COMMENTO QUOTIDIANO
La questione tedescaLe colpe del governo Stresemann-Hilferding si riassumono in una: l'incapacità di realizzare una politica unitaria, austeramente prussiana di fronte alle grettezze bavaresi, che potesse far valere agli occhi dell'Intesa la fiducia delle masse popolari. Il fallimento della resistenza passiva, che fu subito giustamente criticata come quella che priva di agilità si precludeva ogni soluzione e ogni compromesso, aiuta la demagogia del fascismo bavarese. Ora bisogna constatare che la valutazione più perspicua della presente crisi tedesca viene dai comunisti. Carlo Radek non deve essere confuso coi facili divulgatori e coi noiosi apostoli della terza internazionale come Bucarin e Zinovief. È un uomo di pensiero foggiato al tormento del problema dell'azione; dialettico, lucido con le virtù di cinismo e di entusiasmo proprie dell'esasperazione ebraica di razza. Non puoi leggere Radek senza pensare allo stile e alla decisione di Trotzchi. Radek vede il problema della Germania in Europa. Intende l'internazionalismo come una Particolare forma di politica estera nazionale. Ha dinanzi il fallimento delle soluzioni democratiche e moderate; guarda il fascismo bavarese tenendo presente l'esperienza italiana. Guai agli inermi quando la politica è condotta audacemente da classi guerriere! Radek ha preparato l'organizzazione armata delle centurie proletarie. L'esasperazione tedesca ha un nome e un fronte unico; lotta contro Versailles! ha una giustificazione: la fatale antitesi degli scopi perseguiti dalla Francia con qualsiasi politica di pace. Radek capisce e giustifica l'esasperazione nazionale tedesca che è una lotta contro l'usurpatore per difendersi dalla fame. Il capitale, egli scrive tendenziosamente, non è soltanto responsabile della miseria materiale dei cittadini, ma anche della miseria nazionale della Germania. La classe proletaria mentre persegue sua politica di pace può dunque essere francamente nazionalista: ha il dovere di non lasciare al fascismo il monopolio di questo problema di dignità internazionale. Di qui quella che i democratici chiamarono con stupore alleanza del nazionalismo e del comunismo tedesco. Per vedere a quale dei due alleati spetterà la parte dell'uomo e a quale la parte del cavallo converrà attendere gli avvenimenti. Probabilmente saranno i fattori individuali a decidere se contro il Kerenschi - Stresemann prevarrà il Kornilov - Ludendorf e il Trotzchi-Radek. Nell'attesa non dovrebbe sfuggire all'osservatore l'astuzia storica su cui i comunisti tedeschi impostano il loro calcolo. La lotta di classe insegna ai veri combattenti i limiti delle classi. In Italia, dove i socialisti si compiacquero di candide improvvisazioni, il proletariato fece da sé; non volle alleati; disprezzò le classi medie e queste alleatesi con la plutocrazia fecero esse la loro rivoluzione reazionaria. I comunisti tedeschi invece non hanno alcuna intenzione di rimanere isolati nella lotta politica. Giustificando il mito di classe della piccola borghesia, ne eludono i pericoli e le rigidezze reazionarie. Capiscono di poter sfruttare le forze del malcontento pur sviluppando la loro politica di intransigenza precisa. L'accordo con la Russia e l'imminenza di gravi mutazioni nella politica interna inglese sono le garanzie che la politica comunista offre della serietà della sua struttura. Di fronte alle angustie del reazionarismo bavarese ci sono in questo calcolo tutte le risorse della serietà prussiana e le attitudini a sventare separatismo e regionalismo. Ognuno che ricordi l'esempio della Russia vede con quale dignità saprebbe parlare all'Intesa uno Stato operaio. Solo le grandi democrazie proletarie possono svolgere una seria politica nazionalista. Il problema è di sapere se la Rivoluzione tedesca che ha già il suo teorico e il suo profeta avrà anche il suo statista. In tal caso chi può dire quali saranno le sue ripercussioni nel mondo europeo? 25 settembre.
La polemica dei servi fedeliMentre scriviamo il discorso del giorno è la crisi fascista: le polemiche giungono all'estremo limite della violenza. Quando il lettore ci leggerà appena ne resteranno gli echi e le acrimonie personali. La questione sarà stata seppellita perché è immatura. Come non scorgere nelle varie voci della contesa una manifestazione variopinta di ritornelli a tema obbligato? Il direttore d'orchestra è ancora Mussolini che dà la giusta tonalità agli accordi discordi. Se la polemica é diventata una rissa per il caso Corriere italiano Baroncini, non bisogna confondere la prospettiva e credere questione generale quella che è appena il ricordo di un duello antico di milioni e di spade. In Italia c'è scarso spirito ironico. Lo spettatore si appassiona incorreggibilmente allo scenario e ai fantocci. Non gli accade di vedere tra le maschere comiche quel sorriso di intesa che è buona tradizione anche tra i guitti. Quanto più il guitto è compreso della sua parte (che se si dimentica addirittura che deve accendersi a freddo peggio per il suo buon gusto!) tanto più il direttore di scena sarà soddisfatto. L'importante é che il duello sia preordinato, che Laerte non debba essere sorpreso da Amleto. Allora voi credete che siano state messe in discussione le cariche e la vita dei contendenti mentre tutto è previsto e calcolato. Guardate appena un poco al di là dello scenario. Farinacci ha il viso truce ma non può nascondere ad alcuno che è il presidente che glielo inspira. Massimo Rocca dichiara addirittura di aver scritto parole dettate in alto loco. Baroncini fa la sua parte più ammodo, ma ostenta di parlare con la fiducia del duce. Anche De Vecchi professa il più sacro lealismo. A commedia finita avremo l'apoteosi del pacifico dittatore. Gli si sarà ripetuto ancora una volta che egli è al disopra di tutti, che è il padrone, che ognuno è ad suo posto per ubbidirgli; in realtà si assiste a una gara adulatrice di fedeli servitori. Si discute sullo stile della cortigianeria e sulle interpretazioni dogmatiche. Nessun pericolo. Mussolini permette: sa che questo è compito degno di fiduciari zelanti. Quando la voce del signore si sarà fatta udire il pubblico riconoscerà il valore riposto nella favola alla quale i giornali hanno voluto mettere il buffo titolo: crisi del fascismo. Il fascismo non è in crisi: il fascismo è compatto, e noi preferiamo Mussolini fascista alla figurazione bonaria e corruttrice di un Mussolini italiano e liberale. 26 settembre p. g.
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