Lettere dalla Sicilia
IL SENSO DELLA GIUSTIZIA"Governata da proconsoli tipo Verre, e poi dai patrizi bizantini, e poi ancora dagli emiri arabi e dai viceré spagnoli, con tutta la corte dei magistrati e dei funzionari minori, la Sicilia ha visto sempre il potere dello Stato sotto la forma del soldato straniero che devasta, e rapina, del fiscale o del gabelliere che estorce i tributi, del magistrato che si avvale della sua carica per angariare ed arricchirsi. Da ciò l'odio istintivo contro l'autorità costituita, ma, nello stesso tempo, ciò che sembra un paradosso e non è, la concezione astratta dello Stato lontano che, appunto perché lontano, acquista valore quasi mitico e ideale e da cui si attende quella che è la speranza più viva e indistruttibile di tutti gli oppressi: la giustizia" (1). Ora é appunto questo innato "senso della giustizia, esercitato prevalentemente e per tradizione secolare su tutta l'attività statale, che segna le direttive della vita politica isolana, alla quale volta a volta fu negato un contenuto veramente politico e cioè nazionale, o fu attribuito invece gran peso nella vita di questa nostra recente unità. E l'antinomia si risolve pensando appunto a quel che dice il Vitale: che i siciliani, pure addestrati per naturale tendenza alla critica spesso demolitrice dell'attività dello Stato, non sanno e non possono prescindere dalla necessaria concezione ed esistenza di uno stato lontano, distributore di giustizia, taumaturgico, personificato, al quale possono far giungere contro gli organi locali - le loro lamentele e le loro imprecazioni. Lo stato per siciliani, oggi, non può quindi essere che monarchico e rappresentativo. La rappresentanza parlamentare per siciliani, oggi, non è che rappresentanza di singoli individui, di singoli collegi. Il deputato dei siciliani, oggi, è il difensore dei loro interessi privati, delle loro cause contro ingiusti interessi della collettività politicamente organizzata, contro l'azione degli enti statali che nelle loro province rappresentano e difendono eventuali ingiusti interessi. E il giudice non può essere che lo Stato cosi come essi lo concepiscono, in difesa del quale quando - è giunto il momento - son pronti a scendere in campo ed a sacrificarsi. È per questo che i siciliani furono conservatori quando l'ondata bolscevica minacciò la compagine nazionale. È in questo senso che i siciliani - con le affini popolazioni del basso meridionale - salvarono l'Italia dalla rivoluzione pseudo-socialista. Ma quali sono i limiti, quale è il contenuto della giustizia; che cosa è, qui in Sicilia, la giustizia? C'erto se lo si va a domandate al primo bifolco che s'incontra per una polverosa via di campagna, non si riuscirà ad averne un 'idea qualsiasi. Sarebbe lo stesso che pretendere di trovare in un sordomuto di nascita la concezione di un'idea astratta! Il nostro bifolco, infatti, quand'anche sappia con mano tremante vergar la sua firma, é sordo, è muto sia pure alle più modeste manifestazioni della cultura. A che sarebbe servita, del resto, l'istruzione a lui, bifolco, se egli è convinto che resterà sempre bifolco e che bifolchi saranno sempre i suoi figli? Per lui la giustizia é un sentimento le cui origini si perdono negli oscuri meandri della sua anima semplice. Per lui non é giusto, ad esempio, che un qualsiasi altro individuo tocchi le cose e le donne che son sue e su cui egli esercita una signoria sia pure non assoluta. Per lui non é giusto che l'agente delle imposte o la guardia daziaria gli tolgano il frutto del suo lavoro, lasciandolo quasi morir di fame coi suoi figliuoli, mentre poi quegli stessi agenti non lasciano morir di fame altri suoi concittadini... E tutto questo per vantaggi che egli colpa non certo sua - non sente, non vede, non ha mai desiderato, non vuole! Per lui non è giusto che un suo simile, cui egli non attribuisce un valore morale superiore al suo, una scienza superiore alla sua, lo domini attraverso la conquista di una qualsiasi carica pubblica, sia pure quella modestissima, di consigliere comunale del più piccolo paesucolo isolano! E allora invoca giustizia dal Dio lontano, dallo Stato. Ma se egli crede che il Dio lontano non possa occuparsi di lui, o se non può arrivarci attraverso il suo deputato oppure attraverso il sito padrone influente, passa al di sopra delle autorità locali, nemiche per definizione, e fa da sé. Giustizia sommaria! Che se poi andiamo a considerare quel che possa esser la giustizia nelle classi - medie isolane - senza preoccuparci della grossa borghesia di speculatori o arricchiti, e della vecchia e generalmente putrida aristocrazia, ché é radere di feudalismo, per le quali 1'istruzione, la cultura sono un lusso non necessario o un passatempo noioso - allora dovremo fare delle distinzioni. Le classi medie isolane si dividono in due parti nettamente segnate. Una prima parte si dedica agli studi, mirando alle carriere statali, e raggiunge, in un contingente notevolissimo in confronto di tutti gli altri cittadini italiani, le più alte cariche dello Stato e l'insegnamento medio e superiore. Un'altra - la pessima - si dedica agli studi per raggiungere comunque un titolo, sia pure di scuola media, che le possa servire di passaporto per le piccole cariche locali e vi si asside, petulante, ricattatrice della grossa borghesia e dei signoroni dal sangue blu; sfruttatrice ignorante e molesta, della gran massa dei bifolchi e degli altri bifolchi che, evasi dai campi, costituiscono la breve classe degli operai e degli artigiani. La concezione della giustizia per queste due categorie è naturalmente diversa. Per la prima, la migliore, la sola buona, la giustizia è intesa romanamente: ars boni et aequi. Questa sua concezione è rigida, non ammette deviazioni. Coloro che vi appartengono sono incapaci di transazioni morali. Sono giudici severi della vita pubblica e finiscono, nauseati, per diventare prima o poi dei solitari. In Sicilia sono considerati dalla gran massa dei cittadini come i veri galantuomini, perché non s'impicciano di politica, perché si fanno i fatti loro: professione e famiglia, ufficio e casa! Per l'altra categoria il concetto di giustizia, che fondalmente è lo stesso di quello della prima, quando li tocchi direttamente si sposta però a destra o a sinistra in funzione degl'interessi particolari dei suoi componenti. E poiché, data l'ignoranza assoluta degli uni - bifolchi e crapuloni - e l'assenza dei galantuomini, non resta in lizza che questa categoria, le elezioni amministrative e politiche sono in sua mano: i deputati da eleggere sono sempre quelli che, di schiena più duttile, possono mercanteggiare e puttaneggiare col governo centrale nell'interesse dei loro elettori! Per questa categoria il rappresentante politico che tutti, in genere, considerano - e l'ho già avvertito - come l'antico patronus, si cambia spesso col compiacimento più evidente del soggetto, il quale del resto conosce le sue origini, nella carogna livida capace di tanti adattamenti diversi quanti sono i calci che gli posson pervenire sull'indurito groppone. Ad ogni modo, il nostro "senso della giustizia" - malgrado i maltrattamenti che gli vengono da questa breve categoria di cittadini per disavventura - é buono ed anche suscettibile di frutti politici migliori di quelli che non dia, se adoperato dal Governo centrale con mano maestra. Ma disgraziatamente la pessima scelta dei nostri rappresentanti politici, i quali, per arrivare, non disdegnano a momento opportuno le armi della corruzione grossa e spicciola o della dedizione più condannevole, ha sempre fatto credere ai governi centrali di potere adoperare la rappresentanza siciliana come la parte consolidata del loro favore parlamentare. La Sicilia è stata quindi - sempre - il campo sperimentale di tutte le ingiustizie individuali e collettive, col silenzio complice dei suoi stessi deputati. Ma non occupiamoci di storia antica... Guardiamo piuttosto quali siano, oggi, le direttive della vita politica siciliana, segnate - come ho detto in principio - dal nostro "senso della giustizia". E per ciò fare, cominciamo ad occuparci dei partiti politici. Ci sono partiti politici, organizzazioni politiche in Sicilia? Decisamente no, per quante altre affermazioni contrarie si possano fare e da chicchessia. Non esiste un partito repubblicano o un partito mazziniano, per il semplice fitto che, mentre nelle altre regioni d'Italia - le più eminenti per lo meno - le tradizioni politiche sono - lo ha dimostrato luminosamente il Mazzini - repubblicane, le tradizioni dell'Isola sono senza dubbio e senza soluzioni di continuità monarchiche. La psicologia degl'isolani non - può essere - come ho già avvertito - che per la monarchia costituzionale. Non esiste un partito socialista, perché, come intuiva genialmente lo stesso Marx, l'organizzazione rossa non potrebbe essere che di paesi a largo sviluppo industriale e capitalistico. Sviluppo che, in Sicilia, è assolutamente di là da venire... Non esiste un partito comunista, perché il comunismo rappresenta lo sviluppo logico e razionale del socialismo, che qui non esiste. Manca la base, non è possibile la sopraelevazione. Non esiste un partito popolare, perché questo partito che vorrebbe essere in parte papalino, in parte socialistoide ed è, nelle sue linee programmatiche, una contraddizione di sé stesso, trova qui un terreno se non ostile certo in gran.parte indifferente. Vi aderiscono in prevalenza dei vecchi nobili, già clericali per tradizione o definizione, in quanto imparentati, legittimamente o illegittimamente non importa, oggi o ieri non importa, con grossi esponenti della gerarchica ecclesiastica. Ma questi vecchi nobili sono popolari solo per le funzioni, o cerimonie a carattere religioso, e cioè non politico. La loro influenza elettorale è, d'altra parte, sparuta perché da questo punto di vista domina quella parte delle classi medie di cui ho fatto lodi sufficienti, e che in materia religiosa è in genere caratterizzata da un inconsapevole scetticismo assai vicino all'amoralità e al cinismo. Del resto il Vaticano era il naturale alleato dei Borboni di non lieta memoria, eccetto che per i vecchi nobili ora popolari! Non esiste un partito liberale, perché questo partito dovrebbe avere una programmatica, ideale e culturale, e in Sicilia, come ho già detto... le persone per bene, i galantuomini, vivono da solitari! Non esistono i partiti democratico, radicale, riformista, e mentre ne sentite parlare da per tutto e, venendo in Sicilia, vedrete intestate a tali partiti molte insegne... Poiché i cosiddetti programmi dei cosiddetti partiti democratico ecc. si prestano a tante dilatazioni che vi trovan posto tutti i discorsi elettorali dei camaleonti della politica locale, le bandiere di questi partiti sono la veste arlecchinesca della maggior parte dei nostri deputati. A quale partito poi costoro siano sempre appartenuti o appartengano, si può vedere dagli atti parlamentari, da cui si desume che i nostri deputati - tranne pochissime e nobili eccezioni - votano in blocco per qualsiasi pugno di uomini assurto al potere, di qualunque colore esso sia! Non esiste un partito agrario... anche perché le tavole fondamentali dì tale organizzazione, recente del resto in Italia, si trasformarono, dopo la Marcia su Roma, in tante verghe pei nuovissimi fasci littori. Non esiste un partito sindacalista, perché il sindacalismo non può essere in fondo - che repubblicano, socialista, popolare o agrario e non può quindi che seguire lo sviluppo e le sorti di questi partiti. Né è a parlarsi di un sindacalismo puro, del quale del resto difficile assai sarebbe trovare uria convincente definizione, che, se attecchisse, in Sicilia come probabilmente anche altrove, non potrebbe essere se non a deplorevolissimo carattere personalistico ed elettorale. Non esiste finalmente né un partito, né un sindacalismo fascista. E a lato, o in contrapposizione, non esiste neppure un mussolinismo. Il fascismo fu infatti, nelle sue origini, un fenomeno di reazione. Ma qui l'azione che lo giustificasse non c'è mi stata. Si è detto che la Sicilia orientale fu per breve tempo in mano al socialismo e al comunismo. Si ricordano a tal proposito i fenomeni di Modica di Lentini e di qualche altro comune. Tutto falso. A Modica, a Lentini e in qualche altro comune non ci sono state che manifestazioni comunissime di delinquenze comuni, sia pure ammantate di un nome di moda, il socialismo, che serviva anche di salvaguardia e di difesa. Non bisogna dimenticare che si era posibellum e bisogna ripetere - anche a costo di esser vilipesi ancora - che la guerra nostra, come tutte le guerre della storia, fu maestra e propagatrice di delinquenza comune: furti, assassini, prevaricazioni, abusi d'autorità o d'uffici ed altre facezie del genere. Nulla di strano poi che la fiumana dei delinquenti... d'abitudine e d'occasione s'impaludasse là dove i solitari di cui ho già perlato fossero anche diventati scandalosamente e colpevolmente ignavi: la corrente invase le piazze, salì le scale pretorie, trovò nei municipi e nelle amministrazioni provinciali materia prima se non propriamente vergine, certamente suscettibile di altre violenze, e violentò! L'epurazione fatta più tardi fu un provvedimento di polizia, che errore di governo consentì prima ad un pugno di ragazzi accesi d'entusiasmo riflesso e poi ad organi extra-statali. E il "senso della giustizia" ha fatto giustizia di tutti. Qui occorreva la forza e l'azione dello stato, e invece - quando più tardi il fascismo si trasformò in partito - ci furono inviati, o furono scelti nella solita piccola borghesia procacciatrice, nuovi proconsoli tipo scadente in confronto del tipo Verre di classica memoria. E allora? Al di fuori e in assenza di partiti ci può essere vita politica? Una prova sarebbe data appunto da questa nostra Sicilia, là cui vita politica, interiore, critica, sta tutta quanta al di fuori delle rappresentazioni ufficiali. Non c'è territorio di questa nostra vecchia Europa che sia stato conquistato tante volte quanto quello di Sicilia, non c'è paese d'Europa in cui sia stato inoculato così copioso e vario sangue straniero come in Sicilia, ma non c'è del pari paese così difficile a conquistarsi nell'anima come questo antico reame di Poliremo. È il nostro "senso della giustizia" che ci guida e ci salva da ogni conquista. GAETANO NAVARRA CRIMI
(1) S. Vitale: La Sicilia, ne "L'Azione" del 26 Agosto 1923.
Il nostro Navarra-Crimi dipinge incisivamente una realtà di cui bisogna tener conto anche se non vi troviamo il nostro ideale. Fuori dei regimi diretti, delle democrazie, della lotta politica è difficile che i popoli conservino la loro dignità e fortifichino i caratteri. Ma le tradizioni siciliane (più chi nelle altre parti d'Italia) sono altre, il ritmo della vita isolana presenta, elementi estranei a tali esigenze. Questa patriarcale armonia non sarà uno degli ultimi ostacoli ad una vera vita unitaria.
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