DAL TACCUINO DI POCOCURANTE
Le piccole miserie degli imperiRicorsi al Secondo impero napoleonico se ne sono fatti parecchi, a proposito del presente regime italiano, e spesso proprio a proposito. Uno mi si presenta, a pochi giorni dalla natamorta (per ora) legge catenaccio sulla stampa, nel leggere l'ultima serie di ricordi che la nipote di Buloz trae dai documenti di famiglia (Marie Louise Pailleron, Francois Buloz et ses amis. Les derniers Romantiques). Durante il Secondo impero la politica della Revue des Deux Mondes dava alcune preoccupazioni al Ministero dell'interno: "Alla fine del 1861 la Revue des Deux Mondes ricevette dal governo imperiale un avvertimento". La cronaca di Forcade del 15 ottobre ne fu cagione, "visto che - diceva Persigny - l'articolo si sforza, con le asserzioni più menzognere, a propagare l'allarme nel paese ed eccitare l'odio e il disprezzo del governo". In quella cronaca Forcade si permetteva non di propagare l'allarme, ma di segnalare tre punti "inquietanti" nella politica finanziaria ed economica del governo: l'esagerazione nelle spese, l'impulso imprevidente dato ai lavori pubblici, alle demolizioni ed alle costruzioni nelle grandi città e l'assenza di vedute coordinate nella direzione della politica economica... Ed aggiungeva: "Non c'è buona finanza di governo senza libertà politica, al di fuori del completo e rigoroso controllo delle assemblee rappresentative e delle vigilanti polemiche di una stampa libera". Ci sono alcuni, i quali non negano il valore probante di simili esempi storici, e riconoscono egualmente la tristezza di simili ricorsi. Ma allargano le braccia e piegano il collo esclamando - Cosa volete farci? sono le piccole miserie inevitabili anche nei più grandi imperi. Infatti, a leggere l'Alfieri, se ne sa abbastanza del puzzo di caserma che emanava non solo dalle caserme, ma anche dalla corte di Federico II, e Napoleone I tentò invano di creare una letteratura imperiale - e si preoccupava dei teatri di Parigi tra le angustie della Russia! -, e passò accanto a Madama di Stael con alquanta villania, senza sospettare che alcune faville della nuova letteratura erano lì. Le quali cose prima di tutto confermano che la vera vita spirituale, la vera cultura non possono stare a servizio di nessuno, neanche di un grande della terra; che sono piante di selva, non di orto. Bisogna rifarsi alle conclusioni alfieriane del Principe e le lettere. L'intransigenza di Alfieri è meno fantastica di quello che molti superficialoni, anche letterati di cartello, immaginano. Infine, badiamo a non equivocare con "le piccole miserie". Le piccole miserie trovano il loro piccolo angolo e la loro piccola ombra in un grande impero, dove, su per giù, tutto entra e tutto si quadra, almeno per un certo tempo. Ma guai ad equivocare sulle proporzioni del quadro. Avvengono allora le più strane confusioni nella valutazione delle cose; ed è allora veramente il momento pericoloso per farsi osservare dal proprio servitore. Perché non è vero che un grand'uomo autentico discenda agli occhi del proprio servitore. I tic del grand'uomo sono tic, e nulla più; sono i tic del genialoide che lo diminuiscono, perché sono parte integrante della sua vita. IngenuitàQualche mese fa compariva nell'Impero un articolo-confidenza. Come va che il nostro giornale va male, mentre alcuni giornali di opposizione vanno bene? "Noi non riduciamo tutto - pur essendo giornalisti appassionati - ad un problema giornalistico. Ma diciamo: In una Italia rinnovata, entusiasticamente monarchica, mussoliniana e fascista, è logico che i più diffusi giornali siano democratici,antifascisti, antimussoliniani? Come si spiega il fenomeno Corriere Stampa? "In una Roma Imperiale, in una Roma vera Capitale del Regno e del Fascismo è logico che il Mondo abbia più mezzi di diffondersi che l'Impero? Questo sarebbe logico con un governo Nitti, ma è mostruoso con un governo Mussolini". Chi scrive queste cose dimostra con ciò stesso di non essere un giornalista né per istinto, né per esperienza né per coscienza professionale. Se Io fosse, saprebbe già da sé: 1. Che il giornale (quello sul serio) vive di una vita propria, al di fuori anche delle sue idee politiche. I giornali strettamente di partito sono sempre a tiratura relativamente scarsa e sono quasi sempre un cattivo affare, perché sono monotoni. Il fenomeno Corriere-Stampa si spiega così: che sono due tra i pochissimi giornali fatti bene in Italia. Anche la Gazzetta del Popolo, ministeriale, va bene, non perché ministeriale, ma perché ben fatta. 2. Che il giornale ministeriale, ufficioso è esso un assurdo, che può essere tollerato per varie ragioni di opportunità, ma che deve essere ristretto per quanto più è possibile, perché, come tutto ciò che è assurdo, genera discredito e ridicolo. Infatti Giolitti, che, ai suoi tempi, la sapeva più lunga, ha sempre sconfessata l'ufficiosità dei giornali anche più notoriamente amici. Il giornale è nato critica ed implicitamente opposizione, in qualche cosa, se non in tutta. È questo il segreto per ottenere vivacità, varietà, sopratutto varietà, di cui è avido il pubblico che compera giornali. L'ufficiosità significa, al contrario, monotonia, pappagalleria, passività in amministrazione. Nessuna persona sennata compererebbe due grammofoni con gli stessi dischi. Ecco perché il giornale, di qualsiasi colore, può vivere unicamente in regime di libertà. Lo scrittore dell'Impero, perduta la strada, continua ad andare di traverso. Se quei giornali avversari prosperano, egli pensa, vuol dire che sono profumatamente finanziati dall' alta banca, la quale è infedele al regime. Dunque mettiamo le mani sull'alta banca e assicuriamoci noi dei relativi finanziamenti: "Affermo che il denaro è rimasto nelle mani dei nostri nemici e che bisogna toglierlo da quelle mani. "La mia premessa è esauriente ma - a scanso di equivoci - spiegherò ancora la mia frase: non alludo, dunque, alla proprietà privata, non alludo al denaro in quanto ricchezza, alludo al denaro in quanto forza suscitatrice e avviatrice. Parlo insomma quasi esclusivamente della Banca". Secondo questo scrittore le banche esistono precipuamente per far continuare a vivere i giornali senza debiti, e la ricchezza delle banche è indipendente dalla ricchezza dei privati. Egli non sospetta che il giorno in cui fosse palese che le operazioni principali di una banca fossero il fare piacere a un governo e dare quattrini a giornali male in gamba, quello stesso giorno la banca fallirebbe, perché la banca, proprio come il giornale, vive sopratutto della fiducia del pubblico, dei soldini del privato cittadino. Concepire il proposito di mettere mano sulle casse di una banca, senza però intaccare l'economia privata è uno di quei tratti, che tradiscono abissi oceanici d'ignoranza. Però facciamo giustiziaPerò sento l'obbligo morale verso me stesso di notare in questo taccuino che più recentemente quei ragazzi dell'Impero hanno saputo trovare una parola giusta pei democratici-socialisti, i quali, per bocca del loro condottiero ministro Di Cesarò, si lamentavano che i fascisti villaneggiassero anche loro, che pure avevano tanta voglia di collaborare, collaborare, collaborare. Deh, lasciami, anch'io Son figlia di Dio! pare che gridi la misera Democrazia sociale. Le terese del secolo XX non mollano e rispondono spietate: "L'accusa, a parte l'opportunità rispetto alla disciplina che un ministro ha l'obbligo di imporsi più di un altro, è assolutamente falsa. È calunnioso farci passare per degli attaccabrighe. Del resto, se la democrazia sociale è attaccata dai fascisti, ciò è più che logico, se si pensa che il fascismo è dottrina eminentemente anti-democratica e che il fascismo ha salvato l'Italia battendo le varie democrazie che l'avevano condotta sull'orlo della rovina: non vi sarebbe da sbalordirsi se la critica fascista fosse specialmente aspra verso la democrazia che si denomina sociale: esso volle, anche nel nome, accostarsi al socialismo". Pas trop bête, come dice Figaro di Don Basilio in una certa circostanza. |