LA SPERANZA DI CAMBIAR PADRONE

    Vorrei fare qualche osservazione in margine allo studio del Salvatorelli sulle origini e i caratteri del fascismo nazionalista. Della tesi dell'A. resta qualche punto in ombra, come, p. es., perché nel fascismo non sia prevalsa quella tale mentalità bissolatiana di cui erano tanti accenni nel pensiero di Mussolini ed in quelle del Comitato Centrale di Milano, composto di ex-socialisti ed ex-anarchici in prevalenza. Ed anche qualche punto di cui si aspetta il logico sviluppo, come le osservazioni sulla monarchia e lo Stato liberale, i quali "sono, in Italia, tutt'uno: o si mantengono ambedue o cadono assieme". Tutto lascia credere che la Monarchia abbia rinunziato non sappiamo per quanto, certo il più lungo tempo possibile, al tradizionale liberalismo, il quale sarebbe accoppato per chi sa quanto, se il partito popolare, piegando sempre più a destra e più o meno fondendosi col fascismo, riuscisse ad una conciliazione sempre maggiore, non importa se teoretica purché pratica, fra Stato e Chiesa, alla creazione cioè di una destra conservatrice illiberale e reazionaria. Ma mi sia concesso d'insistere, se pur è stato fatto da altri, sull'importanza che la guerra, così com'è stata da noi condotta, ha avuto sulla determinazione del presente stato di cose. Bisognerebbe anzitutto vedere più chiaramente da quali sogni più o meno messianici siano mossi e tormentati nel profondo uomini costretti a prove inenarrabili e messi ogni giorno a faccia con la morte, gli eserciti cioè di Europa da Cromwell e da Lutero in poi, e come poi, vincitori o vinti, una volta sciolte le file e rimpatriati, abbiano avuto nei loro paesi, a costituzione più o meno salda, vario influsso, vi abbiano modificato animi ed idee, promossi moti patriottici, militaristici, o popolareschi ed anarchici, e dove e perché e sino a che punto abbiano trionfato. E riflettere al profondo disprezzo e odio per i vari partiti, per l'Italia ufficiale, per tutta l'Italia che era indietro, al vari fronti interno aereo sanitario ecc., ecc., chiusa nella più cieca incomprensione e nella più cinica indifferenza, del quale si è nutrito così addentro il fante per lunghi anni, al suo senso incommensurato di sé, del suo sacrificio, del suo valore, di fiducia illimitata nella propria intelligenza e forza; sentimenti tutti che sfociavano nell'unico desiderio di finirla una buona volta non già con l'Austria, ma con quell'Italia ora detta, di volgere le armi proprio indietro, su quella Udine degli imboscati dei donnaioli, dei medagliatissimi figli di papà; e badare che non riuscì, esso fante, con la rivolta di Caporetto a creare da noi una Russia comunarda forse perché non era ancora pronto un nostro Mussolini-Trozki, non che gliene passasse la voglia; e che poi tornato vincitore, cioè con la prova provata che la ragione era dalla parte sua e che tutti quegli altri miserabili respiravano solo perché era piaciuto a lui, veniva da costoro accolto come un incomodo, uno per cui non c'è più posto e che meglio avrebbe fatto a crepare, e nemmeno c'è onore, che è più del posto, per la sua bandiera o, che è lo stesso, per lui. E questo fante doveva fare "la politica", che è il nostro male endemico, e doveva anche inquadrarsi nei vecchi partiti!





    A proposito dei quali, mi consenta l'A., manca al suo volume un capitolo, il più gustoso forse, sul "Sovversivismo del Governo", il quale si va paternamente occupando, da tanti anni, come è risaputo da tutti, di noi meridionali, e, dopo le famose inchieste agrarie sulle condizioni dei contadini nel Mezzogiorno d'Italia, accentuò quei famosi metodi elettorali (certo per raddrizzar loro la spinta dorsale ed insegnare e aiutare un po' di quella tale lotta di classe con la minuscola) a carico delle spalle dei nostri cafoni, ai quali il fascismo agrario pare solo una colossale organizzazione per le carezze elettorali (l'epoca dei mazzieri è finita?); con la facoltà, s'intende, di ammirare di nuovo i Commissari di P. S. spalleggiati dai vari Re Nicola, nonché di ricorrere alla nostra giustizia. Ora anche gli evoluti operai del Nord hanno provato che le loro spalle non sono più rispettabili di quelle dei nostri scannapane. E sì che non è mancato chi, quindici anni fa, li aveva avvisati del rischio che, non difendendo noi,correvano per se stessi!

    Per concludere, noi meridionali abbiamo qualche conto particolare con i vari governi e con i vari partiti; e non è colpa nostra se non ci siamo commossi troppo, non ne dispiaccia al S., dei pericoli corsi, nelle giornate del radioso maggismo da qualche cugino del Re. (A proposito, chi ci darà la revisione di quel mirabile tessuto di bugie che sono le memorie di papà Giolitti?). E, che ne sia del presente, siamo stati contro quello dei socialisti, di Giolitti e dei cattolici, che fu conservatorismo nel 1915, come dice il Vinciguerra, ed è stato sempre, con noi, per intelligenza delle nostre cose e buona disposizione d'animo, sempre conservatorismo, anche se democratico; non foss'altro che per qualche speranza di mutar padrone. Fortuna che Iddio non ha un giorno fisso per pagare. Perché noi del Mezzogiorno, li ascari per elezione e per forza, abbiamo lasciato cadere, con indifferenza, le varie monarchie che si sono succedute sul nostro suolo. Altro che sentimento di sudditanza! È questa, perché nessuno si scandalizzi, un'osservazione di uomini di destra, che ne tremavano, dall'on. Marselli al Villari e a Benedetto Croce.

T. FIORE



    La speranza di mutar padrone creò nel Mezzogiorno quello stato d'animo di aspettazione e di incoraggiamento che fu uno dei fattori indiretti del successo del fascismo: valse a impedire il pronunciamento di un'opposizione cosciente e forte, come poteva essere ispirata da Amendola o da Nitti. Bisogna confessare che i costumi politici dell'Italia giolittiana del Sud non potevano suscitar invidia o attaccamento: il fascismo dei mazzieri fu sempre un metodo assai abusato. Ma questo risentimento e questo scontento come non bastarono a giustificare il fascismo (nella critica del fascismo, Fiore è con noi) non possono bastare per un giudizio sul decennio giolittiano, che, dal 900 fino all'impresa Libica esclusa ebbe nel Sud il merito singolare di garantire un periodo di pace, tranquillità e progresso economico e aiutò anche indirettamente gli italiani ad imparare i metodi e la psicologia della politica e della vita moderna. Perciò, la sostituzione del fascismo al giolittismo non è stata, purtroppo, soltanto un mutar padrone.