PROCESSO CLERICALE AL RISORGIMENTO
Si potrebbe immaginare G. B. Casoni (1) nel secolo XIII incerto tra la tentazione di arruolarsi con Simone di Monfort per far strage di Albigesi e il prudente pensiero di vestir l'abito domenicano, dacchè ai domenicani era stata affidata l'inquisitio hereticae pravitatis. In questo dilemma si riconoscono i suoi limiti e il suo stile.
Vissuto nel Risorgimento, con milizie papaline e chiostri inerti se non addirittura semiliberali, dovette essere giornalista austriacante per appagare la sua sete di lotta ed ebbe l'animo di un fante crociato. Come giornalista trovò facile fortuna: la sua attività occupa tutto il secolo e non è delle più umili; amico di Don Margotti, tenuto in considerazione da Thiers,
da Montalembert e da Veuillot, prediletto da Pio IX tra gli scrittori laici del cattolicismo incominciò redattore dell'Osservatore Bolognese prima del'59 e finì a dirigere l'Osservatore Romano e a procurare, per il suo atteggiamento battagliero, noie e proteste della diplomazia internazionale presso la Segreteria Vaticana.
Ma questo suo essere stato cinquant'anni in campo, all'avanguardia della reazione, a sperare l'impero di Pio IX e a vederne il tramonto, a consigliare intransigenza a Leone XIII e ad assistere il dogmatismo di Pio X, dà alla sua vita un colore d'avventura e rende singolare la sua esperienza, che dal'48 giunge sino alla preparazione della guerra europea e che egli ci ha voluto descrivere, prima di morire, in un libro di ricordi cui non si saprebbero trovare riscontri per vivacità e originalità nella nostra letteratura politica.
Ma di tanta storia che gli è passata davanti egli non ha voluto vedere che la cronaca, e nella sua fede, così sicura che non si indugia neanche a professarsi, ha costantemente rifiutato di prendere interesse a drammi di idee o a incertezze di passioni che un cattolico autentico deve aver già risolti e giudicati per sempre, tranquillo che il futuro nulla possa aggiungere alla conosciuta rivelazione. Casoni ha fatto del mondo un chiostro da cui anche i fantasmi sognati e le notturne apparizioni tentatrici sono bandite e, assente il dubbio, la lotta conserva una maestà pacifica e inesorabile, e un ordine sistematico di pubblica amministrazione. Le suggestioni della lotta di idee e dei drammi cosmici derivano dalla circostanza
totalmente metafisica che l'uomo lottando con gli altri lotti con se stesso e nella vittoria rechi il dono di un attimo di tregua all'autocritica dilaceratrice: invece le confessioni del nostro giornalista austriacante mancano affatto di tali dualismi dialettici e riescono l'elenco riposato di statiche affermazioni. I fatti sono seguiti con la curiosità dell'erudito, e guardati con obbiettiva indulgenza o con bonaria canzonatura anche quando un vero mortale, non così metafisicamente convinto di rappresentare la spada terrena dell'idea divina, troverebbe la propria contraddizione e lo scorno della sua debolezza. La narrazione procede costante su uno stesso piano, con palese indifferenza, in un tono tra scettico e dogmatico, e la sola varietà è data da una diplomatica attenzione verso le persone e da una dilettevole copia di aneddoti.
Ora con tale sicumera dovrebbe contrastare il tono dimesso del ricordo personale, senonchè la più elementare malizia scopre facilmente l'equivoco per cui il Casoni parla "della sua modesta e umile persona", proprio quando non tralascia il postumo ripicco coi suoi antichi denigratori e nota con bonaria indulgenza e con estrema diligenza i proprii successi e le circostanze in cui eccelle il suo valore quasi se ne compiacesse soltanto per amore della causa. Insomma la vanità umana dello scrittore è piuttosto aiutata e nascosta che dimenticata nella rigidezza del cattolico e la presenza dei motivi dogmatici vi aggiunge anzi un tono secco e ascetico che è piuttosto originale che ingrato. Così anche lo stile conferma la struttura psicologica semplice e lineare nell'uomo.
Sono gli elementi narrativi che alimentano la monotonia del libro, come il gusto del particolare allieta il freddo dogmatismo del pensatore; le osservazioni psicologiche nascono col tono del sarcasmo e della stroncatura, adeguate secondo un punto di vista di amministrazione e di cronaca; le definizioni risultano palesi, l'aneddoto dato come esemplificazione non disperde il processo quasi sempre dichiarativo del periodare, il tono dell'apologia e della polemica è vivace, senza sottintesi e senza sfumature. L'uomo è tutto di un pezzo, il libro non può avere altri pregi fuor della accuratezza per cui la fotografia riesce incisiva; dove si mettono in scena altre persone manca l'interesse fantastico per una ricostruzione drammatica, ma il ricordo o il dialogo, ingenuamente immediato, non appaiono meno suggestivi.
Si legga questo ritratto di Minghetti che non è meno preciso di quello scritto da Petruccelli Della Gattina ed tra i pregi della passione da cui è dettato:
"Colla copia delle sue cognizioni, colla facilità della sua parola, colla gentilezza dei suoi modi, Marco Minghetti sarebbe stato un capo di opposizione rispettato e temuto e avrebbe potuto essere non poche volte il padrone della situazione e l'arbitro dei destini di qualche ministero.
"Ma egli volle essere ministro e anche presidente del Consiglio dei ministri. Se sempre dimostrò profondità d'ingegno e vastità di cultura, non si dimostrò fornito di quel tatto pratico e di quel criterio politico, che, più che l'ingegno e la dottrina, formano i veri uomini di Stato.
"Del resto egli aveva intravveduto la sua potenzialità intellettuale e politica, poichè sarebbesi appagato di essere uomo di consiglio e uomo di cattedra" (pp. 27-28).
Invece la passione non gli fa velo nel giudicare Cantù, per il quale egli ci offre invero un modello di arguzia psicologica e di placida canzonatura:
"Secondo me, Cesare Cantù ha compiuto un lavoro colossale e ardito colla sua "Storia Universale" per quanto siasi detto che essa non è che un raffazzonamento di fatti e di documenti più che una ragionata coordinazione degli eventi e delle loro cause.
"Ma bisogna, secondo il mio debole avviso, considerare che egli fu primo nel concepire e nell'effettuare si ardita impresa, come è da considerare che Cantù cominciò a scrivere troppo presto, cominciò a diciotto anni e quindi non ebbe il tempo di pensare.
"Fu scrittore, ma non fu pensatore" (p. 90).
Ma le pagine più suggestive del Casoni sono quelle che nel 1907 egli scriveva sulla rivoluzione italiana del Risorgimento. Come il combattente non s'è placato, lo storico non vuol vedere più in là di ciò che ha giudicato come testimonio e rifiuta un avvenire che non riporti al mondo tramontato. La storia che diverge dalla linea maestra della tradizione pontificia è stratagemma provvisorio di eretici e truffa di diavoli. Casoni non ha bisogno di fare il processo alla rivoluzione, gli basta vederla nel modo più dilettevole frantumarsi in aneddoti.
Perchè caddero i Borboni?
"Il regname delle Due Sicilie dava ogni anno al Papa una chinea in segno di suo vassallaggio e di riconoscimento dell'alta sovranità della Santa Sede sopra il Regno di Napoli.
"Quando Pio IX esulò a Gaeta, e fu accolto con tanto onore dal Re Ferdinando II, questi domandò al Papa di volere liberare il suo regno da tale prestazione.
"- Come si fa a dire di no - rispose calmo, ma impensierito, Pio IX.
"Il Regno delle Due Sicilie da allora in poi non diede più la chinea al Papa, e fu libero da ogni subordinazione al medesimo. In cambio dovette però fra breve il Re Ferdinando dare il Regno alla rivoluzione, e perduta la vita per un delitto perdeva il trono pel giovane suo figlio e per l'intera sua famiglia.
"Ciò che è del Papa è di Dio e ciò che non si da o si toglie al Papa, non si dà o si toglie a Dio" (p. 93).
Qui la morale non è sovrapposta aridamente, ma nasce spontanea coll'aneddoto stesso ed ha tutte le suggestioni dell'ingenuità. Come si spiega il successo dei Mille? C'è anche per questo la favoletta più convincente:
"L'antico esercito napoletano si sfasciò in breve, parte tradito dai generali e parte sbandato per mancanza di ordini e di duci. A ciò contribuì più l'oro che il ferro, ossia poterono assai i biglietti di banca più che l'onore e il giuramento di parecchi capi dell'esercito delle Due Sicilie.
"Fra l'altro si raccontò subito che il generale Lanzo, comandante delle forze borboniche a Palermo, cedè la piazza a Garibaldi per dugentocinquantamila lire, ma si aggiunge ancora, e non fu mai smentito, che i biglietti di banca, dati al generale fedifrago, erano tutti falsi".
Così con Garibaldi il Casoni non vuole riconciliarsi a nessun costo e la ferocia con cui lo ricorda a venticinque anni di distanza dalla morte è addirittura drammatica. Non può avere rispetto nè odio per i nemici della Chiesa, e mostra molto più ragionevolmente un freddo disprezzo:
"Il grido emesso da Garibaldi Roma o morte fu soffocato ad Aspromonte, e fu per un momento ripetuto prima di Mentana poichè a Mentana l'eroe dei due mondi non si trovò presente al combattimento,
come non si trovò a Castelfidardo il generale Cialdini, ad onta che fosse poi chiamato l'eroe di Castelfidardo, pomposo titolo da lui meritato come Garibaldi poteva meritare quello di eroe di Mentana, per avere questi due eroi brillato per la loro assenza dai luoghi della lotta e nell'ora della battaglia" (p. 91).
Del governo italiano tenuto in Bologna, dopo il '59 parla così:
"I nuovi venuti fecero tosto comprendere quello che era per essi l'abolizione della tirannide papale e l'intronizzazione della libertà liberale.
"Dico libertà liberale, perchè essa è ben diversa dalla libertà naturale, essendo che per il liberalismo la libertà è un mezzo. Non è uno scopo, ed è un diritto pei liberali, mentre é una parola per i non liberali. D'altronde era molto tempo che in Bologna non erasi goduta quella libertà che per secoli godettero i vecchi bolognesi, mentre poi era stata fino allora amplissima la libertà di dir male dei preti, del Papa, e del suo governo" (p. 53).
Diremmo che in questi anacronismi si nascondono i più piacevoli esempi di stile: certo un semplificatore formidabile e dignitoso come il Casoni non è sorpresa di tutti i giorni e chi volesse opporgli la propria ironia urterebbe invano contro la sua impassibilità. Del resto nei suoi piani d'azione c'è qualcosa di più che la applicazione della morale alla politica: nella lotta contro il nuovo governo ha la sua parte anche la diplomazia:
"Noi vedevamo che con l'astensione dall'azione governativa si sottraeva alla rivoluzione dominante la forza morale e la cooperazione materiale di non pochi milioni di cittadini italiani" (pagina 179).
Gioverà chiudere questi cenni di presentazione con un esempio di perfetto ragionamento logico per cui il Casoni ferma decisamente il suo edificio intellettuale e si giustifica quasi commossamente come italiano e come uomo oltrechè come cattolico:
"Il non expedit è stato per molto tempo la base d'operazione, come diceva un dotto prelato, del movimento cattolico in Italia, il quale non poteva avere, quasi sto per dire, quella libertà d'azione e quella vastità di espansione, che ha e può dare in altre nazioni e in altri paesi; essendochè; trovandosi in Italia la sede del Papato Romano e il centro della Chiesa Cattolica, non si possono mai disgiungere le condizioni politiche e sociali dell'Italia da quelle del Papato, istituzione mondiale e cosmopolita che ha diritti, doveri, interessi, ideali e finalità che si stendono pel mondo intero e che hanno per oggetto l'intera umanità.
"Ecco perchè noi sostenevamo fin dal principio della nostra resistenza e della nostra lotta che la libertà civile e l'indipendenza politica e l'unità nazionale dell'Italia non poteva essere disgiunta dalla libertà effettiva, dall'indipendenza assoluta e dall'unità morale della Chiesa e del Papato. Ecco perché noi, in base alla storia della Chiesa e dell'Italia fissammo per condizione fondamentale del nostro movimento cattolico italiano questa grande e inconvertibile verità storica: "Il Papa è non solamente il capo spirituale dell'Italia, ma ne è ben anche il capo politico". Non vi fu mai infatti nessun assetto politico e sociale dell'Italia senza l'intervento del Papa: basta ricordare la grande epoca del Comuni italiani.
"Questi furono l'opera meravigliosa dei Papi, che fece godere all'Italia quella libertà civile, quella grandezza nazionale e quell'agiatezza economica, che tutte le altre nazioni civili non hanno avuto che dopo parecchi secoli.
"In ciò stava la ragione storica della nostra divisa cattolici e italiani" (p. 182).
La passione legittimista si giustifica qui con argomenti affatto italiani e bisogna anzi vedere nei residui di nazionalistica enfasi giobertiana proprio il torto e l'ottimismo di questo processo al Risorgimento, che rimane tanto ortodosso e patriottico da non intaccare i motivi dell'unità. Il Papato confuse la causa della conservazione ideale con quella dell'assolutismo politico; ma il modello del suo governo era tuttavia per eccellenza demagogico anche se blandiva le plebi per escludere le iniziative.
La politica dei preti intendeva troppo bene le folle italiane per chiedere dei sacrifici: col cattolicismo offriva invece quiete e carità pubblica, pacifismo e benessere. Nessun dubbio che un tal governo fosse per eccellenza aderente agli istituti nazionali e che la testimonianza di Casoni sia avvalorata anche dagli esempi della storia più recente. Chi può affermare che per il dominio temporale gli italiani condividano il disgusto di Gladstone?
p. g.
(1)Cinquant'anni di giornalismo (1846-1900). Ricordi personali dell'avvocato Giambattista Casoni; Bologna, Matteuzzi, 1907. I volume di Pagine V-321.
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