Lettere dalla Sicilia

RIMBOSCHIMENTI

    In tanto fragor di riforme, in tanta libidine ricostruttiva, non sento parlar di rimboschimenti...

    Eppure i boschi sono proprio quello che - specialmente in quest'arsa terra di Sicilia - bisogna ricostruire o, per essere più precisi, ricostituire.

    Si dice infatti - ed io non ho voglia di citare statistiche d'altri tempi non facili, per altro, ad essere scovate - che una volta ci fossero in Sicilia dei boschi, molti boschi. Si suole attribuire al malgoverno borbonico il colpo di grazia dato al patrimonio forestale siciliano, che già i precedenti governi avevano attratto dentro le spire delle loro... spese pubbliche.

    Ma è proprio vero che ai vari governi succedutisi in Sicilia e solo ad essi debba attribuirsi il disboscamento dei nostri monti? Non vi ha per nulla contribuito il malfare dei buoni abitatori dell'Isola?

    Un amico mi faceva osservare tempo fa che i Borboni governarono anche in Calabria e che in Calabria ci sono ancora dei boschi! L'osservazione, senza aver la pretesa di rinfamar la caduta dinastia, scuote un po' quell'onta che noi siamo soliti buttare addosso ai nostri padroni di ieri. Ma non bisogna esagerare: perchè mentre da una parte non è poi difficile dimostrare che i Borboni distrussero probabilmente o, per lo meno, danneggiarono tutti i boschi - compresi quelli delle Calabrie - dall'altra voler affermare che la rovina portata dalla nefanda opera di disboscamento a tutta la nostra vita derivi solo dall'azione o dall'inazione dei governi, significa chiudere gli occhi dinnanzi all'ignoranza delle nostre classi rurali e di quella piccola borghesia petulante e molesta che sperpera - amministrandola - la proprietà fondiaria dei signoroni assenteisti, e quindi anche la ricchezza sociale.

    È l'azione combinata delle due forze che ha prodotto da noi, in maggior estensione forse che altrove, i danni che oggi lamentiamo, azione che trova terreno fertilissimo in quel regime di individualismo che si vuole e si difende solo quando fa comodo e soltanto per certi atteggiamenti della vita economica. Il problema va dunque risolto con una reazione!





    Occorre che al diritto di proprietà si domandi una qualche altra limitazione nell'interesse del patrimonio forestale; occorre che i governi governino nell'interesse delle collettività presenti e future e cioè secondo la loro ragione d'essere; occorre che le nostre classi rurali e certa nostra piccola borghesia già lodata diventino meno ignoranti, salvo ai signoroni, finchè sarà loro possibile, di restare assenteisti.

    Reazione, ho detto. E non ho forse sbagliato: perchè chiunque abbia vissuto o viva in Sicilia può affermare che a tutt'oggi, quantunque scomparso il regime borbonico, vi si fa azione contraria!

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    La funzione sociale della proprietà privata è innegabilmente una bella formula, contro la quale pur nondimeno non è a stupire si sia spesso accanito alcun fiero sostenitore dell'idea liberale. Di questa formula infatti si è abusato assai di frequente: è proprio di ieri la occupazione di pretese terre incolte o mal coltivate consentita appunto in suo nome. E non è oggi ancor chiusa - per quanto recenti provvidenze governative abbiano quasi radiato dal nostro sistema tributario l'imposta successoria - la polemica che il Rignano ha suscitato con una sua proposta di riforma socialista del diritto ereditario, la quale si ridurrebbe poi ad una vera e propria riforma fiscale espropriatrice della proprietà individuale.

    Gli è che - a parte le numerose limitazioni alla libera proprietà individuale contenute nel nostro diritto pubblico e privato e di cui par non ci accorgiamo neppure - le limitazioni, che sono in parte riuscite in questi ultimi anni a far capolino nella cosidetta legislazione sociale, portano in sè impresse le stimmate di una origine sospetta: l'interesse della collettività, inteso e nella più comprensiva estensione della parola e come continuità di vita dell'aggregato umano, invano lo cerchereste o lo trovereste soddisfatto in quest'arruffio di provvedimenti sociali.

    Gli è che lo stato liberale - fondato presso di noi da una minoranza elettissima di veggenti - non ha ancora purtroppo salde radici nel popolo nostro e subisce, come una zona sismica in periodo di assestamento, delle continue scosse le quali di tanto in tanto lo fanno cadere nello stato di polizia di marca medioevale o, peggio, in regimi di classe che, se non sono propriamente medioevali, non furono certo ignoti alle storie antiche e antichissime.





    Limitazioni dunque, quelle di oggi, imposte il più delle volte da esigenze particolari, ora dette proletarie, ora dette capitalistiche, ora espropriatrici del risparmio o capaci di esaurire, col risparmio, le fonti della produzione, ora spoliatrici del consumatore, come, nelle sue ultime conseguenze, il protezionismo ad oltranza elevato a sistema. Orbene, questo genere di limitazioni non rispondono alla funzione sociale della proprietà privata, e, naturalmente, non troverete nulla tra esse che si riferisca ai boschi, la cui utilità generale non è mestieri dimostrare e che in Sicilia, come vantaggio immediato, toglierebbero, per le generazioni avvenire, la sete, la siccità, la malaria, facendo ubertose le terre ora impraticabili.

    E, invece, nella Sicilia specialmente, bisognava fare ben più di quanto non richiedano le disposizioni della nostra legislazione forestale, rimaste per altro in massima ineseguite!

    Dico in Sicilia specialmente, perchè in questa terra ciclopica il problema forestale, assieme a quello delle vie di comunicazione, è la chiave di volta di tutti gli altri problemi, nella cui voluta insolubilità si macera la vita fisica, economica e morale dell'Isola, e perchè non vi ha del resto problema economico generale che non abbia dei particolari aspetti in funzione della sua localizzazione territoriale.

    Dico in Sicilia specialmente, perchè la questione siciliana non è stata mai affrontata nella sua essenza, fatta di peculiari differenze caratteristiche in confronto di ogni altra questione regionale italiana e va invece risolta a sè, staccata dai cosidetti omnibus legislativi, che mi sanno piuttosto di carri ambulanza guidati da spirito elemosiniero.





    La natura chiuse dentro i mari questa terra bruciata dal sole è chiuse dentro i suoi confini, decisamente segnati dalle acque e difesi dai vortici onde son famosi Scilla e Cariddi, i suoi problemi sociali.

    Così il problema forestale.

    I nostri colli aridi e scarsi di humus, i nostri monti brulli e infocati rovesciano a valle tutti gli anni, sotto forma di torrenti, le acque piovane. Le pendici, sotto l'azione tumultuosa e periodica di tali precipitazioni, si vanno sempre più spogliando della poca terra appiccicata ai loro fianchi. Le frane spesseggiano. Aumentano le zone incolte, perchè divenute incoltivabili. Le sorgenti idriche si vanno esaurendo. I fiumi s'impaludano. Le pianure restano via via tutte quante avviluppate dalla malaria. Le popolazioni rurali si rifugiano terrorizzate nei centri urbani. Le campagne si spopolano. Il latifondo, anzichè disgregarsi, si consolida sempre più e una delinquenza specifica ne fa il suo campo d'azione.

    In città l'agglomeramento crescente di poveri contadini determina il sovrapporsi di casupole da zulù. La promiscuità diventa inevitabile. L'igiene se ne va. L'immoralità si esprime in accoppiamenti impensati. L'omicidio passionale segna le sue striscie di sangue in queste dolorose pagine della nostra tragedia quotidiana!

    Le altre cause, grandi e piccine, della questione siciliana completano poi, con variazioni distinte, le varie parti del quadro tristissimo e uniforme...

    In qual'altra regione italiana avviene tutto questo?

    Rivestite di alberi le nostre pendici, i colli, i monti, e il principio della nostra resurrezione sarà segnato. Continuate invece nella delittuosa inazione attuale, e l'economia siciliana andrà intristendo sempre più, sino a fare davvero di quest'Isola quella palla di piombo ai piedi dell'Italia di cui ho tanto sentito farneticare nel settentrione del nostro Regno!

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    Il problema forestale isolano va dunque posto senza ulteriori condannevoli indugi e va assolutamente risolto. Bisogna apprestare i mezzi più idonei. Ce ne sono?





    Io ritengo di si.

    Bisogna proporsi - prima di ogni altro - di mettere in esecuzione quanto è già scritto sulle nostre tavole legislative, ma con larghezza di vedute; occorre estendere le zone da sottoporre al vincolo forestale, riducendo al minimo le esecuzioni previste dalla legge ed eliminando tutti, o quasi, i diritti di uso che inceppano la normale conservazione e l'incremento del boschi; occorre sottoporre a preventiva autorizzazione il taglio di qualsiasi tipo di bosco e portare nei comitati forestali, non già burocrati con le spalle ricurve sotto il peso di gravissime cariche pubbliche ed il collo serrato dai cordoni cavallereschi, ma uomini che dell'albero si siano fatta una religione. Occorre sopratutto fare obbligo, e non già dar facoltà, ai Comuni e alle Provincie di espropriare via via i beni dei privati che risultassero soggetti al vincolo forestale, e questo dopo che i limiti della zona vincolata o da vincolare saranno convenientemente allargati.

    Io non ho fiducia alcuna nei consorzi forestali: l'interesse economico dei privati - singoli o riuniti in consorzi, è attuale è non avvenire. L'albero si pianta alteri saeculo ed invece la vita di un uomo è tanto mai breve! Occorre dunque stralciare dalla nostra legge - almeno per la Sicilia -tutto quel che si riferisce ai consorzi. E occorre gravar le mani sulle sanzioni: il disboscamento deve considerarsi come un delitto contro la sicurezza dello Stato!

    Insisto particolarmente sulla costituzione dei demani boschivi comunali. Il demanio forestale di Stato non può dare - come non ha dato, almeno per la Sicilia - che pessimi risultati. Da Roma, attraverso le polverose carte, le cose si vedono con una uniformità e una unilateralità che fa paura! Niente di male, ciò nondimeno, che lo Stato integri, qualche volta, l'azione degli Enti minori con opere idraulico-forestali, che per la loro specifica importanza nazionale credesse di assumere in conto del suo demanio e del suo bilancio.





    Ricordo a questo proposito che nel fascicolo Marzo-Aprile 1920 della "Riforma Sociale" e poi ancora nel fasc. Luglio-Agosto dello stesso anno esposi tutto un piano particolareggiato di provvidenze legislative e finanziarie intese a disgregare - col tempo - il latifondo che intristisce la nostra vita rurale, e dissi che, però, una parte dei fondi da espropriare dovrebbero essere destinati dai Comuni esproprianti ed interessati alla costituzione dei demani forestali. Intorno alla mia proposta ebbi da parte del Prato delle obiezioni considerevoli, che cionondimeno non mi hanno ancora indotto a cambiare opinione. Anche il De Francisci-Gerbino, studioso assai apprezzato di economia siciliana, mi fece in privato presso a poco le obiezioni chè mi erano già state rivolte; ma in lui c'era forse una certa prevenzione, in quanto egli ha sempre caldeggiato la creazione a Palermo di un istituto unico, regionale, cui fosse affidata l'onerosa funzione di provvedere alla disgregazione del latifondo mediante acquisti, espropriazioni e rivendite in lotti.

    Ad ogni modo quello che qui mi interessa per il momento di affermare assai più chiaramente di quanto non abbia fatto finora è questo: che non è assolutamente possibile - in Sicilia dissociare la questione dei latifondi da disgregare da quella dei boschi e cioè dei latifondi da costituire; che occorre l'intervento legislativo e cioè, in ultima analisi, del Governo, e che occorre sottoporre il diritto di proprietà privata ad ulteriori limitazioni. Si affidi poi il compito di dirigere le operazioni del caso ad un istituto unico o alle provincie, o a consorzi di comuni o addirittura ai singoli comuni, questo è secondario.

    Per quel che si riferisce ai boschi però il demanio comunale è assolutamente necessario. Qui l'albero è la vita e il rimboschimento non può essere che mistica, amorosa opera collettiva. Come i greci e i romani fondavano i loro boschi sotto il grazioso patronato delle Muse o sotto la formidabile protezione dei più potenti dei dell'Olimpo, qui è necessario che i cittadini pongano in mezzo ai boschi del loro comuni, le are votive dei Santi protettori della città: tutto ciò risponde perfettamente alla peculiare psicologia di queste popolazioni ignorate. Qui occorre insegnare ai nostri piccoli, perchè, grandi, se ne facciano poi sacerdoti, la religione dell'albero, ed io penso con nostalgia ai tempi ormai lontani in cui la festa degli alberi era un'istituzione scolastica!





    In questo c'è tutto quel che dicevo e chiedevo in principio: azione lungimirante, specifica degli organi centrali dirigenti, e cioè azione di governo intesa nel significato più squisitamente politico della frase; restrizione della libertà patrimoniale dei privati nell'interesse dei loro figli e dei loro nipoti e cioè nell'interesse della collettività; educazione ed istruzione delle masse, senza il cui intervento non è mai possibile alcuna azione... o distruzione collettiva.

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    Le difficoltà?

    Certo che v'e ne sono. Finanziarie e morali forse più che tecniche. Anzi, a giudizio di tecnici, il rimboschimento è possibile - dentro un lungo periodo di tempo, s'intende - anche nelle "montagne morte".

    Le difficoltà morali stanni nella pretesa scettica apatia delle nostre popolazioni. Io credo in vero che su questo tono si sia esagerato sempre un po' troppo anche da parte di noi stessi siciliani. Del resto, ho parlato di educazione e di istruzione delle nostre masse, e quindi tanto della classe dei contadini quanto dell'altra onde esce quella piccola borghesia petulante e molesta, la quale, d'altra parte, andrebbe via via riducendosi man mano che i latifondi capaci di frazionamento andassero scomparendo e che andassero in mano degli enti pubblici quelli da rimboschire.

    Per quel che riguarda la costituzione e la conservazione dei demani forestali, basterebbero poche varianti. Anche qui vale del resto la considerazione che i sacrifizi imposti ai comuni da questa necessaria opera di redenzione resteranno divisi in una lunga serie di esercizi finanziari e graveranno principalmente sulle generazioni avvenire.

    Ora sarà lecito sperare che il problema forestale siciliano venga affrontato nella sua interezza in questo periodo convulsivo della nostra vita politica, al quale si vuole che i tardi nepoti diano il nome di epoca della ricostruzione?

    Bisogna cominciare col ritirare dal Senato l'ultimo progetto sul latifondo già approvato dalla Camera dei deputati...

    Siracusa, Agosto 1923.

G. NAVARRA CRIMI.