LA LOTTA DELLE GENERAZIONI

II.

    Non è naturalmente possibile di precisare sempre, quando, cessando il moto sovversivo, una generazione giovane s'inquadra nella funzione conservatrice dei padri scomparsi e dove s'inizia l'agitazione dell'altra che segue; in che periodo una generazione giovane esaurisce il sua slancio distruttore, e si adagia in una linea di equilibrio, e quando, compiuto il suo ciclo di vita attiva, è sbalzata dalla generazione che la incalza.

    La lotta si interseca di numerosi elementi; gli episodi di sovversivismo, con cui la generazione dei figli tenta di rompere l'ordine paterno e di salire, si susseguono, dapprima più tenui, poi più forti, per concludersi nell'incendio e nella conquista violenta dei posti, quando ottengono il favore delle circostanze.

    Se non trovano il favore delle circostanze, gli episodi di sovversivismo hanno il risultato di immettere ad ogni ondata nei vecchi quadri della generazione paterna con funzione conservatrice, gruppi di giovani.

    Avviene allora un mutamento graduale di quadri.

    Non badando alle idee, considerando unicamente l'energia delle giovani generazioni, che, per esprimersi nell'antagonismo contro la generazione paterna, può assumere qualunque bandiera, quel che importa soprattutto essendo la soddisfazione del bisogno di lotta, si comprende bene il ventennio di storia italiana, dopo il 1895 sino al 1915, e si chiarisce, anche il moto fascista in certi suoi lati, apparentemente contradditori e che hanno originato tanti equivoci.

    All'inizio del periodo i padri al governo sono la generazione giolittiana ed immediatamente, postgiolittiana, inquadratasi nella vita coll'esperienza di Adua: generazione, caratterizzata dalla politica del piede di casa, dedita unicamente a procurare ed aumentare il benessere nazionale!

    Giolitti la sintetizza col suo regime paternalistico, che preme saldamente sull' incipiente sovversivismo dei giovani della piccola e media borghesia e concede privilegi ai gruppi operai, che si vanno costituendo, nelle organizzazioni operaie, e si sviluppano su una base particolaristica e locale.





    Pane, lavoro, tranquillità, benessere, pace; è quanto assicura il regime patriarcale di Giolitti, che non tollera i casi di coscienza dei moralisti di professione, dei teorici intransigenti, dei melanconici dalle idee fisse, che tentano di mettere i bastoni nelle ruote dell'ordine.

    Chi sorge con simili propositi, col fine di moralizzare, di innovare, di riformare la realtà, viene presto liquidato coll'ostracismo dalla vita politica, facilmente conseguito con provvedimenti di polizia coi mazzieri elettorali o sommergendolo nel discredito pubblico.

    La dignità nazionale consiste nella prosperità ottenuta, che bisogna difendere ed aumentare.

    Quando i bilanci si chiudono in attivo e la lira è alla pari, la generazione giolittiana esulta: è l'ideale che si realizza. Il largo margine, la relativa facilità delle condizioni di vita, predispongono all' ottimismo, alla transigenza.

    È l'età dell'oro della vita Italiana; è il primo periodo di calma e di benessere, conseguito dal fermento delle guerre per l'unità ed è anche il periodo aureo della democrazia; della democrazia dei fatti, che si risolve nei favori ai gruppi più miserabili e nel produrre un tenore di vita largo che consenta di elargire elemosine ai ceti bisognosi.

    Le lotte parlamentari sono un giuoco infantile; c'è qualche malinconico democratico, ossessionato dalla religione del progresso, che invoca la democrazia, quando la democrazia è veramente in atto, realizzata nella pratica quotidiana, e tenta di turbare la calma agitandosi per l'irredentismo, ma non lo fa troppo sul serio, che in caso contrario ne otterrebbe l'isolamento e l'allontanamento dalla vita politica: il regime paterno e poliziesco di Giolitti, non tollera attentati al benessere e li reprime spietatamente!

    Ma la generazione dei figli, dei ventenni, comincia ad agitarsi.

    Il P. S. è l'unico partito che esista in Italia, il resto è grigiume parlamentare, gruppetto, frazione che ha la sola sua base di azione nell'alchimia di Montecitorio. Il P. S. sta all'apposizione e si proclama rivoluzionario, anzi la rivoluzione è la sua mèta.

    È quanto basta perché tutti, i giovani passino per le sue fila, vi esercitino il loro sovversivismo, vi agitino ogni loro passione ed entusiasmo.





    Veramente il sovversivismo del P. S. è tutto formale e decorativo: è sorto e si è sviluppato in antitesi di quello garibaldino e mazziniano, è uno stendardo che, agitato al momento opportuno, aumenta e consolida il regime di privilegio delle minoranze operaie del Nord, organizzate nei sindacati, è insomma un sovversivismo di maniera, che non chiede di meglio che di non esplodere e di contribuire alla conservazione del regime patriarcale, al cui margine s'è prodotto ed in cui trova la ragione prima di vita.

    Ma la fraseologia e la forma attirano e soddisfano i giovani; ed ogni giovane che, aperti gli occhi, sentendosi ricco di energia, vuole agire o più precisamente agitarsi, entrerà nel P. S.

    Non vi è uomo della generazione che fece la guerra, di quella che conta oggi dai 50 ai 30 anni, e che ha il suo esponente in Mussolini, come quella passata lo ebbe in Giolitti, che, avendo fatto in gioventù della politica non abbia partecipato al P. S. o non lo abbia almeno sostenuto colla sua simpatia!

    È il sovversivismo d'obbligo della generazione, oggi inquadratasi nella funzione conservatrice, di nuova generazione paterna, e che, con una definizione, solo apparentemente ironica, si può chiamare generazione socialista.

    Ci sarà chi come Salvemini vorrà farne uno strumento per moralizzare l'Italia, altri per instaurare la democrazia pura, altri sogneranno di farne la leva della rivoluzione: tutti i sovversivismi, i più opposti, entreranno nel P. S., vi si agiteranno un po' quindi se ne andranno altrove, vinti, sopraffatti dalla realtà delle organizzazioni operaie, che continuano a svilupparsi nella lotta quotidiana, base di azione delle vertenze salariali e dell'aumento del tenore di vita ai ceti operai.

    Esaminando con uno sguardo generale la storia degli ultimi venti anni, il P. S. si mostra come una grande scuola sperimentale dei futuri politici del Regno d'Italia, come il grande vivaio, in cui la futura classe politica si addestra, esaurendo in gran parte il proprio estremismo, per rappresentare più tardi con maggiore esperienza la funzione di conservatrice!





    Il P. S. appare come una specie di purgatorio, per cui è passato il maggior numero di politici, che si agitano oggi sulla scena politica italiana!

    È stato il P. S., che, istruendo la classe politica attuale, ha condotto alla decadenza ed alla fine della vecchia classe politica dei funzionari e dei professori universitari, da cui, per il cinquantennio del primo periodo unitario, sono usciti gli uomini di governo italiani!

    Strano fatto, di un Partito che, restato sempre formalmente all'opposizione, preparò le riserve politiche al regime!

    La generazione dei 40 anni, che ha in Mussolini il suo esponente e col moto fascista ha compiuto il suo inquadramento nello Stato, rovesciando definitivamente la generazione paterna, per occuparne i quadri e compierne la stessa funzione, quella generazione di politici nella sua grande maggioranza, è passata per l'anticamera del P. S. in cui espresse il proprio rivoluzionarismo giovanile, invano tentando di spingerlo a compiere azioni rivoluzionarie. Perché nettamente conservatrice è la realtà del P. S., espressa dalle organizzazioni operaie, in cui è enucleato dalla massa lavoratrice un ceto politico, inquadratosi nello Stato con funzioni di nuovo ceto medio.

    Il sindacalismo è stato il primo scoppio sovversivo della generazione che più tardi produrrà il moto per l'intervento: piccola fiamma spentasi subito, per le circostanze contrarie, e per l'errore dei suoi propugnatori, che volevano servirsi, per rovesciare l'ordine giolittiano, di ceti tradizionalmente conservatori, come i ceti operai, organizzati in sindacati, e che del regime giolittiano godevano i più larghi favori ed erano i veri privilegiati.

    Più tardi ecco il futurismo.

    Non si potrà fare la storia dell'ultimo ventennio italiano senza studiare attentamente le manifestazioni caratteristiche del futurismo, senza rilevare la funzione principale, che ebbe questo movimento nel fermento delle generazioni dei giovani, oggi divenuti padri e conservatori.





    Marinetti col suo linguaggio esuberante e colla sua violenza formale, in cui v'è però una logica profonda di vita ed un preciso intuito delle proprie esigenze, fu veramente l'interprete del tormento giovanile, dell'ansia di azione e di distruzione dell'odierna generazione paterna, della generazione mussoliniana e socialista.

    Non legato alla coerenza formale delle dottrine dei partiti politici, Marinetti si fa esaltatore tanto della guerra e del militarismo, quanto della violenza anarchica; ogni gesto di distruzione è buono, purché attenti al regime giolittiano; nulla importano le ideologie ed i programmi, di cui si colora e che formalmente ne sono le cause: "Noi, vogliano glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore..." (I° manifesto del Futurismo).

    Qui è espressa tutta l'energia di guerra, l'ansia di azione e di vita, che non bada ad etichette di idee o di partiti, di una generazione giovane che vuole conquistare i posti, politici e letterari, artistici che tengono i padri; "... i più anziani fra noi hanno trent'anni; ci rimane dunque almeno un decennio, per compiere l'opera nostra..." (I° manifesto del Futurismo).

    Si trattava appunto, per la mutazione mussoliniana, di esaurire nell'azione l'energia che l'agitava.

    I manifesti del futurismo, nella loro caratteristica precisione di linguaggio, come tutta l'opera di Marinetti, sarà certo ampiamente esaminata, da chi vorrà conoscere come si espresse il fermento che condusse all'intervento italiano nella grande guerra. Infatti il futurismo ha gran parte nella preparazione dell'atmosfera per l'intervento, anticipando l'intervento nazionalista.





    La generazione giovanile si ingrossa, il fermento aumenta, si estende, i giovani premono con mille mezzi contro il regime patriarcale, che scuotono ad ogni momento!

    Tutto ormai cospira contro la pace: il benessere pesa, sembra eccessivo alla generazione dei giovani, che nulla hanno fatto per conquistarlo od aumentarlo e non hanno conosciuto i periodi di miseria e di stenti ed il peso della sconfitta.

    Giolitti regala l'espediente della guerra libica, nella speranza che possa costituire un sufficiente sfogo al sovversivismo giovanile, disposto ad attaccarsi alla bandiera nazionalista, come a quella internazionalista, pur di esprimersi, di affermarsi.

    Al contrario la guerra libica contribuisce ad aumentare il fermento della generazione giovanile, a dargli un indirizza più omogeneo e preciso.

    D'altra parte avvicinati alla generazione paterna nelle ambizioni nazionaliste ed espansioniste, i figli sentono più forte la differenza tra il loro stato d'animo e quello dei padri.

    Le circostanze aiutano il sovversivismo giovanile.

    Ecco lo scoppio della guerra mondiale, ecco i moti per l'intervento che si svolgono e si compiono con successo in un'atmosfera già preparata di precedenti tentativi.

    La generazione giolittiana e postgiolittiana dei padri, impotente a frenare l'ondata, e' trascinata alla guerra, e vi aderisce per mantenere ì posti di comando.

    L'intervento basta per ora alla generazione giovanile, che vi trova la prima emancipazione del regime paterno: quel che importa è che il vecchio ordine è rotto e le gerarchie cominciano ad essere rovesciate.

    Spezzato è infatti il quieto vivere, finito il benessere, la prosperità. I figli si apprestano a passare il penoso purgatorio, della guerra a esaurirne le ultime impulsività giovanili, ogni cieco sovversivismo per entrare nella vita nazionale in veste di padri, di conservatori.





III.

    La guerra italiana da questo punto di vista è così lo sfogo della giovane generazione che col sindacalismo, il futurismo, il nazionalismo aveva ripetuto le sue ondate contro il regime patriarcale giolittiano, che finalmente infrange, contro la pace ed il benessere che finalmente annienta.

    Rimescolando le generazioni giovani ed unendole al fronte in una stessa vita di sacrifici, i più anziani della generazione giovanile, i quarantenni, i quarantacinquenni si ringiovaniscono, mentre ai più giovani la visione delle più dure realtà della vita dà un senso maggiore di calma.

    Ai posti di comando, politici e militari, di questa guerra, voluta e fatta dai giovani, sono tuttavia ancora i padri le ultime risorse, le appendici della generazione giolittiana.

    Le sue deficienze, risoltesi nell'aver condotto la guerra con metodi dell'èra di pace, si manifestano soprattutto alla Conferenza della pace, ove non un solo postulato del programma nazionalista di Orlando e Sonnino, per cui con dimostrazioni e cortei si agitavano nelle città i giovani ufficiali, riesce approvato.

    La guerra sembra mancata: la nausea, lo scoramento dilagano e, nello sfacelo del programma nazionalista dell'interventismo, pensando di far crollare in questo modo l'incrostazione tenace del vecchio mondo politico che mantiene i posti di comando, la generazione giovane guarda ancora una volta al P. S.!

    Come si fa a capire qualcosa delle fluttuazioni del dopo guerra, se ci si irrigidisce nell'esame e nelle disquisizioni delle ideologie e dei programmi dei partiti, anziché badare sopratutto ai sentimenti ed alle passioni della giovane generazione, i temi fondamentali e dominanti delle lotte politiche?





    Neutralismo e interventismo, nazionalismo ed internazionalismo, repubblicanesimo e monarchismo, non sono che antitesi formali: alla generazione che fece materialmente la guerra, importa sopratutto di dare finalmente una soluzione alla propria energia, di inquadrarla in nuove consuetudini di vita, che sanzionino il trapasso dalla giovinezza alla maturità.

    Gli ex sovversivi ventenni, ora quarantenni vogliono arrivare: questa è la meta; il programma e le idee vengono dalle circostanze e possono ad ogni istante essere mutati!

    Quanti di quelli che poi costituirono i nuclei più attivi del movimenta fascista, non guardarono al P. S., non gli diedero consensi, adesioni, non lo sostennero nel'19 e nel'20, nella speranza che si agitasse, che operasse il mutamento radicale, che spodestasse definitivamente la generazione paterna!

    Il massimalismo non è altro che questo!

    Ecco il congresso di Bologna che modifica, per l'impulso ed il rivoluzionarismo dei nuovi inscritti, il vecchio programma del P. S.

    Il quale tuttavia non si muove, perché i ceti che vi si sono formati sono nettamente conservatori e perché i posti di comando, le gerarchie, i quadri del P. S. sono tutti occupati dalla generazione paterna: sono i residui, i prodotti del regime giolittiano, i più vicini al vecchio ordine, di cui furono i migliori sostenitori e che ripensano con nostalgia.

    Pertanto la chiesa socialista non si muove: ha i suoi ordini, ha i suoi statuti, i suoi quadri, non può valorizzare l'ondata improvvisa, che ha ingrossato le fila del Partito, anzi i vecchi inscritti, i padri, la deplorano, vedendone contaminata la purezza della Chiesa e pensano con nostalgia ai tempi in cui erano pochi, e potevano svolgere comodamente la loro funzione di critica, in una atmosfera placida.

    Sono essi, ancora, i padri, che si difendono dagli assalti dei figli, la cui ondata rovesciandosi nel movimenta fascista, si risolverà nel Ministero del Presidente quarantenne.





    Troppo lento è il vecchio partito socialista, troppo rigida nelle sue gerarchie, nella sua dottrina formale, nella realtà concreta delle organizzazioni operaie, cristallizzatesi nelle agitazioni salariali, per muoversi; è troppo dominato dalla generazione paterna, il suo periodo aureo è stato durante il regime giolittiano; i suoi dirigenti, i suoi uomini più tipici e rappresentativi come Turati, esaltati ed avversati, ma in trent'anni, sempre dominatori e seguiti anche quando combattuti ed apparentemente sconfitti, hanno troppo l'ottimismo dei tempi di pace, la calma, la prudenza e le riserve della generazione paterna, per poter operare nel momento tumultuoso, afferrarsi alle circostanze, utilizzarle al massimo, buttando quel bagaglio che li può ostacolare. La loro nostalgia è per il regime di pace: si tratta di un nucleo di persone troppo paghe dei posti che occupa per desiderare seriamente di muoversi.

    Il vecchio Lazzari, segretario del P. S. nel 1919, nel momento di maggiore efficienza del vecchio partito, guarda con diffidenza ai giovani ex ufficiali, agli ex combattenti, che vengono nel Partito, agitando entusiasti, febbrili programmi estremisti, chiedendo mutamenti radicali, esigendo di agire.

    Egli è diffidente, come sono diffidenti Turati e gli altri, perché hanno sessant'anni, perché ormai la loro formazione mentale è quella tipica del conservatore, la loro massima aspirazione è soltanto di conservare col P. S. la posizione che hanno, la loro energia si è volta e si è esaurita nel produrre i fatti del passato, del periodo prebellico.

    La lotta che si svolge tra il 1919 ed il 1921 nel P. S. è tutta una lotta tra la generazione paterna, che tiene i posti dirigenti del P. S. ma non ha l'energia, la fiducia cieca, necessari per agire e si balocca tra la nostalgia del passato e la contemplazione delle vecchie tavole programmatiche e la generazione dei figli che vogliono agire, e sperano e tentano di fare del P. S. la strumento per lo sfogo della loro energia.

    I padri vincono il contrasto, restando ai posti di comando del P. S., ma la generazione giovane andrà a risolvere la propria energia nel moto fascista, preceduta dai primi nuclei che, fidandosi del P. S., vanno con D'Annunzio.

    Soltanto un esiguo nucleo, distaccandosi dal P. S., resta fedele alle direttive dottrinarie, adattandole alle nuove situazioni e costituisce il Partito Comunista.


grildrig