LIBERISMO PRATICO
Sotto questo titolo l'on. Buozzi a raccolto i discorsi pronunciati alla Camera durante la discussione sulla tariffa doganale, e l'ha fatto per difendersi dall'accusa di essere diventato una nuova recluta dell'esercito protezionista, mentre in realtà egli si sarebbe proposto di fare del "liberismo pratico" e sarebbe stato costretto perciò a collaborare cogli avversari nelle commissioni parlamentari. Poiché seguitiamo a credere che, nonostante le apparenze contrarie, le federazioni di mestiere di origine socialista saranno ancora chiamate ad esercitare una parte importante nella vita nazionale, riteniamo opportuno, all'infuori da ogni velleità di polemica personale, di discutere l'atteggiamento di uno dei loro organizzatori più intelligenti ed autorevoli di fronte al massimo problema della nostra politica economica. L'on. Buozzi è dunque convinto e vuole essere creduto quando egli afferma di non essere venuto meno ai principi liberisti; e noi riconosciamo volentieri con lui che è molto più difficile e pericoloso, ma può condurre a risultati molto più utili collocarsi sul terreno concreto dei fatti e scendere ad intese e compromessi per ottenere rinunce e concessioni sulle singole voci di una tariffa, piuttostoché trincerarsi comodamente dietro una formula negativa, sottrarsi in tal modo ad ogni critica e permettere intanto agli interessati più abili di foggiarsi liberamente un sistema ultraprotettivo. Tutto questo è perfettamente vero, e l'argomento difensivo è tanto più valido inquantoché non vi è oggi in Italia alcun liberista così convinto ed intransigente il quale non riconosca la necessità di procedere per gradi per non precipitare il paese in una crisi da cui stenterebbe a rilevarsi. Di qui la necessità della discussione e dei compromessi con gli interessati in tema di riduzioni. Ma se tutto ciò dimostra la necessità di un'azione concreta e contingente, non può condurre però alla conclusione che il liberismo per essere pratico debba arrivare alla negazione di se stesso. E tale invece ci sembra sia stato il caso dell'on. Buozzi. Questi infatti ha spezzato bensì qualche buona lancia contro i fautori della tariffa autonoma, si è dimostrato un brillante avversario del protezionismo agrario, ma ha attenuato la sua opposizione di fronte al protezionismo industriale in genere, e ha finito per difendere il protezionismo siderurgico in particolare. Ora, ce lo permetta l'on. Buozzi, il Parlamento potrà apprezzare altamente le sue qualità di oratore sobrio ed efficace, il suo ingegno acuto e la sua vasta e solida cultura di autodidatta; ma l'importanza e l'autorità maggiore derivano alla sua parola dall'ufficio che egli ricopre di segretario generale della F.I.O.M. Agli on. Olivetti e Benni importano ben poco le sue affermazioni e le sue critiche di liberista generico; ad essi interessa invece moltissimo di mettere in evidenza che, sul punto particolare della protezione all'industria metallurgica e meccanica, il rappresentante autorizzato ed autorevole degli operai è d'accordo coi rappresentanti degli industriali. Perciò appunto la recentissima conversione del deputato socialista è stata rilevata con vivo rammarico anche dai critici che hanno per lui la massima stima. Nel 1919 infatti l'on. Buozzi, com'egli stesso ricorda alla Camera con legittimo orgoglio, parlando a Napoli, nel collegio che da parecchi mesi lo aveva eletto deputato, ebbe il coraggio di dichiarare apertamente a 3 mila operai dell'Ilva che essi dovevano rassegnarsi a mutar mestiere, perché egli non si sentiva di andare a chiedere una maggiore protezione per la produzione della ghisa per la quale non vi è in Italia possibilità di vita. Egli dunque, metallurgico e organizzatore di metallurgici, apparteneva allora alla schiera dei liberisti più intransigenti che riconoscevano la necessità di sacrificare l'esistenza stessa della siderurgia di prima lavorazione, o per lo meno della produzione della ghisa. Oggi invece egli difende strenuamente la siderurgia in tutti i suoi rami, ritiene necessario di appoggiare colle forze degli operai gli argomenti degli industriali, nonostante che questi, tra il 1919 ed oggi, abbiano avuto quel piccolo regalo che è la tariffa del giugno 1921. Il solo argomento sostanziale che l'on. Buozzi accampi per giustificare la sua conversione, non è senza valore, ma non è affatto nuovo. Da un ventennio noi sentiamo ripetere che dalla scomparsa totale di una siderurgia nazionale di prima lavorazione non trarrebbero alcun vantaggio i consumatori, che in questo caso sono i metallurgici e i meccanici; ma ne approfitterebbero gli industriali stranieri e gli intermediari, liberi ormai di imporre qualunque prezzo ai clienti italiani. Ora anche l'on. Buozzi si è convinto della gravità del pericolo, e che per sottrarsi ad esso "non vi è altra soluzioni all'infuori di questa: aiutare l'industria siderurgica nei limiti minimi indispensabili perché possa vivere e servire di calmiere alla produzione estera. Il pericolo non è forse così grave ed imminente, come si vuol fare apparire, poiché esso presuppone che tutti i paesi esportatori di ghisa e di acciaio greggio rinuncino alla concorrenza e si uniscano in un trust mostruoso per taglieggiare i paesi consumatori. Ma non vogliamo escludere che il pericolo in qualche momento possa affacciarsi e che esso deva perciò essere tenuto in considerazione. Ma l'on Buozzi, il quale conosce le condizioni della siderurgia cento volte meglio di noi, può forse affermare che la protezione imposta nel 1921 dai siderurgici miri effettivamente a dare alla loro produzione la modesta ed utile funzione di moderatrice dei prezzi? E' forse per questo semplice scopo che il dazio sulla ghisa da affinare e da fusione, vera e propria materia prima per una serie infinita di grandi e piccole industrie, dalla misura già molto elevata di 10 lire per tonnellata è stato portato a lire-oro 43,70, corrispondenti oggi a 198 lire-carta? e che in conseguenza tutti gli altri dazi sui laminati, sui trafilati, sugli attrezzi, sulle macchine sono stati, in media, triplicati in lire-oro? In realtà non si può parlare di calmiere, quando si rende impossibile ogni concorrenza: quello che si è voluto creare e si è effettivamente creato è l'assoluto e incontrastato monopolio dell'industria nazionale che può liberamente imporre i propri prezzi senza preoccuparsi di aumentare e di migliorare la produzione. Se nonostante i dazi proibitivi è continuata negli ultimi due anni l'importanza dei prodotti metallurgici, questo è derivato dal fatto che l'industria nazionale non è in condizioni di soddisfare a moltissime richieste del mercato. Ma per quei prodotti che, bene o male, son fabbricati all'interno, non v'è acquirente diretto o intermediario che si ostini ad importarlo dall'estero per sostenere fra dazi e trasporti una spesa per lo meno uguale a quella del prezzo d'origine. Com'è stato sostenuto da tecnici di grande valore, se si voleva effettivamente mettere la siderurgia di prima lavorazione in condizione di sostenere la concorrenza coi produttori stranieri, bastava compensarla della condizione d'inferiorità a cui la condanna d'importare il carbone dall'Inghilterra; e poiché per produrre una tonnellata di ghisa si impiegano all'incirca 1400 chilogrammi di carbone, si trattava tutt'al più di rimborsare il prezzo del trasporto; e per questo, con noli attuali, il vecchio dazio di 10 lire-oro era, press'poco, sufficiente, e non vera alcuna ragione di quadruplicarlo. Per la stessa ragione non si può dare un grande valore alle riduzioni proposte e in gran parte ottenute dalla sottocommissione di cui faceva parte l'on. Buozzi. È verissimo che per nessun altra delle sezioni in cui è divisa la tariffa doganale furono proposte tante riduzioni quante ne concordò la sottocommissione per la sezione quarta (minerali metallici, metalli, prodotti delle industrie metalliche e meccaniche); ma bisogna anche aggiungere che nessuna è divisa in un numero così infinito di voci e sottovoci che in nessun altra, come in questa, in seguito al deprezzamento del carbone e dei metalli ed alla fortissima contrazione della richiesta, la misura dei dazi ottenuti si è rivelata superiore alle necessità stesse della protezione, tantoché in moltissimi casi i produttori nazionali si son dovuti limitare a usurfruirne soltanto per una piccola parte. Se prendiamo ad esempio il caso delle rotaie per ferrovie, la riduzione del 30 per cento proposta dalla commissione può sembrare una vera conquista liberista. Ma l'impressione muta immediatamente, quando si osserva che il punto di partenza è un dazio letteralmente proibitivo di 14 lire-oro per quintale (65 centesimi-carta per chilogramma!) e che esso resta proibitivo anche dopo la riduzione. Escluso dunque ogni argomento di carattere economico che possa giustificare la conversione, resta soltanto un movente politico e professionale, che il segretario della Fiom ha confessato apertamente nel suo discorso alla Camera. "Ebbene, egli ha soggiunto dopo l'accenno al suo argomento del 1919 di fronte agli operai napoletani dell'Ilva, io vi dichiaro che oggi a ragionare in tal modo io non ci andrei più e non perché le mie idee sono cambiate. Il fascismo ha trovato il suo maggiore alimento nella crisi e nella disoccupazione. Arrestare delle attività industriali attualmente, vorrebbe dire aiutare quel movimento fascista che si è battuto con tanta violenza sulle nostre organizzazioni. Per questo suicidio io non sono disposto a prestare la mia opera. Quando la libertà permetterà alle nostre organizzazioni di riconquistare quell'efficienza cui hanno diritto, ragioneremo più liberisticamente". Alla prima impressione una tale impressione sembra così ingenua che si può giustificarla come un semplice pretesto. Ma in realtà sotto di essa si nasconde tutta la dolorosa e profonda contraddizione a cui non hanno potuto finora sottrarsi l'attività dei nostri organizzatori, per quanto indipendenti e coraggiosi essi fossero. In periodi di salari crescenti e di facili vittorie essi possono parlare ai loro organizzati la voce rude della verità. In periodi di crisi, di disoccupazione, di salari decrescenti, quando l'esercito si assottiglia e le reclute dell'ultima ora cercano altre bandiere più promettenti (oggi il fascismo, come ieri il sindacalismo rivoluzionario o l'anarchia) l'organizzatore è costretto a rinunciare a certe pregiudiziali, a non rifiutare quegli aiuti che possono almeno momentaneamente alleviare la crisi ed impedire la dispersione totale degli organizzati rimastigli fedeli. Quando agisce in questo modo l'organizzatore - siamo prontissimi a riconoscerlo - non obbedisce ad un meschino criterio bottegaio, ma obbedisce ad una necessità, ed ha soprattutto di mira gli interessi degli operai ch'egli rappresenta. Ma l'organizzatore che è anche un uomo politico, che ha un sistema di idee politiche ed economiche da difendere e da far trionfare, dovrebbe avere la forza di superare queste necessità contingenti, per quanto gravi esse siano, senza porre quelle idee in aperta contraddizione con la propria attività pratica. La lotta di classe combattuta in regime di libertà doganale e senz'altri interventi proibitori, e senza confronti è più aspra e difficile, poiché in essa salariati e datori di lavoro sanno di dover contare soltanto sulle proprie forze e che la lotta finirà col danno o anche con la rovina dell'una o dell'altra delle due parti. In regime protezionista invece e soprattutto in regime di protezionismo crescente o dinamico, le due parti in lotta sanno che alla fine ne l'una ne l'altra sarà chiamata a pagare completamente le spese, ma che queste, almeno in parte, graveranno sopra un terzo, che da quella lotta è rimasto completamente estraneo. Ma la vivacità stessa con cui l'on. Buozzi ha sentito il bisogno di protestare contro la qualifica di protezionista ci fa sperare che egli abbia visto il pericolo a cui può condurre la smania essere pratici, e che egli come molti altri dei suoi compagni migliori, comprenda che in questo momento può valere assai meglio a tener strette le file la fede aperta e sicura nei propri ideali, piuttostoché la ricerca affannosa di vantaggi immediati. Del resto poi, in questo caso particolare vi è anche la possibilità di conciliare la fede nei principi con la praticità. Nel chiudere la discussione sulla tariffa doganale, la Camera dei Deputati ha approvato all'unanimità un ordine del giorno che impegna il governo ad eseguire col concorso di una commissione parlamentare gli opportuni studi per sostituire il regime del premio di produzione a quello del dazio sulla ghisa. Il regime dei premi di produzione non rappresenta certamente l'idea di un liberista; ma nel caso della ghisa in cui non si cerca e non si desidera un aumento di produzione, ma si vuole solo garantire quel minimun che assicuri l'attività degli impianti e serva in qualche modo da calmiere, quel sistema rappresenta un male minore, ed offre soprattutto il vantaggio inestimabile di smantellare dalla base tutto quell'edificio di dazi mostruosi che nella protezione della siderurgia di prima lavorazione han trovato la loro prima e massima giustificazione. Son passati ormai quattro mesi da quel voto unanime, com'era facilmente prevedibile, non si è sentito più parlare. Ecco un'ottima occasione per l'on. Buozzi, che a quel regime s'era in precedenza dichiarato favorevole, di richiamare il governo all'adempimento di quel voto, e di dimostrare in tal modo ch'egli vuol fare effettivamente del liberismo pratico, senza che la praticità implichi la rinuncia a tutti i propri ideali. GINO LUZZATO
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