PROBLEMI PRATICI
III.Lo Stato nei rapporti dell'agricoltura e delle classi rurali. Bisogna che i lettori, se vogliono seguirci, tengano sempre presente il caso, denunziato nel secondo capitolo, dell'industria delle conserve alimentari sacrificata a quella della latta. Che cosa fa lo Stato in quel caso? Perché non sieno spese all'Estero poche migliaia di lire per acquisto di latta, oltre a impedire un maggiore smercio all'Estero di conserve alimentari, compromette lo smercio avutosene fin qui; perché non vadano all'Estero poche migliaia di lire, oltre a impedire che venga dall'Estero in Italia un maggior numero di milioni di lire, compromette quell'entrata di milioni di lire verificatasi fin qui per acquisto di conserve alimentari. Per timore che i quattromila operai della "Magona d'Italia" si trovino sul lastrico, rischia di far trovare sul lastrico molte migliaia di operai delle fabbriche di conserve alimentari; per impedire che l'industria della latta chiuda la sua unica o quasi unica fabbrica, rischia di far chiudere più d'una fabbrica di conserve alimentari e di costringere gli agricoltori a rinunziare a molte culture redditizie; per proteggere la "Magona d'Italia" e i suoi quattromila operai, rinunzia all'occupazione di molte migliaia di operai che l'industria delle conserve alimentari potrebbe assumere oltre i settantamila che occupa attualmente, rinunzia all'impianto di nuove fabbriche di conserve alimentari, rinunzia a vedere meglio sfruttati molti terreni che ora producono poco. Prendiamo il proprietario d'una grande azienda, il quale, persuasosi un giorno di dovere non andar soggetto ad alcuno per i bisogni della vita, cominciasse dal confezionarsi un vestito da sé. Non sapendo fare il sarto, gli accadrebbe probabilmente questo: che avrebbe impiegato molti giorni più di quanti avrebbe impiegato il sarto, e il vestito sarebbe tanto brutto da farlo parere, indossatolo, assai ridicolo. Ma sarebbe il minor guaio. Egli avrebbe risparmiato le poche decine di lire che avrebbe preso il sarto per la manifattura; ma, avendo perduto molto tempo a cucire, non si sarebbe occupato come prima della sua azienda, e quindi avrebbe perduto molte e molte migliaia di lire. Si tratterebbe di un pazzo, voi dite. Giusto; eppure la condotta dello Stato nella questione delle conserve alimentari e della latta non è paragonabile altro che alla condotta di questo pazzo. Bisogna, dicevamo, che i lettori tengano sempre presente il caso dell'industria delle conserve alimentari sacrificata a quella della latta. Bisogna che tengano sempre presente l'esempio del pazzo che trascurasse la sua azienda per confezionarsi da sé, senz'essere sarto, il vestito. Lo Stato italiano, quasi da quando l'Italia è una, si è regolato, nello svolgimento di tutta la sua attività, col criterio del pazzo dell'esempio, ha favorito sempre - nel campo politico, nel campo economico, nel campo morale - tutto ciò che somigliava all'industria della latta per danneggiare, sia pure nolente, tutto ciò che si trovava nelle condizioni dell'industria delle conserve alimentari. Se abbiamo incominciato dal parlare della questione doganale é stato per rendere intelliggibile la questione dell'industria delle conserve alimentare sacrificata all'industria della latta, la conoscenza di tale questione agevolando a sua volta la comprensione dell'idea. centrale di questi articoli. Non c'è più alcuno oramai il quale non riconosca e non proclami che l'Italia è un paese eminentemente agricolo e che perciò la sua fortuna, se fortuna sarà, dipende principalmente dallo sviluppo agricolo. Ma ne conosciamo pochi si siano domandati come si otterrà cotesto sviluppo agricolo. Si contano poi su le dita quelli che si sono accorti aver fatto lo Stato italiano come colui il quale, possedendo dei terreni in parte sterili e in parte fertili, si desse a dissodare i terreni sterili e lasciasse perdere quelli fertili. L'Italia aveva ben poco da attendersi dalla città e molto dalla campagna; ma lo Stato ha fatto qualche cosa e spesso più di qualche cosa per la città e nulla o quasi nulla per la campagna. La popolazione cittadina d'Italia è composta quasi sempre per la maggior parte di parassiti e di fannulloni, mentre la popolazione rurale è laboriosa, industre, incline al risparmio, onesta, frugale, è la forza d'Italia: chi potrà negare che la popolazione rurale sia stata abbandonata a se stessa mentre la popolazione cittadina è stata invece sempre curata? In Italia pullulano le scuole d'arti e mestieri, donde escono dei buoni operai; ma non si conosce alcuna scuola donde escano dei buoni contadini. Vi sono, sì, delle scuole agrarie, ma lì non si formano gli operai dei campi, come nelle scuole d'arti e mestieri; si formano gli operai delle industrie, ma coloro che dirigeranno gli operai dei campi. Le stesse scuole elementari abbondano nelle città, ma difettano ancor oggi nelle campagne. Peggio ancora: le scuole rurali hanno gli stessi programmi o quasi delle scuole urbane, come se la mentalità d'un ragazzo di campagna sia la stessa di quello di città. I treni passano attraverso la campagna, ma perché ciò è necessario per congiungere i grandi centri; raramente si è pensato a congiungere i grandi centri facendo di proposito passare le linee ferroviarie attraverso zone agricole e in genere rurali da valorizzare (I). Le classi rurali han fatto la guerra e quell'altre non l'han fatta, o l'han fatta ben poco; han fatto la guerra e l'han fatta bene, ma l'han fatta bene perché sono buone ed oneste, non perché sapessero bene cos'è la patria; e non sapevano cos'è la patria perché lo Stato non le aveva educate all'idea e al sentimento di patria. Le classi rurali costituiscono la maggior ricchezza e la forza principale della nazione; ma se si potesse calcolare quanto lo Stato piglia loro e quanto loro restituisce e quanto piglia e dà alle classi urbane, forse verrebbero fuori delle cifre impressionanti. Si è considerata la nazione come un'entità astratta, prescindendo sempre dalla sua economia e dalla sua etnografia. Si è ridotto sempre ogni problema a problema politico mentre non esistono problemi pramente politici. Persino 1a questione del divorzio, che per tanti anni è stata il cavallo di battaglia della democrazia italiana (che lusso, come se non vi fosse stato altro da fare!) finisce di essere politica se si considerano le conseguenze economiche che la facoltà di divorziare può portare nelle campagne, specie ove vige il sistema della mezzadria. Neppure la politica estera - quella meno di tutti - si può fare prescindendo dalle classi rurali. Ma non c'è stato probabilmente un governo che si sia ricordato, quando ha trattato con gli altri Stati, di tutelare gli interessi di un nazione eminentemente agricola. Da settant'anni lo Stato italiano non fa che dissodare il terreno sterile lasciando perdere quello fertile, sicché oggi non ha da raccogliere alcun frutto e deve incominciare da capo. Con questo non vogliamo dire che lo Stato debba proteggere l'agricoltura e le classi rurali a danno delle industrie e delle classi urbane. Lo Stato deve proteggere tutti ma solo dai delinquenti. Ma se proprio vuole proteggere qualcuno più d'un altro, bisogna tenga contro che la sua forza risiede nelle campagne principalmente. Se vuole regalare dei quattrini, li deve regalare alle campagne: ritorneranno a coloro cui li prende e frutteranno assai più alla collettività nazionale. che se li regala, per esempio, ai cantieri navali. L'anno passato i cantieri navali si presero, se mal non ricordiamo, cinquecento milioni che lo Stato dové dare per impedire la disoccupazione di qualche migliaio di operai dei cantieri; se li avesse prestati, solamente prestati, senza interesse agli agricoltori dell'Italia centrale per la costruzione di case coloniche, avrebbe ripreso, prima o poi, tutto il suo denaro, avrebbe assicurato negli anni venturi un maggior raccolto di grano, ci sarebbero oggi non già qualche migliaio ma parecchie migliaia in meno di operai agricoli disoccupati. Ma basterebbe che lo Stato non togliesse ai più per dare ai meno, basterebbe che non togliesse a coloro che producono per dare a coloro che non producono o producono in perdita; non togliendo ai primi dà a se stesso, aumenta la forza della nazione; dando ai secondi impoverisce la nazione. Il problema meridionale stesso, in quanto c'entra lo Stato, è tutto qui, è il problema per così dire esasperato dell'Italia agricola. Volete valorizzare il Mezzogiorno quel tanto che è possibile valorizzarlo? Tre cose occorrono innanzi tutto: la libertà, specialmente economica; la giustizia, specialmente tributaria; e che lo Stato si ricordi sempre, quando deve altrimenti intervenire, che l'Italia è agricola, è rurale. Si ricordi, per dare un esempio, che se scuola elementare unica dev'essere, dev'essere fatta per le classi rurali e non per le classi urbane; in tal caso istruirà l'Italia più vera e maggiore; cosi com'è ora, la scuola non serve che a pochi, non istruisce l'Italia. Le città dovrebbero essere per lo Stato come i posti di convegno, d'incontro, di scambi tra le classi rurali, e le classi urbane, come il collegamento tra le classi rurali. La tutela della campagna e delle classi rurali dovrebbe essere considerata come il fine dell'attività dello Stato, quella delle città e delle classi urbane come il mezzo per raggiungere quel fine. Quando la tutela delle città e delle classi urbane minaccia di danneggiare la campagna e le classi rurali, città e classi urbane devono essere sacrificate. Con tutto ciò non si dice - crediamo di esserci spiegati abbastanza chiaramente - che lo Stato debba disinteressarsi di tutte le altre classi e di tutti gli altri interessi: tanto meglio se può tutelare tutti senza colpire nessuno; si dice che se tutela le classi e gli interessi urbani a spese delle classi e degli interessi rurali, il danno è dell'Italia perché le classi e gli interessi rurali sono l'Italia; mentre sarebbe di gran lunga minore il danno se le classi e gli interessi urbani dovessero fare le spese delle classi e degli interessi rurali perché quelli non sono ancora l'Italia. I governi che si sono succeduti dal 1861, tranne poche eccezioni, non hanno avuto una qualsiasi idea direttiva, organica, che li guidasse nella direzione dello Stato; ma quando l'hanno avuta non è stata precisamente quella che noi indichiamo. Se, ad esempio, Crispi avesse tenuto presente che l'Italia è un paese eminentemente rurale, agricolo, molto probabilmente, nel 1887, non avrebbe rotto il trattato di commercio con la Francia, ciò che provocò una crisi terribile di cui ancora oggi in alcune regioni si risentono le conseguenze e si trema al ricordo. Quella rottura cagionò la crisi vinicola di pletora, e furono milioni e milioni buttati dalla finestra e immense fatiche offerte al vento. Se i governi che si sono succeduti dal 1861 avessero tenuto presente la reale situazione dell'Italia e avessero avuto la volontà di servire il proprio paese, oggi tutto sarebbe diverso in Italia: dalla legislazione alla scuola, dalla giustizia all'esercito, dagli ordinamenti tributari alla pubblica sicurezza, e il decentramento sarebbe un fatto compiuto da un pezzo. Pur se i governi ebbero la volontà di servire il proprio paese, il paese ne soffrì perché essi tennero presente un'Italia irreale, addirittura astratta e fantastica, sicché oggi il nostro è un paese anarchico e sempre povero. Anarchico perché gli ordinamenti statali mal s'adattano a un popolo campagnolo che, nulla comprendendo delle leggi e delle istituzioni del suo paese, non ripone in esse fiducia alcuna; povero perché spesso s'è costretto questo popolo a comprare per cento ciò che costava dieci, lo si è costretto non di rado a vendere per dieci ciò che costava cento, e non gli si è permesso di mettere a frutto la maggior parte dei suoi beni. Ma l'Italia, come si è detto, non è altro che questo popolo campagnolo. A. DI STASO
|