LE GENERAZIONI DEL MANGANELLOMentre la generazione paterna dirigeva malamente la guerra, che al fronte combattevano i giovani dai quarant'anni ai vent'anni, un'altra generazione è spinta ad agitarsi precocemente dall'atmosfera tormenta e febbrile dei lunghi mesi di guerra. È una generazione che, costretta a vivere la propria adolescenza nella grande disgregazione prodotta dai sacrifici e dalle angoscie, che la guerra ha imposto anche all'interno del paese, abbandonata a se stessa, tormentata dai riflessi dei sacrifici, degli orgogli e delle vanità degli eroismi, che la guerra al fronte produce, e costretta alla vita triste e monotona della famiglia priva dei suoi papà, è fiorita senza sorriso, ed ha passato gli anni migliori, senza conoscere ne gaiezza né senilità. Sorta alla comprensione, in un periodo in cui tutti fanno, si agitano, ed il ritmo della vita è febbrile ed intenso, sarà tormentata ed ossessionata dalla febbre di gettarsi nella vita, come se i momenti le fossero contati ed il campo di azione le sfuggisse. Generazione di adolescenti, cupi, inchiodati al tormento di non poter fare e di non saper fare, in un periodo in cui tutti fanno; non più bambini, per non avvertire confusamente, come il fatto che si compie, sia destinato ad un'importanza decisiva, anche per la loro esistenza, su cui avrebbe pesato, non possono in alcun modo parteciparvi. Il tormente si risolve nella rottura dei doveri e delle consuetudini loro imposte. La famiglia, mancante del capo o dei fratelli maggiori è in piena disgregazione e li lascia in piena libertà, la scuola è ridotta ad un passatempo. Mancando i fratelli maggiori, questi adolescenti sono spinti a sostituirli nella vita, occupandone il posto nei divertimenti, in cui non trovano però che una maggiore e più torturante insoddisfazione. L'adolescenza viene divorata nella corsa tormentosa, nell'ansia febbrile, nella nevrastenia dell'atmosfera di guerra. Più tardi, quando la guerra è finita, gli adolescenti si trovano precocemente giovani, ma respinti alle posizioni naturali della loro età, dai fratelli che tornano; la guerra si è chiusa ed essi, che non vi hanno preso parte, devono accettarne i valori, subirne le vanità, gli orgogli, gli eroismi, l'esaltazione della generazione che vi ha partecipato! Essi, che al finire della guerra si sentono precocemente giovani e disposti a fare, trovano "il gran fatto" risolto ed il non avervi contribuito, ne aumenta nell'animo loro, con l'importanza, il tormento e il rancore. Il periodo di agitazione, il fermento non si chiuderà, prima che gli adolescenti facciano qualcosa. Dapprima sarà il moto dannunziano a funzionare da leva dei giovanissimi. La maggior parte dei legionari fiumani era formata da giovanissimi, che non avevano partecipato alla guerra, che volevano indossare la divisa militare, mettersi l'elmetto, portare il fucile, avere i nastrini, fare qualcosa, magari montare semplicemente di guardia al Palazzo del Comando ed inebriarsi delle parole di D'Annunzio. In tutto il periodo dell'occupazione dannunziana i giovanissimi furono i più volonterosi e fattivi e, caduto D'Annunzio, si dispersero per le città d'Italia, comunicando ai coetanei la loro agitazione. Saranno gli elementi più turbolenti del fascismo, in cui esprimeranno, nei simboli tetri e nella violenza, il tormento, la febbre di vita, l'insoddisfazione che li tortura, li rende brutali, sanguinari, ciechi. Il fascismo agita molte idee confuse e contraddittorie ma di chiaro vi è soltanto che vuole agire per continuare la guerra. I giovanissimi, che sono torturati dalla verità delusa di non avervi partecipato, non chiedono altro e si scaglieranno senza esitazione nella guerra civile, facendola con entusiasmo e con violenza. Il "manganello" e la camicia nera saranno i loro simboli. Simboli tristi di tutti i rancori, le insoddisfazioni e i tormenti della loro adolescenza mancata, di tutte le angosce di una giovinezza arida, senza requie e senza sogni, agitata, corrotta dall'ambizione e dalla vanità precoci! Il manganello: ecco la vendetta e la penosa illusione di un'adolescenza senza dolci illusioni e senza sorrisi spontanei! Nel primo moto fascista, diciottenni, sedicenni, che non parteciparono alla guerra, hanno parte preponderante. La guerra civile è la guerra della generazione dei giovanissimi che non parteciparono all'altra guerra, ultimo sfogo della generazione, oggi inquadratasi nella funzione conservatrice di una nuova generazione paterna. Le generazioni giovani hanno bisogno di sfogare la loro energia per compiere poi la parte successiva di padri. Se dal '20 al '22 la lotta politica italiana si presenta come una vera guerra civile, almeno da parte fascista, la responsabilità od il merito, a seconda dei punti di vista, ne spetta ai giovanissimi, perché sono essi sopratutto che l'hanno fatta, rappresentandone l'elemento entusiasta e più attivo. Le spedizioni punitive sono in gran parte opera loro. I fratelli maggiori, reduci dall'altra guerra, inquadrano ed istruiscono, i giovanissimi imparano subito e formano la massa che agisce senza scrupoli. I reduci della trincea hanno del ritegno a fare la guerra civile, come facevano l'altra guerra, a cui sopratutto si sentono legati, ma per i giovanissimi la spedizione punitiva, l'incendio della Camera del Lavoro, le bastonature e le schioppettate sono una grande gioia. Il "manganello", agitato contro tutti e contro tutto è il loro simbolo! Se l'entusiasmo, l'energia, la fede, le passioni, questi poteri irrazionali, istintivi, che determinano il moto della vita, si potessero dirigere, quali miracoli non si sarebbero potuti compiere, quale magnifica costruzione non si sarebbe edificata, coll'entusiasmo, la energia, la passione, il sacrificio, con cui i giovanissimi fecero dal '20 al '22 la guerra civile! All'incendio delle Case del Popolo e delle Camere del Lavoro, i giovanissimi vanno con gioia, le bastonate le danno con piacere, le distruzioni appagano la sete che li brucia e l'istinto che li tormenta, gli atti più brutali essi li compiono più facilmente perché sono i più ciechi. Non si curano di sapere chi sia veramente l'oggetto in cui si sfoga il loro furore e di quale colpa sia responsabile: lo sanno invece i fratelli maggiori che li guidano e hanno col P. S. il "fatto personale" della loro vita giovanile. Ma mentre usare le armi della guerra nella nuova guerra civile ripugna un po' ai reduci, per i giovanissimi è la fonte delle maggiori soddisfazioni. Agitarsi, bastonare, sopratutto sparare è il loro bisogno, la loro passione, mettere l'elmetto, stare in assetto di guerra è la loro ambizione. I giovanissimi si adattano facilmente, entusiasticamente alle gerarchie dello squadrismo, che li pareggia ai fratelli maggiori, che fecero la guerra. Qualcuno di loro muore in una delle tante e facili spedizioni punitive - colla fede di chi muore per creare un nuovo mondo, o nell'illusione di salvare il proprio paese. Battaglia in verità non v'è stata, al più il combattimento è stato una rissa volgare; ma qui quel che monta è lo spirito con cui i giovanissimi vi hanno partecipato. Essi hanno fede e credono in quello che fanno, sopratutto perché hanno bisogno di credere. Il contagio si propaga, in breve rari sono i giovanissimi che non sono fascisti e squadristi. Prima squadristi e poi fascisti, squadristi sopratutto. Nella storia, fatta di folate, di suggestione, di morbi collettivi, v'è un altro tipico esempio di mimetismo sociale tra giovani, più giovani ancora dei giovanissimi fascisti, tra ragazzi. È la famosa crociata dei fanciulli avvenuta traverso il 1212, tra la quarta e la quinta crociata, quando l'epidemia delle crociate si diffuse rapidamente tra i fanciulli. Da ogni parte accorrevano ragazzi di dieci e persino di otto anni, che si proclamavano profeti, mandati da un pastorello, certo Stefano, che predicava la crociata tra ragazzi e bambini. Questi "profeti" percorsero città e campagne. Come una vera epidemia questa mania non risparmiò nemmeno le fanciulle, molte delle quali secondo le cronache d'allora, erano tra la moltitudine dei bambini crociati. "Per consiglio dei membri accademici dell'università di Parigi, il Re Filippo Augusto promulgò un editto, col quale ingiungeva ai fanciulli di far ritorno alle loro case, ma la suggestione religiosa fu più forte che l'ordine del re e i fanciulli continuarono a tenere le loro riunioni. "I padri e le madri cercarono di far valere tutta la loro autorità per por fine a questa mania di pellegrinaggio, ma indarno. Esortazioni, minacce, castighi non ebbero maggiore effetto che l'editto reale; i fanciulli, rinchiusi in casa, fuggivano dalle porte e dalle finestre e si aggregavano alla moltitudine passante. "Se si impediva loro la fuga, essi ammalavano" (1). Con egual moto cresce e si propaga il fenomeno di agitazione della generazione fascista. Pochi giovani si salvano dal contagio fascista, che "salva il Paese", rarissimi quelli che non si fanno squadristi. Le scuole vengono disertate per la spedizione punitiva, i campi di sports, a diciotto, diciassette anni, abbandonati per la politica, che diventa una vasta rissa, ed il colore delle sanguinose passeggiate sportive delle squadre fasciste. Cosa sperano di raggiungere politicamente col moto fascista, questi giovanissimi? Naturalmente non lo sanno, hanno la febbre di agire ed agiscono ed a Napoli, nell'ottobre del 1922 mentre l'on. Mussolini pronunzia il suo discorso sono i giovanissimi che gridano con più passione: "Roma! Roma!". Che vogliono andare essi a fare a Roma? Qual governo potrà mai servirsi di loro, utilizzarli per una funzione di conservazione? La Roma monarchica, la Roma Italiana è piena di Ministretti, vasti come labirinti, ove il meccanismo accentratore dello Stato si muove lentamente, faticosamente, sotto la spinta degli interessi eterogenei che deve armonizzare e soddisfare. Cosa c'entrano in quel mondo tetro i giovanissimi? Raggiunta la mèta dovrebbero tornare alla famiglia ed alla scuola, all'oscura vita quotidiana. La costituzione del Ministero Mussolini porrà infatti termine alle loro agitazioni. Grildrig
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