BORDIGA

    Il processo di Roma contro una parte dei dirigenti del Partito Comunista ha contribuito a porre in singolare rilievo la figura di Amedeo Bordiga, finora nota soltanto ai pochissimi che seguono da vicino il movimento dei partiti proletari italiani. L'idiozia di certi giornalisti li ha indotti a sottolineare sopratutto, nel contegno del Bordiga in Tribunale, una disinvoltura a base di spiritosaggini: in realtà si tratta di un uomo serio (malgrado quell'humour caratteristico dei napoletani colti), troppo serio, forse, per rientrare nello schema tradizionale del rivoluzionario italiano.

    L'atteggiamento di Bordiga si spiega colla conoscenza dell'uomo: egli è un convinto, tenace, intransigente valorizzatore del proletariato come classe e del Partito Comunista come organizzazione direttiva dell'élite proletaria.

    Fiducioso nella sicura e proficua vittoria rivoluzionaria del proletariato comunista; dello "Stato borghese" e della borghesia come classe politica egli non ha grande stima. Condannato, egli avrà una conferma delle sue previsioni, una riprova che per colpire i suoi nemici di classe il potere borghese non esita a violare la propria legalità; interpreterà l'assoluzione come un atto di debolezza del nemico. Uomo dell'ordine nuovo, non può attribuire allo Stato ed a tutti gli altri organi del potere della borghesia alcuna sovranità, ed alle ideologie borghesi alcun valore, se non di strumenti per una dominazione di classe, antiproletaria.





    È questa la mentalità della nuova generazione rivoluzionaria e comunista, inquadrata nella Terza Internazionale; mentalità che, prima della guerra, era propria soltanto dei bolscevichi russi. Il comunista è un soldato della rivoluzione, disciplinato soltanto agli organismi rivoluzionari, pronto a tutto, come il cristiano primitivo, rinnegando ogni legame coll'ordine esistente nell'interesse supremo della rivoluzione. Chi non tiene conto di queste premesse non può capire l'essenziale del movimento che fa capo all'Internazionale Comunista, non può valutare nella sua importanza la radicale trasformazione operata nella mentalità rivoluzionaria dalla coscienza di una decisiva crisi imminente e dal contatto coi bolscevichi russi, i soli che già prima della guerra avessero seriamente affrontati i problemi della rivoluzione proletaria; e non può neanche comprendere nella sua serietà il contegno di Bordiga e dei migliori suoi compagni di fronte al Tribunale. Il milite comunista non può credere all'imparzialità della magistratura ed a priori ne respinge l'autorità: la sua difesa è quindi sopratutto un mezzo ed un dovere di propaganda, che esercita senza tenere alcun conto della propria persona e della probabilità di essere condannato: incidente previsto, perché la borghesia - sfidata - deve e sa difendersi, colla "legge" e fuori della legge. La guerra è la guerra, e tutti dovranno riconoscere la logica inesorabile di Bordiga.

    Può darsi che egli abbia torto, che la sua coerenza nasconda un errore fondamentale: che cioè sia errata la diagnosi della situazione, che si ritenga erroneamente mortale la crisi, che la rivoluzione sia impossibile mancandone le condizioni oggettive: può darsi che ciò sia vero e che allora i comunisti siano fuori della realtà. Ma chi può osare un giudizio che spetta soltanto alla storia?

    Certo, Bordiga è un uomo di eccezionale interesse, anche per valore e qualità personali. Ne ha scritto efficacemente il dott. Ruggero Grieco:





    "Bordiga è un comunista giunto al Comunismo attraverso lo studio dei nostri Maestri. Agli agi della sua famiglia di antica nobiltà e della sua professione in cui poteva eccellere, ha preferito farsi condottiero di masse. Le eccessività, le angolosità, l'asprezza che molti sanno come aspetti preminenti del carattere del Bordiga sono spiegate da chi conosce un poco la storia del proletariato italiano e gli uomini che l'hanno diretto. Bordiga è una reazione al parlamentarismo, al democraticismo, all'opportunismo che in Italia hanno schiacciato il proletariato. Una reazione é sempre eccessiva. Ma nel momento in cui gli opportunisti italiani aderivano alla Terza Internazionale ed inneggiavano alla rivoluzione imminente, Bordiga ha salvato la tradizione della sinistra marxista formulando le note tesi sull'antielezionismo.

    Per la sua tesi antiparlamentare ed astensionista, Bordiga venne accusato di "infantilismo" da Lenin. In realtà, se nei confronti della politica e del programma organico dell'Internazionale Comunista, il radicalismo di Bordiga può considerarsi una "malattia infantile" del comunismo, valutato in sé e riferito ai precedenti più diretti è invece ben diversamente spiegabile. L'entusiasmo spiega l'anti-sindacalismo, la quasi diffidenza verso i consigli di fabbrica, come elementi politici del potere proletario, e lascia prevedere le linee della politica che seguirà più tardi il Partito Comunista: intransigenza, accentramento, ripulsa di ogni accordo anche transitorio con quelle stesse frazioni proletarie che non osano ancora spezzare tutti i legami coll'ordine sociale esistente per porsi senza riserve sul terreno della Terza Internazionale.

    Egli è un rappresentante del Mezzogiorno italiano, privo di proletariato industriale, strabocchevole di bracciantato mobile e di disoccupazione, scettico e radicale nell'opposizione politica, immaturo sindacalmente, ma ricco di impulsi, e per tradizione rivoltoso. La cultura marxista ha corretto certi errori originari, ma non ha potuto distruggerne tutte le traccie. In Italia sono più tenaci di quanto non si creda certi motivi del primo internazionalismo, espressione di condizioni reali del paese.





    Bordiga, rigido affermatore della supremazia del Partito nella lotta proletaria, non comprese il valore rivoluzionario del sindacalismo, ai suoi tempi, come ritorno ai principi classisti contro le deviazioni parlamentaristiche. Allo stesso modo Bordiga, nel 1919-20, cogliendo il valore del Soviet come elemento del nuovo potere proletario non riuscì a comprendere l'effettiva corrispondenza che con esso avevano i Consigli di Fabbrica.

    La costituzione del Partito Comunista (1921) porta Bordiga alla rinunzia dell'astensione, accettando tesi, tattica e disciplina dell'Internazionale. Tale accettazione tuttavia non fu sempre completa: non per politicantismo, ma proprio per la sua particolare forma mentis, per certi suoi apriorismi, per la sua naturale rigidità di uomo tutto d'un pezzo, convinto come un apostolo, inflessibile come un capo militare.

    La tattica del fronte unico, cioè degli accordi tra comunisti ed altre frazioni proletarie, fu da lui combattuta teoricamente e praticamente osteggiata, perché non riuscì mai a capire le esigenze della politica, perché non poté ammettere mai un'azione comune tra un Partito omogeneo e disciplinato come il Comunista, e l'inconcludenza caotica di certo massimalismo. Anche se certi suoi insegnamenti possono confondersi col macchiavellismo imbastardito dei posteri: "colpire, colpire senza esitazione, brutalmente e ciecamente, l'avversario; dire la verità, senza scrupoli, solamente se necessaria, mentir ove occorra; vivere la vita del rivoluzionario comunista, fredda, spietata, audace, appassionata, intelligente, generosa, crudele" (Lavoratore 7 marzo 1923), Bordiga non è un politico, è l'anti-Machiavelli.

    Tipica la sua incomprensione del fascismo come movimento politico, l'indifferenza nella lotta dell'oligarchia fascista contro lo stato liberale e democratico.

    Certi suoi atteggiamenti possono aver nuociuto all'affermazione politica del Partito Comunista, ma forse erano inevitabili, il meno peggio. Del resto Bordiga esprime nella sua intransigenza e nel suo radicalismo, una concezione ed una tattica rivoluzionaria caratteristicamente intonate colla situazione italiana.

A.VIGLONGO