CRISPI E LA DEMOCRAZIA

    Intorno al nome di Crispi si va formando da tempo una stravagante leggenda che specialmente in questi inquieti giorni di crisi e confusione trova larga diffusone e consenso fra gli uomini dì facile contentatura. Si ama attribuire da, alcuni, per sommaria, comodità polemica, alla figura di Crispi il cupo piglio del reazionario assolutista e clericaleggiante.

    Ora, in tali condizioni, è forse bene ricordare alcune idee e alcuni segni infallibili della interiore costruzione di intuiti e volontà che in ogni ora della sua vita tumultuosa resse e governò l'opera di Crispi.

    "Spesso gli autoritari parlano di diritti dello Stato. Questo è un errore. Lo Stato non ha diritti e non può averne. Esso riceve una delegazione del popolo per l'adempimento delle funzioni che gli vengono attribuite ; ed il popolo che eccede i limiti della sua delegazione e abbandona i suoi diritti allo Stato non è degno della libertà, ma fonda con le sue mani il dispotismo e la schiavitù".

    Sono parole ch'egli scrisse in un momento di sua grande responsabilità quando, dopo una lunga battaglia parlamentare e politica, l'audace Sinistra cui Crispi apparteneva da anni, riuscì a conquistare il potere ; parole che si trovano consacrate in quel suo libro famoso I doveri, del Gabinetto del 25 marzo che, varie volte ripubblicato anche negli anni in cui Crispi aveva assunta direttamente la responsabilità del Governo del paese, non fu mai in nessun modo modificato. E altrove:





    "Il partito democratico ha una grande missione ai giorni nostri: esso deve innanzi tutto, rompere le distinzioni di classe, raccogliere il popolo in un fascio per rappresentarlo e curarne gli interessi".

    E, contro la possibilità di una sua presunta tendenza a transigere sul problema della.questione romana, io credo valgano a sufficienza due frammenti di suoi vecchi discorsi pronunziati in epoche intense e memorabili.

    "Poiché avemmo la fortuna di abolire il potere temporale della Chiesa, noi dobbiamo provare coi nostri voti che saremmo pronti, anche con gli altri mezzi, a impedire che il Papato civile possa un'altra volta risorgere".

    Si trova codesta declinazione in uno dei suoi più forti e complessi discorsi elettorali. Ma non basta.

    Lo spirito dì essa non mutò mai veramente, nemmeno quando Crispi assunse la direzione della politica nazionale, come si può agevolmente rilevare da un'intervista, da lui concessa, nella qualità di Presidente del Consiglio e subito dopo il famoso discorso di Napoli conchiuso nel nome di Dio, a un giornale di Berlino nell'ottobre del 1894:

    "Quanto al Vaticano particolarmente, credo oggi come ho sempre creduto, che l'estrema concessione fatta dallo Stato sia nella legge delle guarentigie e che non si possa andare più in là".





    Ora che mai sono tutte codeste chiare e risolute idee se non il segno infallibile di un'interiore sistema di pensiero? Il quale sistema di pensiero si rivela, per esse, intimamente liberale e democratico, di quel liberalismo e di quella democrazia che non sono le tristi degenerazioni contemporanee contro le quali è troppo facile appuntar critiche ed ingiurie, ma sono il senso critico della nostra vita che di continuo si forma, il lievito fecondo della nostra storia in cammino.

    Tale democrazia specialmente vuole significare flusso perenne e invisibile delle incessanti energie della razza che affiorano ed emergono alla superficie a rinnovare con la loro schietta sanità gli strati ormai stanchi e svuotati; e perciò essa è possibilità infinita di iniziativa e incessante nascita, forma primogenita e fedele della vita che non può morire.

    In uno dei suoi più forti discorsi Giovanni Amendola ha definito esattamente codesto profondo valore della nostra democrazia: "democrazia in Italia significa questo: che l'avvenire del nostro paese non è soltanto negli uomini che oggi effettivamente partecipano alla, vita e alla coscienza nazionale, ma è in tutti gli umili, in tutti coloro che nell'avvenire saranno innalzati fino al livello della vita nazionale, della quale oggi sono soltanto partecipi in una maniera inferiore; significa che le porte della vita italiana debbono restare aperte a tutte le forze che salgono dalle profondità della stirpe".

    A questa democrazia apparteneva Francesco Crispi.

GHERARDO MARONE.