FASCISMO E MEZZOGIORNO

    Dice il Salvatorelli in Nazionalfascismo che il fascismo è il movimento politico della piccola borghesia umanistica o quinto stato. Una delle obbiezioni che si posson fare a questa tesi è la seguente (che del resto è già stata mossa al S. da altri): "Se veramente fascismo è movimento politico del quinto stato, come va che il mezzodì, patria per eccellenza del quinto stato, non è stato anche la patria del fascismo, anzi si mostra ad esso fascismo così difficilmente permeabile"?

    All'obbiezione risponderà, o avrà già risposto, il S.: io qui oggi mi vorrei particolarmente trattenere sul problema, gravissimo per l'Italia, della penetrazione del fascismo nel Mezzodì.

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    Il Mezzodì non ha avuto e pare non voglia avere il fascismo come il Nord; sarebbe sorto nel Mezzodì il fascismo se il Nord nel'19-20 avesse fatto la repubblica sociale e se la repubblica del Nord Italia avesse poi fatto - come sarebbe stato fatale - una spedizione Garibaldi o meglio una spedizione Fanti, per la conquista del Mezzodì rimasto monarchico. In tal caso avremmo visto nel Mezzodì il fascismo, e sarebbe stato quello un fascismo che avrebbe certo offuscato gli splendori di quello del Nord. Non sarebbe stato neanche quello una cosa nuova, perchè avrebbe avuto i suoi antecedenti in fatti che si chiamano orde del Cardinal Ruffo, eccidio del Pisacane, brigantaggio del'66, ma sarebbe stato certo una cosa di inaudita veemenza e avrebbe scritto nella storia d'Italia un capitolo, che il futuro Oriani avrebbe potuto intitolare "L'Irlanda Italiana".

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    Quello che nel Nord e nel Centro d'Italia non han saputo fare i socialisti, lo hanno fatto più tardi, in parte, i fascisti, impadronendosi del potere nei modi che ognuno sa, con una marcia che, incominciata col ministero Bonomi, è finita (?) con le giornate d'ottobre.

    E anche al nuovo stato fascista, subito dopo la sua costituzione, si è presentato il solito inesorabile problema della conquista del Mezzogiorno.





    Ora se il fascismo, dopo la conquista di Milano e di Roma, nella necessità di propagar la conquista fin nel Mezzodì, avesse continuato nella via per cui si era messo delle spedizioni in grande stile con squadre di "continentali" nelle isole e squadre di "milanesi" in Campania, quello che non era accaduto laggiù nel '19-'20, ai tempi del bolscevismo rosso, si sarebbe visto nel '23, ai tempi del bolscevismo tricolore. Di quello che sarebbe stata la reazione del Mezzodì al fascismo in questo caso, un piccolo ma significante saggio se n'è avuto nei fatti di Sardegna, di Sicilia e di Campania, dal novembre '22 alla primavera '23, dal pestaggio dell'on. Lussu all'agitazione del soldino.

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    Ma succede che il fascismo in Italia è finora, come ognun sa, sopratutto Mussolinismo, e succede che il Mussolinismo è sopratutto "Romagnolismo". Ora in ogni romagnolo odierno c'è sempre sotto "l'uomo rosso", feroce e accipigliato, la persona "ad bonchoeur" bonaria e commovibile; c'è sempre, in ogni romagnolo moderno, il figlio del cospiratore e il figlio del "papalon"; sotto l'immancabile berretto frigio ogni romagnolo serba ancora un'ombra di tonsura; per cui questo fiero figlio d'Italia, che tanto piacque al nostro D'Azeglio, sa essere, in politica come negli affari, minaccioso e accomodante, impetuoso e sornione, prepotente e raggiratore a seconda dei casi e dei bisogni.

    Aggiungi che in Italia, almeno nella nostra Italia, le cose appieno non si fanno mai e in tutto si va sempre per approssimazione: mezza vittoria e mezza sconfitta, mezza rivoluzione e mezza reazione, e, adesso, mezza tirannide e mezza costituzione, mezzo terrore e mezza monarchia col parapioggia, "e nulla insomma d'intero - direbbe l'Alfieri - se non l'imperizia da ogni parte".





    Onde avvenne che anche col Mezzogiorno, dopo un primo periodo di maniera forte e di faccia feroce, visto che il manganello, rivelatosi onnipotente nel Nord, con quelle terre matte del Sud giovava a poco, il Presidente capì che "tra il Sud e il fascismo c'era un grande equivoco", e si adoperò lui personalmente a "togliere l'equivoco", presentando agli uomini del Sud l'altra faccia dell'erma bifronte, quella florida e bonacciona del dispensatore di benedizioni e di provvidenze. Fu, come ognun ricorda, il tempo del pellegrinaggio a Caprera, dell'abbraccio alle camicie rosse, del discorso dell'acquedotto di Sassari, del discorso pel porto di Messina, fu il tempo delle concessioni per la costruzione delle ferrovie sicule, e degli approcci verso le cooperative di combattenti del Mezzodì.

    Il compito, delicato e onorevole, di... assistere e favorire il Presidente mentre fa la corte al ritroso Mezzodì è affidato, come ognun sa, alla democrazia, vuoi nazionale e vuoi sociale; la quale finora, nelle persone de' suoi Carnazza e de' suoi Cesarò, non si può mica dire che non abbia fatto del suo meglio per assolvere il compito suo. Recentissimamente pare che qualche mosca sia caduta nei capellini, e il Duca della democrazia sociale pare che si sia messo a fare un po' di fronda; ma io ho voluto vedere quel famoso articolo di Conscientia su "Fascismo e Mezzogiorno", e non ci ho trovato nessuna levata di scudi contro il governo: solamente ci ho trovato messo in carta e firmato quello che i parlamentari democratici del Mezzogiorno han già fatto intendere da un pezzo in mille modi a Mussolini: "badate, insomma, che il Mezzogiorno è una "piazza" speciale, che noi conosciamo bene e i vostri no: se il fascismo vuole su questa "piazza" far affari, la rappresentanza per i suoi articoli deve affidarla a noi: se no sarà un fallimento"; e Mussolini, che per suo conto l'ha già capita da un pezzo, la farà capire a quei seccamidolle dell'Impero; si intenderanno sulla percentuale e il Mezzodì sarà servito anche questa volta, senza che avvengan tragedie.





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    Ma, o io m'inganno, o questa volta il gioco non dovrebbe esser così facile; o io m'inganno o davvero sta accadendo nel Mezzodì qualcosa di inaudito nella sua storia. Pare che Sardegna e Sicilia questa volta non sian più cadute, deliranti d'entusiasmo e di speranza, ai piedi... del Governo; in occasione del disastro di Linguaglossa pare che gl'indigeni della regione etnea siano stati alquanto sgarbati con i... forestieri; e pare che finalmente anche laggiù, in questa occasione, abbia echeggiato, tradotto nella lingua del Meli, il grido meneghino del "fèmm de nün": facciamo da noi. Voci vengon di laggiù da uomini che son come i numi tutelari di quei paesi, le quali dichiarano che una grande illusione si va perdendo nel mezzodì: quella che dall'Unità d'Italia potesse mai il Mezzogiorno aver la sua risurrezione. Giovani son cresciuti laggiù i quali oramai hanno capito quanto dannoso sia per il paese loro il volersi ostinare nella sublime ingenuità di "inserirsi nella politica unitaria nazionale": e moltitudini vi sono le quali, dopo aver rassegnatamente e inconsciamente tutto dato a Roma e all'Italia senza nulla averne ricevuto, sentono ora che solamente in sè debbono aver fiducia e speranza.

    Il Mezzogiorno insomma dispera di Roma e del Regno d'Italia; ed è appunto in questa virile disperazione ch'io vedo la promessa e la garanzia della redenzione politica di quella parte d'Italia; il Mezzogiorno va comprendendo che se non si salva da sè nessuno lo salva, se non risolve da sè i suoi problemi culturali economici sociali nessuno glie li risolve per incanto; il Mezzogiorno va intendendo insomma che l'unico modo per lui di influire davvero, anzitutto a suo pro e poi quello a beneficio generale, sulla vita nazionale italiana, è quello di estraniarsi da questa remota astrazione, per rinchiudersi nella realtà vicina della sua vita locale.

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    L'opera dell'Associazione per il Mezzogiorno, che delegata alla lotta contro l'analfabetismo, agendo in regime di autonomia e di regionalismo, in due anni ha creato sotto gli occhi prima diffidenti dei Siciliani e dei Calabresi, le scuole e gli asili che il Governo non aveva saputo dar loro in sessant'anni d'unità, ha disincantato quella gente dall'attesa del Governo ed ha rivelato loro la via. Adesso laggiù sanno come si fa, e continueranno.





    Non sarà mica roba d'un giorno nè d'un anno: sarà una cosa lunga e, per un pezzo, inavvertita dai più: ma è cosa fatale, e il movimento, una volta avviato, non s'arresterà più e porterà lontano.

    E il fascismo in questo risveglio di energie locali nel Mezzodì avrà avuto un merito grande: questo, di aver dato alla gente del Mezzodì la rappresentazione fedele e plastica di quello che è e che fu per il Mezzogiorno il Nord d'Italia e, in genere, il Regno d'Italia: non il fratello ma il padrone, non l'educatore ma il mazziere non il liberatore ma il predatore. Questi ragazzi spavaldi e violenti, che son calati laggiù a dar lezioni di patriottismo a della gente che nel nome della patria si è sempre segnata, a dar lezioni di interventismo postumo a un paese che al tempo buono non ebbe neanche un imboscato, a dar lezioni di lealismo a della gente che ebbe le effigie dei Reali anche nelle antiche sedi dei primi e veri fasci, questi studenti scioperaioli che son andati a Napoli a ripetere a quella gente rovinata dalla guerra la favola ironica della ricchezza naturale ed economica del Mezzodì, questi violenti che son andati a bastonare, bruciare e devastare impuniti in paesi in cui ogni famiglia ha il ricordo d'un suo membro imprigionato per molto di meno, questi fascisti dico piombati nel primo momento alla conquista del Mezzodì han dimostrato appunto concretamente e coreograficamente che cosa era davvero per il Sud lo Stato Italiano e qual era il guiderdone che esso serbava per quel Mezzodì che aveva salvato davvero l'Italia prima, durante e dopo la guerra.

    E la gente del mezzodì ha capito il latino, ha generalizzato, ed ha tratto le conseguenze: "se questo è lo Stato italiano, il Governo, Roma, allora, grazie, allora basta; quind'innanzi penseremo noi ai casi nostri"; e da questo urlo e da questi propositi si potrà ben dire che sia incominciata la nuova storia del Mezzogiorno.

    Del che il futuro storico dovrà pur riconoscere le sue benemerenze anche al fascismo.

AUGUSTO MONTI.