COMMEMORAZIONE

    Dopo un anno di esperimento fascista chi sente il bisogno di fare il bilancio è l'opposizione. Le classi dominanti si accontentano di inni commemorativi. Forse questi inni sono meno tendenziosi, più sinceri di quei calcoli.

    Un bilancio di fatti non indica quelle risultanze che vanno oltre i fatti. In tema di contingenze si ha sempre torto e ragione insieme. A meno di guardare le cose dall'alto e poi da vicino.

    Mussolini ha pacificato l'Italia. Parlano di unanimità. Gli italiani sono contenti. Veramente le violenze non sono cessate, secondo i giornali antifascisti, che continuano ad enumerare episodi pietosi. I giornali mussoliniani trovano gusto a diffamare i ras, benché, se si vuole, i ras siano poi il regime. Ebbene bisogna dichiarare che questi malcontenti non hanno ragione d'essere. Mussolini e il regime non hanno colpe di sorta. Non è lecito pensare l'Italia più pacifica e più contenta (ossia più indifferente e vile), che nel presente anno di grazia. Se persistono le camicie nere, se ancora si parla di spedizioni punitive, bisogna avere il coraggio di confessare che questi sono i necessari congegni della pace in terra nostra e non cercare di specularvi sopra. Sono il tono della pace nel dopoguerra, come erano i mazzieri in regime giolittiano.

    Nessuno degli antifascisti ha il diritto di criticare questa situazione, poiché tutti la vollero quando invocarono il fronte unico della conservazione contro la rivoluzione; quando deprecarono la lotta di classe e cercarono di corrompere il movimento socialista. Che cosa ha fatto Mussolini? Ha accettato il programma di Nitti e trovandolo improprio ai cervelli italiani, si è rivolto a suon di randellate ai crani refrattari. Nel gioco trasformistico ha introdotto cinicamente il nuovo elemento della forza, contando pacificamente sulla viltà.





    Giolitti corrompeva i partiti e li lasciava vivere. Mussolini ha superato tutti gli esempi di trasformismo, di insincerità, di compromessi, di ricatti. In un anno di governo ha spezzate tutte le resistenze, ha costretto tutti gli uomini a piegarsi, a rinunciare alla loro dignità. Ha ridotto alla schiavitù liberali, democratici, popolari. Passa sopra tutte le differenze. Costringe col metodo dei compensi operai e industriali a far coesistere allegramente i loro interessi antitetici. Spezza le distinzioni, le responsabilità precise, la fermezza dei caratteri e l'intransigenza onesta delle idee. La dittatura giolittiana aveva una linea, una tenacia piemontese, tendeva ostinatamente a fare di questo paese infelice e chiacchierone una nazione ricca ed europea. Il romagnolo ha l'istinto del condottiero di ventura, la pregiudiziale che gli uomini devono servire lui, il gusto per l'unanimità cortigiana. La sua politica verso i partiti ha la teatralità di tutti i deboli e ignora che i grandi statisti hanno sempre saputo dominare le differenze della realtà senza sopprimerle.

    Ma noi contestiamo alle opposizioni il diritto di seguirci in queste critiche. Chi degli oppositori ci intende, se diciamo che una delle ragioni della nostra lotta al fascismo sta nel carattere tollerante e paterno della dittatura di Mussolini? Chi ci approva se facciamo l'elogio della lotta politica e dell'Italia del dopo-guerra (disordinata solo perché un popolo senza tradizioni comincia naturalmente con le forme primordiali di lotta)? Ma se volete discorrere di stile nella polemica antifascista dovete seguirci sino a queste conseguenze.

    Noi abbiamo sentito di amare il conte Sforza, un anno fa, non perché egli era stato il primo artefice di una grande politica estera, ma perché di fronte a Mussolini comprese senza esitanze che la questione non era di dettagli o di tecnica, ma di istinto.

    Solo chi ha avuto un moto di ribellione in quei giorni, chi non ha calcolato, chi si è sentito di un'altra razza preoccupandosi di un problema di decoro personale e non della popolarità, ha il diritto di non essere fascista. Gli altri sono aspiranti fascisti insoddisfatti: e bisogna rompere il blocco dell'antifascismo perché c'è molta gente che vuole realizzare.





    Gli oppositori più melanconici parlano di libertà violata, si richiamano allo Statuto albertino. Lo Statuto albertino in 75 anni non ha certo aspettato che Mussolini lo violasse per primo. Quando Bonomi o i democratici sociali parlano di Statuto e di libertà, noi non possiamo non sorridere, perché ci vien fatto di pensare malignamente ad un'offerta non accettata di collaborazione.

    Solo Luigi Albertini è riuscito a commuoverci parlando in Senato e sul Corriere dello Statuto. Luigi Albertini ha voluto conservare la sua dignità. Noi comprendiamo che si possa da alcuni di noi nutrire per lui anche un segreto rancore. Noi non ci adattiamo a credere che il Corriere non abbia potuto fare a meno di tacere. I discorsi stessi di Albertini in Senato parvero ingenui: ma in quei momenti l'ingenuità salvava un carattere. La tirannide di Mussolini è ben più sottile e raffinata di quel che possa credere un costituzionalista: eppure le accademiche parlate di Albertini attestavano che in Italia rimanevano delle persone bene educate, disposte a discutere di principi tra camice nere e mani levate per il saluto romano. Un uomo che ha avuto questa fermezza pedagogica avrebbe anche dovuto permettere che si precipitasse contro di lui e contro la sua opera la violenza di una spedizione punitiva. Nessun danno alla causa se le lezioni di stile avessero dovuto diventare eroiche.

    L'opposizione tecnica di Amendola e di Ruini nel Mondo non ha certo la stessa efficacia della disquisizione accademica di un conservatore. Il Mondo non ha dato tregua alle iniziative del governo: sa ricordare al momento giusto che la lira, nonostante le promesse di Mussolini, non è salita, denuncia gli errori del discorso De Stefani, mostrando che il bilancio non migliora, svela il parassitismo delle cooperative fasciste, più fameliche di quelle socialiste, sfrutta il malcontento democratico per le riforme del Gentile, si sdegna per la sfacciata caccia fascista alle cariche, per l'iniqua distribuzione delle opere pubbliche, per le bugie dei comunicati ufficiosi. Questa critica piace ai piccolo-borghesi. Ed è pacifico che l'aristocrazia nuova di Mussolini ha molto da imparare dalla perizia di uomini come Ruini. Per l'ordinaria amministrazione le creature del regime giolittiano valgono tutti gli Acerbo e i Finzi del nuovo mondo. Non con le camice nere e coi nuovi funzionari stipendiati per i servigi resi nella guerra civile si va verso il pareggio. È certo che nell'esperimento le condizioni finanziarie e amministrative della nazione sono scandalosamente peggiorate. Dunque il Mondo ha ragione. Ma non ci convince il tono. Tutto questo in sostanza è un collaborare con la critica. Mussolini potrebbe migliorare la tecnica, diminuire gli scandali e gli accaparramenti, frenare la fame dei suoi collaboratori e resterebbe per noi un irreducibile questione di principio.





    Lo stile: ecco ciò che non si vede facendo il bilancio. Le sagre e l'educazione alla politica del tresette significano un deficit che da solo basta a far fallire qualunque amministrazione statale.

    È bastato l'incidente di Corfù per avvertire anche gli osservatori più lenti che il Guatemala si sta avviando a diventare un modello di dignità.

    Vogliono l'unanimità in politica estera. Propongono consolanti dimostrazioni imperiali alle fantasie piccolo-borghesi degli italiani. Infatti per i nostri connazionali non i fatti importano ma l'enfasi di una dimostrazione ben riuscita in piazza e la voce grossa del fanatismo presuntuoso. Segreti di regime demagogico se si pensa che Mussolini ha rinnegato ogni nazionalismo programmatico e vien facendo per la popolarità la più grossolana delle politiche pacifiste: quella dell'inerme che minaccia.

    Quale sarebbe dunque il responso dei fatti? Fallimento e crisi generale. Ma c'è un fatto che sta sopra tutti i fatti: il regime si è consolidato, trionfa di tutte le opposizioni, canzona tutti gli avversari. Se il bilancio è rovinoso l'Italia è contenta e contro questa inesorabile realtà si spuntano tutte le critiche più sottili dei malcontenti. Essi sono più colpevoli delle classi dominanti. Il recente tentativo di creare il mussolinismo accanto al fascismo è stata la prova più pietosa della mancanza di dignità negli italiani non fascisti. La gara nel servilismo non poteva svelarsi più ripugnante.





    Dopo un anno di esperimento gli italiani non hanno imparato nulla. Il signor Giovannini continua ad offrire la sua collaborazione; i combattenti come Arangio Ruiz e Savelli non chiedono che di ubbidire lealmente al duce, di sostituire i ras in tutti i servizi; i socialisti unitari e i popolari non rifiuteranno la collaborazione tecnica: essi si dispongono al sacrificio solenne per salvare le organizzazioni e il proletariato. Chi dice di resistere parla a sproposito di Italia libera e con metodi perfettamente fascisti si nasconde dietro l'equivoco simbolo della medaglia d'oro di Rossetti. Ma la cosa più buffa sarà la lega democratica di Bonomi. Anche I. Bonomi dichiara di non essere aprioristicamente antifascista. Sul terreno della libertà e del consenso anche Bonomi tratterà per la collaborazione. Se queste nostalgie per il potere nascondono un calcolo machiavellico, bisogna sorridere per l'ingenuità di Bonomi e dei suoi amici. La loro vanità si direbbe proprio allegra se non hanno ancora capito di essere dei vinti. Essi sperano di giocare Mussolini sul terreno parlamentare e con le astuzie della politica. Essi non si sono accorti che Mussolini li vale tutti, che la ricchezza dei suoi espedienti è addirittura fantastica, che devono confessarsi novellini di fronte al nuovo domatore e alle sue capacità di non tener fede ai patti, di guadagnare la popolarità ad ogni costo, di asservire abbagliando e lusingando.

    Se questi sono gli oppositori approviamo Mussolini quando dice che starà al potere trent'anni. Basta tale minaccia per ridurre alla mansuetudine un avversario di cinquant'anni, sia pur ostinatamente fiducioso nella propria longevità! Mussolini conosce i suoi polli e vedendo le paure degli avversari si potrebbe anche credere alla sua forza. E' probabile che con istinti così ferocemente collaborazionisti Giovannini e Bonomi, Savelli e i giolittiani rimarranno a bocca asciutta. E dovremo riconoscere un incantevole moralista nel presidente corruttore.

    Solo di fronte a chi non ha ufficio o lucro da chiedergli l'uomo è disarmato. Il presidente corruttore che contamina e piega ciò che tocca non può nulla contro l'intransigenza. Ora noi siamo contenti di noi stessi, del nostro sistema cerebrale, se un anno fa la legge del mussolinismo ci fu chiara e riuscimmo a conservare la nostra libertà mantenendocene degni. Agli antifascisti che ci espongono i loro programmi di blocchi e di realizzazione possiamo chiedere sorridendo un noviziato di disperazione eroica. Forse il disinteresse sarà il migliore machiavellismo; il solo capace di sconcertare un trasformista e un domatore, di fargli sentire che ci sono valori contro i quali la sua abilità non conta.

    Dopo dodici mesi di esperimento noi ripetiamo l'esortazione all'intransigenza: e questo pare la nostra forza.

p. g.