativo di piemontizzare l'Italia. Fra le repubbliche europee odierne quella di Francia é ancora accentratrice" (pag. 104). Molto meno basta compiacersi della creazione recente dell'ente scolastico regionale, che il V. sa ben poca cosa e tutt'altro che avviamento ad una soluzione anche nel blando senso da lui voluto di decentramento amministrativo nell'accentramento politico. Né dell'abolizione delle commissioni provinciali di assistenza e beneficenza pubblica, sostituite, come sa il V., dalle giunte provinciali amministrative, che non son nulla di meglio delle prime, a parte che sono pagate. Troppe cose si potrebbero osservare a quella sua visione storica sul nostro passato e sulle monarchie europee, le quali senza dimenticare che repubblica non é senz'altro decentramento, sempre e dovunque mirarono a distruggere la vita regionale e dove non accentrarono, fu perché trovarono resistenze sanguinose; ad ogni modo son già gravi le ammissioni e concessioni del V. sulla monarchia italiana. E noi potremo contentarcene. Il problema insomma é squisitamente politico. Che un uomo come Crispi abbia le traveggole per le cose della sua Sicilia e scambi l'ingenuo fascismo siciliano, che si serrava intorno ai sottotenenti e ai capitani dell'esercito regio come a saltatori delle camorre locali, per una forza antistatale, non può essere un mero errore casuale; né che Mussolini, tra i primi atti del suo governo, muova la crociata contro il sardismo, anch'esso dichiarato pericolo statale, salvo poi a riconoscere il proprio errore e, con squisita tattica fascista, a continuare la crociata: no, tutto questo non è sporadico, né senza più profonde ragioni. Sergio Pannunzio, p. es., appunto recensendo questo volume non ha dubitato di affermare (Gazzetta di Puglia, n° 26-8-1943), contro la nota opinione sulla saldezza dell'unità italiana di un esperto ponderatore di situazioni qual'é Giolitti, che "purtroppo parecchi scrittori ed uomini politici non capirono bene i pericoli che attraversò l'Italia, anche come unità statale, dal 1919 all'ottobre 1922, e parlarono di decentramento e di regionalismo con una leggerezza veramente estrema, e proclamarono che l'unità italiana non correva più pericolo". E si sa. Se il fascismo non avesse salvato l'Italia, e non una sola volta, che cosa ci starebbe a fare? Ma bisogna riconoscere che prevalenti preoccupazioni di ordine internazionale fan si che tutti questi uomini, anche in buona fede, mettano da parte i problemi d'ordine interno, meglio "le meschine questioni interne". Mi ricordano, sempre che li odo parlare di grandezza del paese, di espansione, di colonizzazioni, di imperialismo in disprezzo delle lotte popolari e dell'ascensione politica delle plebi, il dio della Bibbia che creò prima la luce e... dopo parecchi giorni, si ricordò di creare il sole e le stelle... "Il problema della libertà dell'Italia odierna e un problema di atteggiamenti e di sfumature, più che di realizzazioni positive" (pag. XIII) riconosce il V. Appunto, bisogna che diventi, nella pratica politica di tutti i partiti, problema di realizzazioni positive. Per quanto, com'è stato osservato, il sindacalismo non abbia mostrato una coscienza regionalistica, anzi siano molte le antitesi fra sindacalismo, s'intende quello antico, e regionalismo, pure la soluzione dei problemi sindacali e regionalistici non può venire se non dall'auspicata azione e quasi sollevazione, con tutte le sue incompostezze, delle masse contro lo stato e dalla ferma decisione dei dirigenti politici di ripetere e moltiplicare contro la violenza statale l'esempio del sindaco di Gork, in attesa e in vista, s'intende di una nuova è più svelta e sono organizzazioni della macchina dello stato, che, a parer nostro, ne uscirebbe più rinvigorito e agguerrito per le competizioni internazionali. Il V. addita fra gli stati confederalisti la nuova Russia. Ma, that's the question, come è vano parlar di sindacalismo e di finalità immediate o remote del socialismo in regime di mancata libertà, così la libertà elaboratrice di esperienze e di teorie, materia della storia, é base e condizione sine qua non per una proficua discussione e per una anche prudente azione in senso regionalistico. TOMMASO FIORE.
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