POSTILLE

I consigli di Mefistofele

    I nostri governanti - ove le cure del governo e le commoventi sagre ne lasciassero loro il tempo - potrebbero con gaudio spirituale ed intima soddisfazione leggere i consigli che - nel Fausto di Nicola Lenau - Mefistofele largisce al ministro del re malaticcio.

    Ben legittima soddisfazione troverebbero essi nello scorgere una stupefacente concordanza tra la loro pratica e la teoria di governo di così accorto politico.

    Vengono, è vero, prospettate in quelle savie parole le difficoltà che si incontrano nell'incatenare il pensiero - primo e più pericoloso nemico del governo; il quale si permette dei voli audaci verso l'isola oceanica ove regna la Dea Libertà - ma si pone tosto in rilievo l'efficacia del rimedio di una occhialuta censura, e, per meglio rassicurare i dominanti, si vanta, non senza il debito disprezzo, la servilità dei dominati i quali "imparano più facilmente costumi servili di quel che si abituino a sopportare la libertà, per la quale tuttavia (a parole) si infiammano".

    Difficile ad attuarsi in questi duri tempi è l'importantissimo consiglio di aver sempre a cuore una giusta prosperità materiale del popolo.

            "Verhümmert immer, doch nicht zu scharf,

            "Dein Volke den sinnlichen Bedarf".





    Di più facile esecuzione è invece l'altra norma di mantenere costante una moderata oppressione, chè tanto se questa si spingesse oltre certi limiti, quanto se venisse improvvisamente a mancare, il popolo potrebbe scuotersi ed insorgere.

    E vengono lodati i governanti pel "prendere su di sè il peso del dominio, affinchè gli altri possano indisturbati abbandonarsi al dolce istinto della servilità, si che per concedere a quelli il loro piacere, essi si fanno vittime del proprio amore".

    Ma finalmente, a premio di così duro e tenace sacrificio, la loro potenza si consolida e l'arte del governo diviene: "lieve fatica e immensa gioia".

    Qui giunti, consiglio agli straordinari lettori del poema tedesco di non voltar pagina e di fermarsi li, chè nella scena seguente vedrebbero come basti una volgare canzone satirica, che quel briccone di Mefistofele fa cantare da Fausto all'indirizzo della coppia regale, per sconvolgere il senno al ministro, pur così saggiamente erudito. Su tali stupidi buccie il vecchio nemico dell'uomo fa scivolare talvolta i suoi discepoli...

PIERO BURRESI.





Ancora del radicalfascismo

    Nel N. 22 di R. L., commentando Nazionalfascismo di Luigi Salvatorelli, io venivo a dire, anzi a ripetere, che, ne' suoi antecedenti storici, fascismo era, essenzialmente, democrazia radicale (garibaldinismo, cavallottismo) e prevedevo che il fascismo, nel suo stabilirsi e consolidarsi avrebbe piuttosto preso il suo calore dalla democrazia sociale che non dal patriottismo.

    Alle mie argomentazioni sono state messe delle obbiezioni, desunte alcune, diremo così, dalla storia, altre dalla cronaca.

    Per la storia mi si osservò che il radicalismo italiano, nel tempo in cui fiorì, fu movimento di difesa delle libertà, e mi si ricordò la "epica" lotta fra Cavallotti e Crispi.

    Rispondo: che la democrazia radicale di quei tempi eroici era giovane ed era "studente e povera", ed era quindi naturalmente disposta, come tutti i movimenti di minoranza ancor recenti, ad assumere nella lotta politica un atteggiamento liberale: da allora in qua quella democrazia si è arricchita, si è laureata e diplomata, e si è, sopratutto, invecchiata, e di quei beati tempi dalla testa calda ha serbato niente altro che qualche atteggiamento o qualche frase, mentre per il resto s'è fatta seria, misoneista, come la più ammuffita delle consorterie.





    Quanto all'episodio Cavallotti-Crispi la risposta l'ha data già il ministro Colonna di Cesarò nel suo discorso di Dagnente, dove, dopo aver ricordato i "due uomini usciti dal medesimo movimento, combattenti per la medesima idea" diventati poi "esponenti di due opposte correnti politiche che si combatterono con l'accanimento di nemici", ha conchiuso: "oggi non sapremmo più scegliere fra una concezione e l'altra; non sapremmo più scegliere perchè le abbiamo fuse". Insomma: Pittaco e Alceo (mutatis mutandis) effigiati nella stessa medaglia dalla posterità ammiratrice, ma già identici in vita per temperamento e attitudini, due galli nel pollaio. Del resto il tipo ideale dell'antichità per il Cavallotti era bene Pericle, e Pericle fu bene capo del partito democratico e insieme tiranno; e nella storia è sempre stato così: Cesare fu il leader dei democratici, e Napoleone cominciò giacobino, e gratta il radicale, se ci trovi il reazionario e l'imperialista: del che l'ultimo solenne esempio, in Francia, ci fu dato appunto da Clemenceau. E si capisce che sia così, perchè democratico è un egualitario e l'egualitario non può mai essere un liberale; rispettosi sempre, per istinto e per interesse, della libertà, sono quelli per cui l'uguaglianza non è un fatto ma è una possibilità, non un punto di partenza, ma una mèta, non un'eredità alla lettera quello che può uscire dalla bocca ma una conquista; e questi sono i liberali; costoro l'uguaglianza la voglion conquistare e perciò han bisogno di libertà; per quegli altri, quando sono plebe, l'uguaglianza è il diritto a farsi mantenere dal governo, quando sono capi l'uguaglianza è, se non l'unica testa da tagliare, almeno l'ultimo deretano da pigliare a calci.





    Questo per la storia. Per la cronaca, alle mie previsioni di riduzione del fascismo a democrazia sociale mi si obbiettò ricordandomi: prima la bottata di Mussolini contro Cavallotti nel discorso del 15 luglio alla Camera; secondo le recenti peripezie di S. E. Colonna di Cesarò capo della democrazia sociale.

    Rispondo: della "bottata" la democrazia sociale fece, con molta buona grazia, la ricevuta seduta stante con la dichiarazione di immutata fiducia recitata da Innocenzo Cappa: il che vuol dire per lo meno questo, che anche la democrazia sociale sa di non dover pigliare troppo del Presidente. Quanto poi alle sgarberie che alcuni nazional-fascisti van facendo all'on. Colonna di Cesarò, osservo che queste sono state largamente ricompensate da una serie di finezze usate proprio nello stesso tempo dal fascismo alla democrazia sociale più autentica, come p. es.: la nomina del Sen. Da Como a qualcosa di grosso nell'Istituto Nazionale delle assicurazioni, la nomina del Sen. Corbino a ministro dell'Economia; e aggiungo che a illuminare di luce meridiana il processo di osmosi e di endosmosi che tra fascismo e democrazia sociale sta avvenendo sotto il muso vanamente scontento degli scrittori di Impero e di Idea Nazionale, basta, insieme con la iscrizione d'ufficio al P. N. F. dell'on. Girardini, l'episodio recentissimo dell'iscrizione al fascio di Brescia, avvenuta per desiderio espresso del Presidente del Consiglio, dell'on. Carlo Bonardi, capo, ancora riconosciuto, della demo-social-massoneria di Brescia e dintorni.

A. M.