ARISTOCRAZIE E POPOLO
NEL RISORGIMENTO

    Il Risorgimento è un fenomeno originale o di imitazione francese? Nasce dal tormento teorico del'700 o è tutto frutto delle astuzie diplomatiche dell'800? Si può parlare di una filosofia, di una verità che costituisca l'essenza del Risorgimento?

    Il nostro Risorgimento si è tormentato intorno al problema della partecipazione delle masse. Tutto il resto è teoria e letteratura.

    Nel '700 la vecchia classe politica, aristocratica ed ecclesiastica, pareva in Europa pressoché esaurita. In Francia e in Inghilterra il terzo stato non era privo di attitudini alla successione. Questo non Accadeva in Italia, perché qui l'economia arretrata era bel lungi da offrire quella circolazione di capitali mobili necessaria per alimentare una borghesia.

    Si dà questo fatto curioso: che deve essere l'iniziativa del principe a opporre tra noi le classi popolari appena nascenti, immature, alle classi dominanti privilegiate, il cui potere soverchiante non garba al sovrano. Questa è la diagnosi più definitiva del fenomeno centrale del settecento: l'assolutismo illuminato Ecco perché la lotta contro il feudalismo è condotta in nome delle prerogative regie e si risolve a favore dello Stato centralistico mediante le riforme.

    Solo con molte riserve si può parlare, a questo proposito, di Risorgimento. Verri e Beccaria col paterno governo austriaco si trovano in una situazione di leali servitori. Filangeri e Pagano nel Sud, che sembra dover essere all'avanguardia, per la sua indipendenza, costruiscono grandi piani giuridici, senza pensare né alle rivoluzioni, né alle forze, popolari né alla libertà. Il modello è qualcosa di mezzo tra Montesquieu e i costituzionalisti inglesi. Nessuna rivolta contro il passato in nome di idee nuove, di stile liberale: si tratta di conservatori: con preoccupazioni laiche e democratiche perché queste sono utili al dispotisino. Originalità? È l'antico processo della Monarchia francese da Luigi XI a Luigi XIV, alleata alla Sorbonne e alla burocrazia contro la Corte e la Chiesa: si applica l'illuminismo europeo con moderazione e secondo le pratiche esigenze dei sovrani.





    Se si guarda il fenomeno dal punto di vista delle classi si scorge:

    1) una monarchia, in decadenza nel Sud; ancora impotente ma piena di speranze nel Piemonte, ma tuttavia quassù e laggiù operante come elemento essenziale e quasi deus ex machia.

    2) nobili e grandi ecclesiastici reazionari ad oltranza, feudali e teocratici;

    3) popolo assente, peso morto di tutte le corretti, parassitario ed estraneo alla vita economica;

    4) una classe politica che è in parte 1'antica feudale passata dalla parte del principe; in parte nuova intellettuale e borghese; le sue funzioni sono però prevalentemente burocratiche:professa ossequio intero alla Monarchia.

    Nel settecento l'iniziativa è del principe; nell'ottocento passa a questa nuova classe politica:è chiaro dunque che solo nell'ottocento si può parlare di Risorgimento. È facile spiegare il fenomeno confrontando un ministro del periodo illuministico con uno del secolo scorso: D'Ormea e Cavour. Cortigiano il primo, con gli espedienti dell'intrigo e la sagoma del negoziatore. Nel secondo in temperamento europeo e la diplomazia fondata sulle risorse della società, con lo sguardo acuto rivolto ai fatti economici scaturigini e preparazione sotterranea del fenomeno politico.

    Il fatto è che tra D'Ormea e Cavour c'è stata di mezzo la rivoluzione francese. Il Risorgimento non è intimazione o conseguenza di questa: tuttavia non può non tenerne conto. Alfieri fu il solo italiano che vedesse anche per noi la possibilità di una rivoluzione dal basso in senso unitario, condotta da aristocrazie repubblicane. Il suo pensiero è originale, anticipa anche la Rivoluzione francese. È un liberale, non un riformista. In lui si possono vedere le linee logiche del nostro rinnovamento. Nella realtà dovremmo accontentarci di parecchie transazioni.

    Ecco in schema una storia dell'ottocento.

    Mentre le altre nazioni hanno compiuta la loro riforma protestante e si sono liberate da tutte le ideologie teoriche noi non abbiamo più bisogno di una riforma religiosa; basta che affermiamo il nostro spirito laico col distruggere il dominio territoriale dei pontefici; ma per questo scopo è utile e quasi necessario professare il nostro rispetto alla Chiesa; attaccarla sul terreno politico, non sul dogmatico. Una riforma religiosa sarebbe stata un aberrazione. Perciò il nostro Risorgimento resta fondamentalmente cattolico, e sono cattolici anche i più eretici.





    La preparazione intellettuale del movimento si esaurisce con il romanticismo, che oppone un cattolicismo spiritualistico tradizionale al cattolicismo sintetico e conservatore della Santa Alleanza.

    Ciò è importante soprattutto per un riferimento pratico. La Chiesa ha fatto causa comune con gli assolutismi. Le monarchie, specialmente la sabauda sorprese e comprese dai primi movimenti del secolo hanno perso la loro funzione di inviatici e seguono l'equilibrio generale, piuttosto retrive che progressive. Il popolo appena risvegliato, gravita economicamente intorno ai conventi e agli istituti di beneficenza, tutti cattolici; ed è perciò cattolico di istinto e di educazione. L'iniziativa è tutta alla nuova classe borghese, che attuerà con Cavour la politica antifeudale del liberalismo economico, per potersi dedicare ai traffici e alle industrie che creeranno la prima ricchezza, mobile (capitale -circolante) in Italia. Ma come potrebbe questa classe fare una politica anticlericale fuor che nella questione dello Stato pontificio? Essa si troverebbe assolutamente isolata mentre la sua vittoria è subordinata alla possibilità di trascinare con le astuzie diplomatiche le altre classi, volenti o no, sulla sua Aria.

    Tutte le idee dominanti nella penisola sono cattoliche o almeno cristiane (Gioberti, Manzoni, Mazzini). Solo le minoranze politiche, intente al loro compito storico, credono essenzialmente allo Stato e alle nuove esigenze economiche.

    Il neoguelfismo è lo stratagemma per cui le masse avverse al programma nazionale e borghese sono indotte a seguire le minoranze. Queste, solo nascondendosi dietro idee banali, potevano evitare l'isolamento, tenere il contatto necessario con le classi popolari.





    Nel frattempo questa minoranza borghese riesce a conquistare la monarchia, tuttora incerta, e a servirsi del suo prestigio. Vittorio Emanuele II, mentre crede di allargare il proprio Stato, serve al programma di Cavour che gli fa trovare la sua nazione trasformata da regno costituzionale in governo parlamentare. Ora si può capire bene perché Cavour potesse farsi aiutare dalla borghesia francese.

    Tuttavia questa classe politica non può bandire troppo apertamente le idee di libertà e di democrazia che sono odiate in modo preciso dalle plebi ancora retrive. I più sono guadagnati con una generica propaganda di carattere nazionale e facendo giocare l'equivoco del cattolicismo liberale. Non essendovi forze né partiti ordinati si dovette impiegare i volontari e sfruttare gli avventurieri. Il nebuloso messianismo di Mazzini, l'entusiasmo di Garibaldi, l'enfasi di tutti i tribuni furono gli elementi che evitarono l'isolamento completo. Tutto questo è materia e se ebbe una direzione lo si deve a Cavour. Egli è veramente lo spirito provvidenziale, l'originalità del Risorgimento.

    La rivoluzione francese ha le proporzioni di un grande dramma cosmico, di una, tetralogia. È la rivendicazione di sterminate masse popolari, la rivolta di un popolo condotta da scelte guide borghesi contro la classe politica in decadenza. In questo contrasto si vede un processo razionale maturo.

    Il Risorgimento italiano invece è la lotta di un uomo e dei pochi suoi fidi, contro un popolo di tendenze letterarie e ancora in preda alla miseria; la storia civile della penisola pare talvolta addirittura il soliloquio di Cavour, che da una materia ancora informe in dieci anni di diplomazia cerca di trarre gli elementi della vita economica moderna e i quadri dello Stato laico.

    La vittoria dell'eresia è il motivo centrale della nostra storia dell'ottocento.

ANTIGUELFO