LE COLPE DELLA DESTRA
A parte il fondamentale dissidio sulla pregiudiziale costituzionale, liberalismo e fascismo sono sempre del tutto opposti o in alcune questioni, rispetto ad alcuni problemi possono essere avvicinati da una qualche affinità? È difficile dare una risposta sicura a questa domanda poiché ogni confronto presuppone la conoscenza dei termini del confronto stesso ed in questo caso il termine fascismo é di un significato così vago, indeterminato e fluttuante che lo stabilire un rapporto a suo riguardo é impresa assai molesta. Quale é il programma del fascismo? chi rappresenta il suo pensiero? È sindacalismo bianco rosso e verde, invece che rosso? È furibondo nazionalismo od é violenta restaurazione dei principi economici e giuridici del liberalismo? Soltanto l'avvenire potrà dare una risposta a questa domanda. Per ora, attenendosi ai discorsi ed ai programmi fascisti, attraverso le vampe ed i fumi dei bollori giovanili si possono appunto distinguere nell'anima fascista tre correnti diverse, una prima di sindacalismo, quasi di socialismo tricolore, una seconda di nazionalismo mistico e bellicoso, un terza di restaurazione liberale in senso economico e giuridico. La presenza nel fascismo anche di questa corrente spiega in parte il filofascismo di molti liberali. Spaventati dalle pazzesche teorie economiche social-comuniste ed infastiditi dalla asfissiante economia associata della democrazia riformista, molti liberali salutarono il fascismo come salvatore. Infatti, se il fascismo non ha mai nascosta la sua ostilità per il metodo politico liberale, spesso si é presentato come indice dei supremi principi economici liberali, tanto negativamente, con la sua lotta al socialismo, quanto positivamente con le reminiscenze paretiane di molti discorsi di Mussolini e di alcuni suoi compagni di fede. E si può dire di più; se ed in quanto il fascismo aveva ed ha per programma il ritorno ai principi economici liberali, il rafforzamento dell'autorità dello Stato e la diffusione a tutti i ceti e a tutti i partiti di un comune e sano senso di coscienza e di solidarietà nazionale, é evidente che, nella azione di governo, fascismo e liberalismo verrebbero addirittura a coincidere. Ma il male é che il fascismo, per attuare questo liberale programma di governo, attenta gravemente alla stessa costituzione dello Stato liberale. Insomma per avere un governo liberale si rischierebbe di perdere lo Stato liberale. Questo paradossale contrasto spiega l'intimo disagio che corrode e divide la coscienza liberale. E così quei liberali che non possono concepire il liberalismo indipendentemente dal metodo politico e dalla forma di governo liberale, diffidano e si separano sempre di più dal fascismo, mentre restano filofascisti o si sono iscritti nel partito quei liberali che non sentirono mai sinceramente il problema della libertà come metodo politico ma del liberalismo accettarono soltanto alcuni principi economici è sopratutto le risonanze nazionaliste. Siccome nel nostro risorgimento liberalismo e nazionalismo restano indifferenziati nella lotta contro i nemici comuni, molte persone seguitano a confutare queste due concezioni che invece, una volta risolto il comune problema dell'indipendenza nazionale, acquistano una naturale autonomia e anzi possono talvolta trovarsi in contrasto. Ed appunto per queste ragioni, il fascismo ha diviso nettamente quelle due mentalità che sopra ho definito con i termini di liberalismo assolutista e di liberalismo liberale. Così si può spiegare la scissione profonda che oggi divide il liberalismo di Salandra e di De Capitani dal liberalismo di Albertini. Il Corriere della Sera, coraggiosamente antisocialista e coerente e fermissimo assertore dei principi economici liberali fu, specialmente dopo la risoluzione della questione adriatica, alquanto filofascista, poiché sperava di vedere nel fascismo, malgrado le intemperanze e molti errori, una giovanile corrente di restaurazione liberale. Ma volle sempre che questa restaurazione avvenisse non contro, ma nell'ambito dello Stato liberale, ed appunto, pur di veder salvi i principi costituzionali, quando vide che il Ministero Facta aveva ormai persa ogni capacità di dignitosa fermezza, invocò la formazione di un nuovo Ministero che includesse molte forze fasciste. Ma quando, con la marcia su Roma il fascismo spezzò per la prima volta la nostra tradizione costituzionale, il Corriere della Sera assunse un contegno di netta disapprovazione all'atto violento e di coraggiosa critica a tutte le fantasie imperial-assolutiste del fascismo. L'atteggiamento del Corriere della Sera e del Senatore Albertini é uno dei rari esempi di intelligente e coraggiosa coerenza liberale. Approvazione ad alcune idee espresse nei programmi fascisti, giustificazione ed approvazione di alcuni atti del governo fascista, recisa avversione alla concezione dello Stato fascista. A me sembra che questo debba essere l'atteggiamento teorico degli italiani veramente liberali nella attuale situazione storica. Uscendo dal campo dei principi astratti e volendo criticare il fascismo da un punto di vista di concretezza politica, é necessario prima di tutto porsi queste domande: il fascismo fu essenzialmente una forza di restaurazione statale in contrasto allo smarrimento e alla crisi del dopo guerra, oppure fu anche una delle cause determinanti di questa crisi? La marcia armata su Roma era necessaria per ristabilire l'autorità dello Stato? Dopo aver affrontato la questione dei precedenti del fascismo si potrà infine considerare l'attività del fascismo al governo e l'abbondanza e la qualità dei suoi frutti. La fantasia mitologica di cui da qualche anno gli italiani sono così ricchi, tenderebbe ad avvalorare questa leggenda: l'Italia, malgrado i suoi orrendi governi liberali arrivò vittoriosamente a Vittorio Veneto, ma subito dopo la vittoria, sopratutto per colpa di un nefandissimo uomo, Francesco Saverio Nitti, che pose lo Stato contro la Patria, l'Italia cadde in mano dei socialisti che la gettarono nelle tenebre della più orrenda anarchia interna, mentre una associazione di traditori, agli stipendi dello straniero, detta dei rinunziatari, sperdeva i frutti della vittoria. Ma finalmente una schiera di giovani eroi guidata da un genio si stringeva in fascio e con una rivoluzione ristabilivano la giustizia e l'autorità salvando l'Italia agonizzante. Vivere questa leggenda come reale costituisce la premessa psicologica del fascismo. Infatti é logico e giusto che sia fascista chi crede che il fascismo abbia salvato l'Italia da un baratro senza fondo. Ma é lecito dubitare tanto della profondità del baratro, quanto della assolutezza della attività salvatrice del fascismo. E la legittimità di questi dubbi spiega come si possa essere antifascisti in perfetta buona fede patriottica. Nessuno può negare che, dopo la guerra, ci sia stata in Italia una crisi materiale e morale ed un pericolo rivoluzionario per lo Stato. Invece é strano che ci siano tante persone che si meravigliano di questo fatto. Evidentemente molti credevano che raggiunta la vittoria, il popolo di soldati, illuminato dai raggi radiosi della gloria, ritornasse a casa festante e plaudente con l'animo pieno di commossa gratitudine per il governo e per la classe che aveva intrapreso la guerra. Siccome fra gli applausi si sentì qualche fischio ed invece di gratitudine la coscienza popolare esprimeva un diffuso malumore, non pochi ferventi patriotti gridarono allo scandalo ed accusarono di iniquità il popolo italiano. Invece non é affatto straordinario quello che é accaduto e ci si può invece rallegrare che non sia accaduto niente di peggio. Era un poco difficile che uno dei più grandi cataclismi della storia, che una guerra mondiale nella quale sono crollati i formidabili Imperi di Germania, di Austria e di Russia, che ha gettato la Francia in una gravissima crisi psicologica palese sopratutto nella sua politica estera animata da una angosciosa paura e intessuta di vane vendette, era un poco difficile dico che una crisi universale che non ha lasciato immune nemmeno il mondo anglo-americano, passasse proprio sull'Italia con i benefici effetti di una rugiada primaverile. Era assurdo pretendere che una nazione giovane e non ricca come l'Italia non risentisse gli effetti di uno sforzo guerresco che se fu vittorioso non per questo fu meno terribile. Oltre mezzo milione di morti, miliardi e miliardi di spese, un disastro come quello di Caporetto, l'invasione di una regione, in una parola tre anni e mezzo di una guerra militarmente durissima, economicamente costosissima, politicamente piena di discordie, spiegano e giustificano a sufficienza tre successivi anni di malessere e di malumore popolare. Ma é certo che oltre a queste ragioni inevitabili e generali, anche l'azione di individui e di gruppi politici, contribuì ad aggravare la crisi italiana. Ma a corrodere la saldezza dello Stato, a minarne l'autorità e ad infrangerne le leggi lavorò soltanto il sovversivismo socialista, oppure il così detto bolscevismo italiano fu abbondantemente alimentato dagli errori e dalle colpe di uomini di altre tendenze politiche? Il disordine italiano non fu molto aiutato dal contegno dei così detti partiti d'ordine? Domande non del tutto insensate. NOVELLO PAPAFAVA.
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