PROBLEMI PRATICI
II.L'agricoltura e i dazi di protezione. L'agricoltura è doppiamente colpita dai dazi di protezione. Una prima volta è colpita perché gli agricoltori sono i principali consumatori dei prodotti che godono della protezione doganale. Gli agricoltori italiani sono accusati di far poco uso di macchine e di concimi per cui non riescono a produrre a buon mercato o - che è lo stesso - non riescono a far produrre alla terra quanto potrebbe. L'accusa è fondata; ma gli agricoltori hanno almeno una scusante per sè, ed è che le macchine ed i concimi costano troppo. E noi diciamo che costano troppo perché, grazie alla protezione doganale, si è costretti a comprare le une e gli altri dalle fabbriche italiane, se pure se ne trovano abbastanza. Nell'autunno molti agricoltori della nostra provincia hanno assistito alle prove di un piccolo trattore da collina. Non si può negare che si tratta di una macchina quasi perfetta, sebbene sia sorto il dubbio che non possa servire agli scopi per cui vennero fatti gli esperimenti. Poniamo che esso sia tale da poter risolvere il problema della facile e profonda aratura in collina, bisognerebbe rinunziarci, perché, con la nuova tariffa doganale, questo trattore che ci viene dall'America, mentre costa meno di 20 mila lire italiane posto New York, giunto in Italia ne costa 40 mila perché bisogna pagarne circa 18 mila solo di dogana! Altro esempio. C'è in Italia un'industria fiorentissima, l'industria delle conserve alimentari, molto esercitata anche in Toscana. Questa industria potrebbe estendersi e contribuire a diminuire la povertà del nostro paese. Pensate: mentre molte altre industrie, per vivere meno peggio, hanno bisogno che lo Stato obblighi i consumatoti a far sacrificio di ricchezza, questa delle conserve alimentari, essendo un'industria naturale, non temendo cioè la concorrenza straniera non chiede sacrifici a nessuno, e può esportare i propri prodotti al contrario delle industrie protette che i propri prodotti non possono vendere all'Estero perché sarebbero schiacciate dalla concorrenza. Mentre l'industria delle conserve alimentari ci procura un po' di quell'oro che ci manca e più potrebbe procurarcene, quelle altre industrie non fanno che sottrarci ricchezza continuamente. Ebbene, l'industria delle conserve alimentari, già tanto fiorente, minaccia di rovinare per causa della protezione doganale della latta, poiché le conserve alimentari vanno chiuse in scatole di latta. L'industria delle conserve alimentari occupa ben 70 mila operai; quella della latta, esercitata quasi esclusivamente dalla "Magona d'Italia", occupa solo 4 mila operai. Il Governo, per permettere che l'industria della latta viva la sua tisica vita, minaccia di far morire quell'altra e minaccia quindi di far trovare sul lastrico da un momento all'altro buona parte di quei 70 mila operai e costringere gli agricoltori a smettere alcune delle culture più redditizie. Il dazio doganale su la latta è tanto alto che, quando la scatola di conserva è pronta, il 70 % del suo costo è rappresentato dal recipiente. La conseguenza di questo fatto è che le conserve alimentari vengono a costar tanto che non trovano ormai se non un piccolissimo smercio. Pertanto, se continua così, presto molte fabbriche di quella industria dovranno chiudere. Se invece il Governo permettesse che i fabbricanti di conserve alimentari comprassero all'Estero senza pagar dazio le scatole di cui hanno bisogno, lo smercio delle conserve aumenterebbe specialmente all'Estero, e si avrebbero quindi questi risultati: I° maggiore richiesta dei prodotti agricoli da trasformare in conserve alimentari, per cui gli agricoltori potrebbero allargare la cultura di quei prodotti invece di coltivare prodotti che costano molto e fruttano poco, e probabilmente vedrebbero aumentare il prezzo dei primi, come accade ogni qual volta una merce è molto richiesta; 2° i 4 mila operai della "Magona" dovrebbero forse essere licenziati, ma in compenso crescerebbero di molto gli operai dell'industria delle conserve diminuendo la disoccupazione e il carico di operai che, per causa della disoccupazione, hanno gli agricoltori; 3° poiché - come dicemmo nel precedente articolo - le merci si scambiano con le merci, poiché occorre esportare per poter importare, quando noi potessimo mandare all'Estero maggior quantità di conserve alimentari, dall'estero potrebbe venirci roba a buon mercato. Non bisogna dimenticare che una delle cause dell'altezza del cambio è il fatto che noi acquistiamo molto dall'Estero mentre dall'Estero hanno poche merci da acquistare da noi. Importando molto ed acquistando poco, noi non facciamo altro che contrarre dei debiti. E poiché all'Estero non sanno bene quando potremo saldare questi debiti e se potremo saldarli tutti, con l'altezza del cambio non fanno altro che riscuotere dei fortissimi interessi anticipati e nel tempo stesso garantirsi in qualche modo. Ecco tutto. Una seconda volta l'agricoltura è colpita dai dazi doganali per ritorsione. Dicemmo nel precedente articolo che non esiste alcun paese dove si produca proprio tutto ciò che è necessario all'esistenza. Non c'è alcun paese che non abbia bisogno di andare a comprare qualche cosa in un altro paese. E poiché le merci si scambiano con le merci, è chiaro che, se il paese A non vende i propri prodotti nel paese B, non potrà acquistare i prodotti del paese B, altrimenti - come vedemmo - il paese B regalerebbe i propri prodotti al paese A. Intendiamoci: si dice così per necessità di chiarezza, perché è necessario essere elementari trattandosi di materia che la maggior parte del pubblico ignora; ma il fenomeno è assai più complesso, avvenendo spesso che il paese A compri i prodotti del paese B senza vendere i propri nel paese B ma vendendoli invece nel paese C. Si raggiunge l'equilibrio poiché, se il paese B non compra i prodotti del paese A, compra invece quelli del paese C, che a sua volta spende la moneta del paese B per comprare i prodotti del paese A. Serviamoci della enunciazione più elementare del fenomeno. Poniamo che l'Italia produca una quantità tale di patate che, vendendole tutte, possa ricavare 100 milioni di lire. Poniamo che l'Italia abbia bisogno di 200 mila ruote di ferro e che ciascuna ruota, se fosse acquistata in Inghilterra e portata da noi senza pagar dazio di confine, venisse a costare lire cinquecento. Poniamo che per causa del dazio doganale si sia costretti a comprare le ruote in Italia e che in tal caso si paghino ciascuna lire mille. Poniamo ancora che noi non si compri altro in Inghilterra e che le nostre patate, se non le compra l'Inghilterra, non le compri nessuno. Poiché l'Inghilterra, non avendo noi comprato le sue ruote, non ha quattrini per comprare le nostre patate, le nostre patate resteranno, invendute e gli agricoltori avranno perduto 100 milioni di lire. Maggiore è il danno che ne risentirà tutta la Nazione, nella quale saranno entrati 100 milioni di lire in meno, mentre avrà speso 100 milioni di lire in più per l'acquisto delle ruote in Italia invece che in Inghilterra. Quindi, allorché i prodotti agricoli di cui l'Italia abbonda e più potrebbe abbondare si vedono chiusi i mercati esteri, non bisogna incolparne questa o quella nazione, che spesso è costretta a non comperare da noi, non avendo all'uopo quella moneta nostra che le avremmo procurata acquistando quei prodotti di cui essa è ricca invece di fabbricarli noi con maggiore spesa. Ma più spesso i nostri prodotti agricoli si vedono chiusi i mercati esteri per la guerra doganale che vien fatta loro. Resta a vedere se questa guerra è meritata o meno. Spesso è meritatissima e risponde a una necessità degli altri paesi. Naturalmente ciascun paese cerca dì smerciare la maggior quantità possibile dei suoi prodotti. Quando i governi sono avveduti e si preoccupano solo dell'interesse del maggior numero, essi non aiutano la produzione di quelle merci che all'Estero si possono avere con meno, ma procurano invece che altri paesi comprino nel proprio paese quei prodotti di cui gli altri paesi mancano e che il proprio paese produce con poca spesa. E allora essi dicono a questi altri paesi: "Noi non fabbricheremo quei prodotti che voi producete più a buon mercato di come potremmo far noi e non andremo a comprarli altrove che non sia da voi, ma a un patto: che voi compriate nel nostro paese e non altrove quei prodotti di cui voi mancate o che potreste produrre solo con molta spesa". Questo patto si chiama trattato di commercio. Cioè la nazione A compila una tariffa doganale ove sono indicati i dazi per ciascuna merce, ma stabilisce con la nazione B un patto nel quale è detto che la tariffa non si applica per le merci a, b, c, d, ecc. provenienti dalla nazione B. E lo stesso stabilisce per altre merci la nazione B in favore della nazione A. E allora accadrà che le altre nazioni non potranno portare nella nazione A le merci che vi porta la nazione B, né nella nazione B le merci che vi porta la nazione A, perché costerebbero di più e non troverebbero quindi compratori. In altri termini, per essere ancora più chiari: poiché l'Italia, pur non avendo ferro e carbone, vuol produrre oggetti di ferro acciaio ecc., non li compra in Inghilterra. Ma l'Inghilterra, che vive specialmente della produzione del ferro, ha pure bisogno di vendere gli oggetti di ferro acciaio ecc. che produce lei. E poiché non può venderli in Italia, li offre, poniamo, alla Spagna, la quale, poniamo, ne ha bisogno. La Spagna risponde: "Volentieri, mediante un trattato di commercio, non farò pagare dazio doganale a questi tuoi prodotti in modo che i miei sudditi preferiranno acquistare i tuoi perché costeranno di meno anziché di altri paesi, ma a patto che tu, Inghilterra, farai pagare a tua volta il dazio sui limoni e le arance che ti vengono da altri paesi e non sui limoni e le arance che ti vengono da me". Accettato il patto, l'Italia non potrà più vendere i limoni e le arance di cui è ricca all'Inghilterra e quegli italiani che producono limoni e arance vedranno questi frutti marcire sugli alberi o li venderanno per niente. Ora, quando si pensi che l'Italia è un paese eminentemente agricolo e che non può fabbricare se non ad alto costo, per mancanza delle materie prime, molti prodotti industriali, é chiaro che alla protezione doganale di questi ultimi non può non corrispondere il boicottaggio dei prodotti agricoli, che bisogna spesso rinunziare a coltivare per mancanza di mercati esteri o contentarsi di vendere a basso prezzo. E come più passano i mesi, le cose peggiorano. Per causa della nuova tariffa doganale la Francia ultimamente ha rotto il trattato di commercio che aveva con noi; l'Inghilterra minaccia rappresaglie ai nostri prodotti agricoli perché essa non può più venderci la latta per le conserve alimentari; e gli Stati Uniti comprano in Spagna i nostri agrumi, ciò che impoverisce ancor più il disgraziato Mezzogiorno che li produce. E c'è ne abbastanza - ci sembra - per essere sicuri di aver dimostrato come la protezione doganale sia - in linea generale - dannosissima e, in Italia, specialmente all'agricoltura. Tuttavia i difensori dell'industria nazionale ad ogni costo non si arrendono e portano un altro argomento: questo: che l'Italia non può abolire o diminuire i dazi di protezione perché tutti o quasi tutti gli altri paesi in questi ultimi tempi hanno inasprito la protezione aumentando le voci e la tariffa. Ma questo è il meno serio di tutti gli argomenti dei nostri avversari. Se noi nutriamo un odio mortale contro Tizio e, per sfogarlo, inseguiamo Tizio, e Tizio, giunto all'uscio di casa, vi entra e si barrica dentro, che dobbiamo fare noi? Seguendo la logica nostra dobbiamo cercare di sfondare l'uscio per raggiungere Tizio. La logica dei nostri avversari ci consiglierebbe invece di correre di filato a casa nostra, e, a nostra volta, barricarci dentro. La verità è che l'Italia non avrebbe nulla da temere dalla protezione doganale degli altri paesi. Permetta all'Inghilterra, permetta agli Stati Uniti, permetta a tutte le altre nazioni industriali di venire a vendere qui alcuni dati prodotti senza pretendere di voler essere lei produttrice di tali prodotti quando le mancano le materie prime per farlo con poca spesa, e vedrà che troverà aperti tutti i mercati pei suoi prodotti agricoli che sono i principali se non unici suoi prodotti naturali. ARCANGELO DI STASO.
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