LA POLITICA ECCLESIASTICA
NEL RISORGIMENTO

III.

    Così, la legislazione ecclesiastica del nuovo Regno fu interamente plasmata nell'angustia dei pregiudizi laicistico o riformistico da un lato e la forza della reazione intransigentemente cattolica dall'altro.

    Questa mirava a difendere quanto poteva degli antichi privilegi, e a traverso l'opera dei vescovi e del clero, riusciva a far sentire la sua voce nel Parlamento - nel Senato in ispecie - e ad agire perfino sulla coscienza del Re. Senza una serena valutazione di coteste diverse correnti non è possibile comprendere lo spirito della nuova legislazione italiana di politica ecclesiastica.

***

    Mancava non l'amore appassionato all'Italia, l'ardente desiderio della sua indipendenza e della sua unità; ma una coscienza illuminata del significato e del valore della Nazione e dei diritti dello Stato.

    Le più disparate opinioni si incrociano nel Parlamento italiano nel primo periodo della legislazione ecclesiastica che va dall'inizio del Regno fino alla legge del 1867.

    E si va nell'ambito stesso della destra da vere e proprie dedizioni alla Chiesa a goffaggini settarie, quale la proposta del March. Luzi di concedere il godimento della pensione solo ai monaci che svestissero l'abito ecclesiastico.

    Una delle pochissime voci limpidamente italiane era quella del Sella il quale, forse meglio che tutti i suoi colleghi, ebbe la visione realistica della libertà che si concreta nella completa autonomia e nella secura forza dello Stato; e proclamava alto che "bisognava posporre ogni cosa, e anche il culto delle dottrine più consentite, anche l'ossequio delle tradizioni più predilette, alla suprema necessità dello Stato".

    Ma la sua era vox clamantis...

***

    Alle interne divisioni che oscuravano e indebolivano l'attività del partito di governo, si aggiunga l'opposizione della Sinistra; la quale, per quanto non fosse al potere, doveva naturalmente far sentire il suo contraccolpo nella formulazione delle leggi, riuscendo spesso a far trionfare, se non del tutto, almeno in parte, il proprio punto di vista.

    La Sinistra, come abbiamo visto, era dominata dal preconcetto antireligioso. Essa era l'espressione politica di quelle tendenze pseudo filosofiche che si concretano nel positivismo e nel materialismo, piovutoci d'oltralpe; e accolti con compunta devozione.

    Gente di acceso sentimento e di nobili intenzioni, senza dubbio; ma a cui difettava, in sommo grado, quel senso di equilibrio e di matura valutazione delle idee, che permette un criterio veramente libero di critica e di scelta. "Liberi pensatori", com'essi si compiacevano chiamarsi, stimavano che a render libero, davvero, il pensiero bastasse un gesto di svincolo dalle autorità della fede e del passato; e non invece, quell'aspra tormentosa disciplina interiore, che sola può determinare nell'individuo la consapevolezza di sé e il dominio del suo mondo: e il suo conseguente costituirsi in libertà.

    Si fondavano società di liberi pensatori col proposito esplicito di combattere non le deviazioni politiche della Chiesa, ma, la Chiesa stessa come società religiosa, anzi qualsiasi religione (1).

    Il partito d'azione traduceva in atti le tendenze teoricheggianti di quel movimento, sotto l'alto patronato, per dir così, di G. Garibaldi.

***




    Infine l'assillante problema economico, premeva affannosamente il giovane Stato; e spingeva molti uomini del Parlamento a risolvere le delicate questioni di politica ecclesiastica, piuttosto colla preoccupazione di riparare ai dissesti finanziari del momento, che guidato da criteri generali e precisi di politica nazionale.

    Tutto questi si consideri, e non si troverà eccessivo il giudizio del Falco, sulla legislazione ecclesiastica di questo periodo: "le leggi del '66, '67, '75 mostrano una profonda incertezza sulla funzione da attribuire allo Stato nel campo ecclesiastico, una ingenua fede nel suo potere taumaturgico, una idea confusa e contraddittoria della personalità giuridica delle conseguenze della sua abolizione, una noncuranza della forza inestinguibile del sentimento religioso, perenne creatore di organismi sociali", mancarono insomma "di una linea direttiva nettamente determinata".

    La lunga discussione che aveva perfino provocate crisi di Ministero e lotte aspre nel Parlamento e nel paese, condusse al disegno di legge Rattazzi, l'uomo dei ripieghi e dei mezzi termini, antenato non indegno di Giovanni Giolitti e di B. Mussolini: "il peggio formulato, il più impreciso che mai fosse stato presentato alla Camera" che fu approvato da una maggioranza costituita della sinistra e di gran parte della destra e divenne la legge del 15 agosto 1867.

    In virtù di questa legge si toglieva la personalità giuridica a quasi tutti gli enti ecclesiastici ("ordini, corporazioni e congregazioni religiose regolari e secolari, conservatori e ritiri, i quali importassero vita comune ed avessero carattere ecclesiastico"), eccettuati i Vescovadi, i capitoli cattedrali comprendenti ciascuno 12 canonici, i benefici provinciali, i seminari e le fabbricerie. Si affidava, poi, al demanio la vendita e l'amministrazione degli immobili degli enti soppressi, e s'incamerava una parte dell'asse ecclesiastico.

VINCENZO CENTO

(FINE).


(1) Dopo il '60 fiorirono in Italia società di "liberi pensatori". La più notevole fu quella milanese, che nel 1860 pubblicò una sua rivista diffondendo e difendendo con ingenuo entusiasmo la cosiddetta filosofia materialistica del Buchner. Per dare un'idea della mentalità degli uomini di codesta tendenza basterà citare un episodio comico: Nel 1869 mentre a Roma si indiceva il concilio ecumenico, il conte Giuseppe Ricciardi indiceva a Napoli... l'anticoncilio!...