FASCISMO E MEZZOGIORNO
Caro Professor Monti, Ho letto con la maggiore attenzione e, mi permetta, ammirazione le sue considerazioni su Fascismo e Mezzogiorno e sono commosso da questa nuova prova della sua elevatezza morale, del suo spirito tragico. Ma mi permetta di dirle candidamente, per quanto ciò possa addolorare anche me, che qui da noi siamo sempre in tema di commedia o peggio e che nessun segno io vedo di virilità, sibbene molti di rassegnazione impotente, di disperazione passiva; nessuno che indichi che la gente comincia ad aver fiducia in sé e sia disincantata dall'attesa del Governo. E, di grazia, come potrebbe avvenire il miracolo, se quelli che comandano, comandano per appoggio del Governo? Insomma, lei lo comprende bene, tutta la questione da noi consiste in questo che maggior parte della gente pensa solo a lavorare e lavora forse più che nel resto d'Italia, e non ha nessuna voglia di occuparsi di amministrazioni, di opere pubbliche, d'istituzioni civili, di politica in breve, nel senso più ampio, mentre una piccola parte, una esigua minoranza, sempre quella, impadronitasi dei poteri pubblici, non sapendo e non potendo provvedere al proprio sostentamento e decoro col lavoro, vi si mantiene ad ogni costo aggrappata, con l'aiuto del Governo, di qualsiasi Governo. Ora è chiaro che né la gran massa, né gli altri hanno volontà alcuna di ribellarsi, quella perché non ha un filo di speranza né quindi alcuna voglia di far lo sforzo, questi perché, rappresentando il Governo, sono arrabbiati conservatori. Ben dice lei che il fascismo è costretto a passare quaggiù attraverso la democrazia sociale; direi meglio anche attraverso la democrazia sociale, come attraverso qualsiasi altro partito al potere. Ora quaggiù da noi si fa un gran parlare di sostituzione di vecchi uomini, come avemmo l'ingenuità di proclamare noi combattenti nel '19, ma è tutta una lustra, e i vecchi sono più vivi dei giovani e ne tirano abilmente le fila. E ad ogni modo se sostituzione c'è, i giovani, o corrotti inconsciamente dalla tabe nazionalistica e agitantisi nel vuoto del patriottardismo ufficiale, o di già ammaliziati e fatti scettici quanto ad orientamenti ideali, si sono assunti, per incoscienza o pagliettismo, il compito di riecheggiare il più verboso sbandieramento delle idee-paravento, delle idee, oppio, delle idee-capestro di patria, energia, disciplina, onere nazionale, produzione ecc. ecc., senz'altra preoccupazione che di stordire dippiù per darla meglio a bere. Cosa questa a cui riusciranno immancabilmente, poiché, messi da parte con le minacce quei due o tre uomini capaci in ogni provincia di una qualche opposizione, quella benedetta massa voterà, come ha sempre votato, gli uomini del governo, contentandosi, magari, della posa della prima pietra di un monumento. E in conclusione a me pare che lei si illuda, sopravvalutando le manifestazioni del soldino o quelle della Campania. La Sardegna è un'altra cosa e potrebbe davvero con i suoi pastori organizzare sul serio una Irlanda vendicatrice: l'Italia meridionale no. Vuol vedere l'esempio di una città che del fascismo se ne infischia? È Bari: intorno al fascismo assenteismo, vuoto pneumatico, paura pel ricordo delle violenze passate, disperazione, aspettazione che la cosa passi da sé, che Mussolini cambi indirizzo, che comprenda finalmente l'abisso che si scava e che ci scava, voci fantastiche di dissidi e di lotte violente in seno al fascismo, tra Rossoni e Michelino Bianchi, tra l'uno e l'altro onnipotente generale, nessunissimo proposito, nessun ripensamento, una decina di socialisti riformisti, brava gente che aspetta anch'essa, e una voce libera, quella del repubblicano Pier Delfino Pesce, anch'egli nazionalisteggiante, ma una sola, predicante nel deserto. L'Italia meridionale non ha capacità di ribellione. E se la sua disperazione fosse veramente virile, come lei dice, si tradurrebbe pure in qualche cosa. Non credo quindi che se il Nord avesse fatto la repubblica sociale, sarebbe nato un fascismo da noi. Il Mezzogiorno è monarchico? No. Il mezzogiorno, cioè, come ho spiegato, quella esigua minoranza che governa, è pel governo centrale, per qualsiasi governo centrale le assicuri la continuazione del mazzierismo, della depredazione dei beni pubblici, del proprio predominio. Solo in questo senso è monarchico. Il nuovo governo centrale della repubblica sociale, lasciate sul principio un po' le briglie alle masse più o meno ingenuamente bolscevizzate, che si sarebbero contentate di conquistare le amministrazioni pubbliche per pagare meno tasse, per riversarle sui signori, per depredarvi a loro volta, fatta qualche legge sociale a mo' di lustra, disperso un mezzo miliardo in opere pubbliche ad appaltatori e a cooperative, inviati quaggiù dal Nord una cinquantina di propagandisti-rappresentanti del governo a tener viva la fede e a mantener l'ordine, si sarebbe subito trovato nello stesso imbarazzo in cui si è trovato il governo fascista, di vedere tutti gli uomini e tutti i partiti, proclamando le proprie antiche benemerenze verso il patrio governo, fare a pugni a chi arrivasse primo ad esserne riconosciuto benemerito e legittimo rappresentante, pur di potere conservare il potere e tenere a freno il partito avverso, quelli cioè che aspirano ad acquistarlo, sempre in nome del governo e delle proprie benemerenze verso di esso. Sarebbe stato accomodante, approssimazione, né a destra né a sinistra, né carne né pesce, come tutto da noi. E non avrebbe avuto l'ingenuità, come non l'ha il governo fascista, di alienarsi le classi dominanti, con una politica pro lavoratori. Tutto questo per noi è lapalissiano e ad ogni modo i nostri uomini di governo, e fin i rappresentanti dell'autorità centrale non nascondevano di essere pronti al passaggio. Avremmo avuto delle violenze? Certo che sì, violenze di plebi, facili a domarsi, anzi facili a cadere sul nascere, con qualche concessione-lustra. Ma attribuire al Mezzogiorno, anche in via di ipotesi, la capacità di creare un proprio fascismo monarchico, è donchisciottismo belle e buono, nobile donchisciottismo, ma donchisciottismo. Il monarchismo del Cardinale Ruffo trovava contro di sé le ingenuità dei repubblicani, tutti i signori; la strage Pisacane fu alimentata dai signori, timorosi di perdere il potere; il brigantaggio del '66 trovava un governo incapace di comprenderlo e di valutare i bisogni d'ordine agrario-sociale dei contadini, ciò che non sarebbe stato il nuovo governo. Che fare? Mah! Vedremo che ci sarà da fare. Per ora bisogna che la gente veda operare questi uomini nuovi, anche se uomini-paravento, e si persuada al lume dei fatti, che son sempre quelli. Ovvero, dato, come è in parte, che ne sia già persuasa, che abbia tanto di libertà da poter aprir bocca e far contare per qualche cosa la propria opinione. Per quelli che lavorano e che, per necessità o per elezione non si occupano che dei fatti loro, l'ideale del governo non è il monarchico piuttosto che il repubblicano, (che non si curano di sistemi politici), ma quello che si occupi il meno possibile dei fatti nostri, che ci rompa il meno possibile le scatole, che ci faccia pagare il meno possibile di tasse, che ci dia il meno possibile di leggi, che non ci dia nulla, poiché non vogliamo nulla, ma soprattutto non ci tolga nulla, che assicuri l'ordine sul serio per tutti, che non influisca sulla giustizia, che non c'imponga uomini, né giovani né vecchi, né del governo né contrari al governo e in breve ci ignori quanto più può e ci lasci a vedercela da noi. Che sappiamo di potercela vedere e di saper fare ormai, se la violenza dall'alto, che una volta fu giolittismo ed ora è fascismo, non pretenda di stabilire una innaturale differenza tra cittadini e cittadini, proclamando gli uni salvatori della patria e difendendone tutte le canagliate, e cercando di far passare gli altri per poco meno che traditori e togliendo loro il pane e il resto. Come vede noi non otterremo nulla di quello che vogliamo. Almeno per ora, giova sperarlo. Mi perdoni lo sfogo e mi abbia con la più devota considerazione, TOMMASO FIORE Nel mio articolo Fascismo e Mezzogiorno, tempo fa io dicevo: "O io m'inganno o davvero sta accadendo nel Mezzodì qualcosa di inaudito. O io m'inganno, o il Mezzodì, in reazione ai metodi "conquista" del fascismo, disperando di Roma e del Regno d'Italia, si appresta davvero ad estraniarsi da quella vana astrazione che è l'Italia una ed a rinchiudersi nella realtà vicina della sua vita locale. O io m'inganno o il Mezzogiorno, reagendo al feroce unitarismo fascista si appresta, finalmente, a far da sé". La lettera dell'amico Fiore, altre lettere di altri amici di laggiù, l'omaggio dei sindaci calabresi al Duce, il mazzo di cittadinanze onorarie offerte a Mussolini dai comuni di Terra di lavoro, sarebbero tutte cose le quali starebbero lì a dimostrare che io mi son davvero ingannato e che il Mezzogiorno ha tutt'altro per la testa che reagire al fascismo e disperare di Roma, e che il Mezzodì farà ancora e sempre quello che gli comanderà di fare il Centro ed il Nord d'Italia Veramente io, prendendo pretesto dal fatto che quei tali comuni sono del Casertano e che quei tali sindaci sono delle Calabrie e che i miei corrispondenti parlano espressamente del Mezzogiorno continentale, potrei arzigogolare, e far delle distinzioni, e salvarmi dicendo che quello che non è vero per la Terra di Lavoro e Calabrie e Puglie e Basilicata e Napoli è vero invece purtroppo per Sardegna e per Sicilia, e potrei conchiuder dicendo di voler attendere che il movimento si propaghi, come già altre volte, dalle isole al continente. Io invece non voglio, per sostener la mia tesi, rifugiarmi in Sicilia o in Sardegna; io non voglio neanche difender qui ora la mia tesi neppure parzialmente: io voglio riconoscere con l'amico Luzzatto che è assurdo e pericoloso attendersi una riscossa locale contro il rovinoso centralismo romano fascista e prefascista da regioni economicamente invalide come quelle del Mezzodì; io voglio ammettere come vero e fatale il tragico aforisma "miseria e schiavitù". Ma dopo queste e tali ammissioni io vorrei fare a me e ad altri una domanda. Che proprio non ci sia nulla di probabile nella tesi marxista del progressivo impoverimento dei ceti non abbienti, e della loro progressiva disperazione, fino allo scoppio incoercibile della rivoluzione rivendicatrice di equità e di giustizia? E se questa previsione s'è dimostrata falsa per il proletariato urbano e industriale, non potrebbe essa avverarsi per un altro stato sociale, anzi, non per questo o per quel ceto, ma per una stirpe, per una razza in contrapposto ad un'altra? Nel Mezzodì si sta svolgendo non da ieri la tragedia della decadenza, anche fisica, di tutta una razza: questa tragedia nel dopoguerra pare per troppi indizi che volga alla catastrofe: gli scarsi risparmi sono andati distrutti: il protezionismo industriale del Nord soffoca definitivamente l'economia e la produzione del Sud agricolo; l'emigrazione è cessata ed è insufficiente; l'Inghilterra sta per chiudere le sue frontiere ai prodotti tipici e peculiari del nostro Mezzogiorno; tornano, più neri che mai, i giorni neri del conflitto doganale Crispi-Repubblica francese. Non può darsi che la miseria, divenuta intollerabile, faccia laggiù scattare la molla, faccia scoppiare la mina? E un'altra domanda io vorrei fare agli amici tutti, noti ed ignoti, del Mezzodì, alle persone di laggiù ricche e di beni e di cultura, ai settentrionali del Mezzodì. Supponiamo che io, invece di ingannarvi, abbia ragione: supponiamo che davvero sotto le lave spente e le ceneri raffreddate covi costaggiù una eruzione; supponiamo che domani, d'incanto, risuscitino nei due, nei dieci Mezzodì orde del Ruffo, brigantaggio politico, fasci siciliani, travestiti alla foggia dei tempi, insorgenti contro i detentori del potere, quali essi si siano; voi, contraddittori miei, di questo evento sareste, si o no, contenti? voi, i più giovani, vi sentireste di mettervi alla testa d'un siffatto movimento per incanalarlo o per guidarlo al meglio e al reale? Oppure avreste paura di una eruzione siffatta, e vi stringereste, ancora e sempre, al governo centrale e lo aiutereste, ancora e sempre, a soffocare quel movimento autonomistico e liberatorio? La questione importante, a me pare, è tutta qui. Che se veramente le aristocrazie del Mezzodì, che esistono e che noi conosciamo, non solamente credessero improbabile una reazione autonomistica del Mezzodì, ma soprattutto, dentro di sé, convintamente, la deprecassero o la temessero, allora davvero anche noi dovremmo cessare di guardare al Mezzodì e alle isole per attender di là conforto e aiuto, e dovremmo, non volendo o non potendo rinunciare alle nostre idee federaliste, coltivarle, agitarle, e diffonderle nelle regioni del Nord, nella Catalogna (economica per ora) d'Italia. AUGUSTO MONTI
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