DELLO STATUTO
In un recente volumetto (Per lo Statuto, Firenze, Vallecchi) G. de Montemayor combatte il progetto di riforma: costituzionale proposto da Michele Bianchi perché, oltre tutto, c'è nel nostro Statuto di che impedire al Parlamento di fare e disfare i Ministeri, c'è di che impedirgli di tener schiavi i Ministeri. Il Re può nominare Ministri quelli che gli pare e piace di nominare, sieno o no parlamentari, e lasciarli in carica finché gli pare e piace di lasciarceli, anche se ciò non piace al Parlamento. Dunque - conclude il Montemayor - se il Re ha il diritto di scegliere lui i ministri, senza tener conto dell'indicazione del Parlamento, torniamo allo Statuto, al Parlamento sia lasciata unicamente la funzione che gli è propria di far le leggi: così il parlamentarismo sarà ucciso e l'Italia, sarà finalmente salva. Il Montemayor cade nello stesso errore, alquanto ingenuo, di Michele Bianchi. Michele Bianchi crede che a tutto sarebbe rimediato il giorno in cui si stabilisse che il voto di fiducia dato dal Parlamento ai ministri dura per un certo numero di anni. Michele Bianchi non ha pensato una cosa assai semplice: che un conflitto potrebbe sempre sorgere, mentre dura il periodo della fiducia, tra Parlamento e Gabinetto. Il Gabinetto, in tal caso, come si comporterebbe? Andrebbe via o rimarrebbe? Avrebbe, anche più che con la costituzione attuale, il dovere di andarsene, poiché ripeterebbe la sua origine del Parlamento più di quanta accadesse fino all'ottobre del 1922. Ma se si ostinasse a rimanere, il Parlamento non potrebbe prendersi il gusto di votare tutte le proposte di legge non graffite al Gabinetto e bocciare tutte quelle presentate dal Gabinetto? Nel volumetto del Montemayor c'è una lacuna: l'indagine del quando e dei perché la corona principia a nominare i ministri su indicazione del Parlamento. Probabilmente, se egli avesse fatto questa indagine, sarebbe giunto a ben altre conclusioni. Ma per giungere a ben altre conclusioni gli sarebbe bastato anche meno. Mussolini aveva avuto l'incarico di formare il Gabinetto contro l'indicazione del Parlamento (dunque il Re non aveva mai perduto il diritto di scegliere i ministri come e dove gli paresse e piacesse di sceglierli). Ma, qualche giorno dopo, pur non ripetendo la sua origine dal Parlamento, sentì il bisogno di chiedere il voto di fiducia del Parlamento e ha sentito il bisogno di tornare a chiederlo tre o quattro volte. Eppure il Parlamento non lo aveva, non dico obbligato, nemmeno pregato di tanta cortesia. Ora, se perfino il dittatore sentì il bisogno di ottenere la fiducia del Parlamento, e di un Parlamento per giunta esautorato, finito, ridotto a zero, bisogna dire che vi fosse una ragione non facilmente distruttibile dal fatto che la Corona nominava di solito i ministri su indicazione del Parlamento, e non già che questo fatto fosse dovuto, come mostra di credere il Montemayor, a una violenza esercitata dal Parlamento su la Corona. Del resto, non c'è bisogno di scervellarsi tanto per comprendere come fosse nell'ordine naturale delle cose che la Corona nominasse i ministri su indicazione del Parlamento. Pigliamo un qualunque consiglio comunale in cui si sia determinato un conflitto tra maggioranza e Giunta, che abbia la fiducia del Consiglio, l'Amministrazione comunale non potrà funzionare. Allora, una delle due: o il Governo sceglierà il consiglio comunale o obbligherà la Giunta a dimettersi. Il Governo, in questo caso, direttamente o per mezzo del suo rappresentante sul posto, il prefetto avrà la funzione che la Corona esercitava nei conflitti tra Parlamento e Gabinetto. Si avevano infatti dei casi in cui il Gabinetto si dimetteva senza che vi fosse stato un voto del Parlamento. Spesso, in questi casi, la Corona obbligava il Gabinetto a chiedere un voto alla Camera e ciò per sapere su chi dovesse far cadere la nuova scelta. Io dico, in altri termini, che non il Parlamento obbligasse la Corona a dare l'incarico di formare il Gabinetto a Tizio anziché a Caio, ma la Corona obbligasse il Parlamento a darle un'indicazione. Il Montemayor non ha, secondo me, approfondita la lettura di quegli articoli, che cita, per il ritorno allo Statuto, del Bonghi e del Sonnino: il Bonghi e il Sonnino non rimproveravano tanto al Parlamento di far lui i Gabinetti, quanto alla Corona di non farli lei. Avevano torto anch'essi. Non avevano pensato che, scegliere i ministri senza tener conto a tenendo conto in piccola parte soltanto dell'indicazione del Parlamento, significherebbe nient'altro che mettersi a fare tutta la politica per la Corona, assumersi la, responsabilità di tutta la politica, sempre, s'intende, che il Parlamento lasciasse fare. Che se il Parlamento non lasciasse fare, si potrebbe avere un risultato di questo genere: un Gabinetto conservatore costretto a eseguire e a fare rispettare le leggi di un Parlamento liberale o di un parlamento social-riformista, e viceversa. ARCANGELO DI STASO
|