LA POLITICA ECCLESIASTICA NEL RISORGIMENTO
II.
E quel che nel Piemonte, avveniva, con maggiore o minore intensità, in tutte le altre parti d'Italia.
L'essere il Papato, e la gran parte del clero, i difensori e gli alleati dei governi stranieri o reazionari, spingeva vie meglio gli uomini della rivoluzione a unire in una stessa avversione il Trono e l'Altare. La delusione che in tutti gli animi che sentivano italianamente, produsse il brusco cambiamento di rotta di cui Pio IX, premuto dalle correnti reazionarie si fece strumento nel'48 suscitò negli Stati direttamente soggetti al Pontefice, un'irrefrenabile esplosione d'odio, che nel decennio successivo andò rinfocolandosi per l'immediata e sempre più consapevole visione degli ideali politici e nazionali.
Le correnti anticlericali - di quell'anticlericalismo verboso e settario di cui abbiamo fatto parola - ebbero larga rappresentanza nel parlamento, costituendo il gruppo storicamente conosciuto col nome di Sinistra.
Malgrado l'appassionato amore alla indipendenza e alla libertà e la sincera dedizione dei più al culto della patria, difettava in generale negli uomini del Risorgimento - in cui la rivoluzione aveva il carattere di esasperata reazione, piuttosto che di superiore equilibrio - un preciso concetto di Nazione e di Stato; sia che, come negli uomini della "Sinistra" si aspirasse a uno Stato antireligioso più che anticlericale, distruttore di un organismo chiesastico; sia che, - come nel Ricasoli e nel Bonghi
si intendesse invece, accogliere e difendere i valori tradizionali, riplasmarli, però, secondo le idee dei nuovissimi riformatori, sia che, come nel Mazzini, e nei suoi seguaci, si aspirasse a un vago religionismo umanitario in cui la coscienza nazionale, vigorosa e feconda come principio di partenza e motivo di lotta, si oscurava pel cammino e metteva ad un ancor più vago ideale di religioso affratellamento universale, riassumendo in qualche modo gli errori degli uni e degli altri.
In tutti poi gli uomini del Risorgimento era vivissimo il culto per l'astratta "Libertà", figlia primogenita dell'89.
Ciascun partito sventolava con ardore questo fatidico drappo e proclamava di combattere per il suo sacro ideale (Libertà dell'individuo, libertà dei popoli, ecc.).
E in nome di questa vuota astrazione - vuota, appunto, quando si astragga dalla vita nazionale e dai contrasti internazionali - essi perdevano di vista, la realtà concreta che è lo Stato, e l'effettiva libertà dello Stato, condizione di ogni altra. E avveniva il curioso fenomeno, che, tutti, proponendosi di battagliare per la libertà, finivano col farsi più o meno tutti inconsci promotori o strumenti di tirannia.
Così gli anticlericali, in nome della libertà di pensiero, volevano opprimere le coscienze religiose dei cattolici; i clericali, in nome della libertà della Chiesa, volevano opprimere le coscienze politiche degli italiani.
Singolarissima poi fra tutte - e strettamente legata al carattere della legislazione ecclesiastica italiana - era la corrente cattolico-riformistica, ferma nell'assurdo concetto di voler lo Stato restauratore della religione; sulla quale, se l'indole del nostro lavoro non ce ne facesse imperioso divieto, converrebbe a lungo soffermarsi.
Già il Piemonte aveva avuto in Carlo Botta quasi l'antesignano dei futuri riformatori italiani. Il Botta deplora nel Papato l'ingerenza nel governo civile, il potere temporale e lo spirito di intolleranza; (c'è anche nello storico piemontese una vaga coscienza critico-dogmatica); ma insieme sostiene il valore della religione come un aiuto efficace alle leggi civili; e di conseguenza l'intervento dello Stato nel campo religioso. Solo lentamente, e a traverso dolorose esperienze, la coscienza della netta distinzione dei due poteri andrà facendosi strada.
A cotesto confusionismo politico religioso e alla tendenza a fare intervenire lo Stato nel campo religioso, contribuiva l'influenza grandissima di Vincenzo Gioberti - del Gioberti neo-guelfista e sognante un'Italia ricondotta ai suoi fastigi imperiali da un Papato rinnovato nello spirito e nelle forme - il cui cattolicismo italiano parlava alla rinascente anima nazionale come una stupenda promessa di trasfigurazione gloriosa, e al quale il fuggevole grido italiano di Pio IX parve aver dato un insperato contenuto di immediata realtà.
Il "primato" dette un brivido magnifico di passione italiana alla ancora annebbiata anima nazionale e la scosse dal suo secolare torpore. Roma divenne per lui il centro spirituale e politico degli Italiani.
Per il Gioberti neo-guelfista Italia e Papato costituivano una unità inscindibile. "Si può dire con verità - egli scriveva - l'Italia essere spiritualmente nel Papa, come il Papa è materialmente in Italia; allo stesso modo che, avendo rispetto all'ordine psicologico, il corpo è nello spirito, come in riguardo all'ordine filosofico lo spirito è nel corpo".
Questa fede egli la visse, finché il brutale scontro coi fatti ne divelse fin le radici. Sono arcinote le violenti passionate sconfessioni che il Gioberti fece al suo neo-guelfismo, specialmente nel "Del rinnovamento civile d'Italia" in cui affermava tra l'altro che "le qualità di principe e di pontefice sono inconciliabili"; il che, a ben meditare, equivaleva all'affermazione del principio della perfetta separazione dei due poteri.
Ma non pochi affezionatisi al Gioberti neo-guelfista, rimasero attaccati al sogno di una federazione italiana sotto la presidenza del Pontefice; e vedevano ancora la salvezza dell'Italia nell'intima unione del Trono e dell'Altare.
Tuttavia una larghissima corrente di simpatia - pur attraverso i feroci contrasti - accolse il nuovo orientamento politico del Gioberti che sosteneva la riforma della Chiesa doversi attuare specialmente per l'illuminata opera dello Stato.
Il movimento giobertiano si estese a tutta l'Italia, e trovò calorose accoglienze specialmente in Toscana; dove la tendenza cattolica-riformista si esprimeva nel cenacolo intellettuale, di cui eran parte cospicua il Capponi, il Lambruschini, e poi ancora il Guicciardini, il Mayer, ecc., ecc.
Anime caldamente religiose, si opponevano al potere temporale e intendevano riformare la religione con l'autorità dello Stato.
Autorevole fra i neo-cattolici il Tommaseo che chiama un controsenso il potere temporale.
Ed insieme sorgevano risoluti oppositori di qualsiasi forma di neo-guelfismo, quali il Rossetti ed il Niccolini.
Sicché tanto uomini della "sinistra" rafforzatisi sempre più quando il Parlamento subalpino divenne italiano - come uomini della "destra", pur partendo da diversi presupposti, miravano a invadere il campo della Chiesa; sognando quelli una distruzione dei valori religiosi, questi una riforma della Chiesa imposta dall'esterno e attuata dallo Stato.
La corrente cattolico-riformistica ebbe una vivace rappresentanza nel nuovo Parlamento italiano, in quella parte che per un lungo tempo tenne il timone dello Stato: la Destra.
Tra quelli che più calorosamente perseguivano l'idea della riforma statale, per così dire, del cattolicismo era il Barone Bettino Ricasoli, cresciuto appunto in Toscana, in quell'ambiente di liberali novatori cui si è accennato, e pel quale, anzi, la Riforma era diventata una vera ossessione: si che tutti i suoi atti politici vi si connettevano e talvolta, perfino, vi si subordinavano.
Tutto il periodo di maggiore attività politica del singolarissimo uomo di Stato fiorentino fu infatti caratterizzato da codesta fisima di riforma, alla quale sacrificava - incredibile, quasi, in un uomo di così fiera dirittura politica - la dignità dello Stato, sì che si piegò ad ammettere la internazionalizzazione delle guarentigie al Pontefice, purché questi cedesse in parte alle sue brame riformistiche.
VINCENZO CENTO.
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