POLITICA ECCLESIASTICA
Le accuse degli idealisti contro il semplicismo e la fiducia con cui la teoria liberale avrebbe considerato il problema ecclesiastico, valgono soltanto contro i massoni del patto Gentiloni. Lo Stato non professa un'etica, ma esercita un'azione politica. Non rinuncia di fronte a nessuna Chiesa, ma non ha bisogno di combatterla come una concorrente. Il potere temporale é morto. Lo Stato (anzi gli individui nello Stato libero) deve difendersi dall'assolutismo che reca in se stesso, non dal reazionarismo di un'altra epoca. Il liberalismo vede nella storia italiana due problemi di politica ecclesiastica: i rapporti tra il Vaticano e lo Stato, complicati dalla questione romana, e l'esistenza di uno spirito cattolico tra i cittadini. Prima della fondazione del partito popolare la questione degli italiani cattolici sembrava assai pericolosa per l'unità e lo Stato risentì di queste paure e dovette ricorrere alternativamente a provvedimenti di politica ora grettamente clericali ora settariamente massonici. Il partito popolare ha migliorato i costumi dell'Italia liberale allontanando lo spauracchio del pericolo clericale. È ormai lecito pensare a una pratica di governo ispirata da cattolici che rimanga perfettamente estranea alle influenze del Vaticano. In quanto al primo problema é buona tradizione di governo, che risale a Cavour, il considerarlo come un affare di politica estera. Nel regolare i rapporti tra il Vaticano e lo Stato consisterebbe infatti la prova infallibile di maturità per il diplomatico italiano che ha poi il dovere di presentare i risultati della partita come garanzia di serietà politica della nazione agli occhi degli altri governanti. Sostenere cavallerescamente la schermaglia continua con la diplomazia più raffinata del mondo, mantenere intatta una difficilissima posizione di equilibrio senza che la lotta si inasprisca e senza che si venga a una pace compromettente e pericolosa é un esercizio invidiabile di serenità e di astuzia. E non si può escludere che il Vaticano abbia per la nostra politica interna una delicata funzione di liberalismo e di moderazione, capace di frenare i sogni tirannici, i colpi di stato e le avventure scapigliate con lo spauracchio delle complicazioni internazionali. Ma queste considerazioni valgono soltanto se si immagina costante il presente stato di lotta tra i due organismi ritenuti inconciliabili nonostante il riserbo e la dignità dei reciproci rapporti. Una soluzione della questione romana che assegnasse al Pontefice la sovranità su una parte sia pur minima di territorio (per es. i Palazzi) significherebbe un regresso evidente: anche l'ombra e il nome del potere temporale riescono insopportabili a uno spirito moderno, e il dissidio risorto su una conciliazione siffatta ci riporterebbe vanamente ad altri tempi. La logica cattolica postula in politica il clericalismo assoluto; ma il cattolicismo del Vaticano é ormai troppo abile, diplomatico, agile per voler essere logico: basta togliere di mezzo le occasioni e le ambizioni dei ritorni. Qui volendo indicare con un nome tutto il cammino di aberrazioni da cui si deve distogliere la politica italiana basterà ricordare Gioberti: nessun programma riuscirebbe oggi più nefasto del neoguelfismo che pur sembra allettare i cuori dei nuovi governanti. Da Federzoni a Mussolini l'idea di una Chiesa strumento dell'espansione italiana, custode delle tradizioni nazionali, sacra protettrice del popolo eletto é tornata ostinatamente con ingenue promesse; e sembra ricorrere con Pio XI, il Papa milanese, la nefasta illusione quarantottesca. L'ingenuità di un siffatto sogno di conciliazione appare evidente se appena si considera che la fine arte politica del Vaticano difficilmente s'indurrà a concedere senza ricambio: e la situazione é cosa delicata che qualunque spostamento di equilibrio può far rinascere penosamente la questione clericale. L'educazione politica dei cattolici é cominciata col Partito Popolare. L'opera dei governanti dovrà essere ben cauta se non vorrà interromperla prima della maturità. D'altra parte il solo sospetto di una complicità italiana nelle decisioni del Vaticano potrebbe determinare un umiliante conflitto internazionale. I rapporti tra Stato e Chiesa dunque si potranno migliorare solo se si manterrà costante la pregiudiziale cavouriana della laicità. Si tratta di liquidare lentamente e insensibilmente gli ultimi residui di clericalismo, se non si vuole vedere rinascere con singolare asprezza la lotta anticlericale. Questo programma in Italia é stato rappresentato da Luigi Sturzo, il solo che avrebbe saputo, liquidando il clericalismo con il consenso dei cattolici, evitare una reazione cruenta. L'accordo di Mussolini col Vaticano contro Sturzo segna certo il ritorno di politiche più avventurose e compromettenti ma non è ancora lecito dire quale dei tre malanni (neoguelfismo, clericalismo o anticlericalismo) ci attende in questa parentesi di politica illiberale. p. g.
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