POSTILLE

Collaborazione fra le classi

    Il fascismo?... Dannunzianesimo in edizione Sonzogno.

    Necessaria é la lotta di classe non nel senso che alla pace si debba preferir la guerra di classe, ma proprio perché non si può in alcun modo concepire che cosa potrebbe essere, in questo campo, la pace. Tanto grande é la diversità che si scava ogni giorno fra le classi così dette intellettuali e il proletariato, tanto la vita presso la macchina o sulla terra é senza alcuna misura comune con quella che dalla mente riceve il proprio alimento diretto, che nella Pace questa diversità diverrebbe di sempre, inconciliabile. Tanto primordiale e nuova é la situazione, che nei rapporti fra le classi e le categorie non si può concepire oggi altra forma di convivenza di comunicazione di garanzia per l'amore fra individui di classi opposte, che la guerra. E tanta e tanta strada si dovrà percorrere prima che le fasi della lotta ripetendosi uniformemente e inutilmente, sorga un Diritto.

    Per questo ha un significato così subdolo, corruttore, anarchico e reazionario insieme, in questo campo, il pacifismo!...

M. A.

Per Santa Caterina

    A leggere un recente articolo di Don Ernesto Buonaiuti - "Studi Cateriniani" - vengon le traveggole; benché non ci sia scritto nulla di nuovo o d'inatteso, anzi proprio perché ci si rivela appieno e all'estremo l'animo del suo autore. Alla prima scorsa si resta muti e col fiato in gola come davanti a un "numero" di trascendente acrobazia, quando non si vede l'ora che scendano di su gli esili trampoli e trapezi, che smettano di fidarsi al filo lucente, teso vicino al soffitto; il giuoco delle sue tendenze opposte é protratto fino all'inverosimile e all'innaturale, esasperato dalla ridondanza dei vocaboli; e il salto mortale che lo riporta a bomba e cioè al suo posto fa dubitare che ne restino per un pezzo scossi i suoi nervi. Va a finire che si stimano tutti e due i suoi modi - la smania critica e il fervore religioso - un pochino presi a prestito, e adulterati dalla prolungata vicinanza; tanto che vi sono smussati e disossati, e il loro dissidio si pacifica nella frase, sempre uguale e fredda a forza d'imposto calore oratorio.

    Un tentativo di spiegazione mi par questo: che Buonaiuti crede nella forza - direi nella volubilità - convincente della parola. È l'istinto del predicatore, che un poco si fida di magnetismo. La cattedra alla Sapienza gli pare uno strumento di potere non effimero, e nell'attenzione della scolaresca, in gran parte femminile, vuol sentire e suscitare una corrispondenza di anime, vuol promuovere quasi una forma benefica, morale dell'intelletto, una missione. Si direbbe che non s'accontenti della solitudine e che proprio per sé, per la vita del suo spirito, abbia bisogno del consenso dei fedeli congregati, onde, secondo lui, si attua la religione.





    La parola gli diventa un arnese quasi magico, che contiene profonde virtù rivolgitrici e risanatrici; é ponte di salvezza sopra gli abissi, talismano che dalle estreme lontananze procellose fa tornare in un baleno alla riva; ma é anche una spesa minima, una ricchezza da profondere, una moneta buona per tutti i paesi; sicché si posson visitare i campi avversi, esporre le opinioni nemiche e quasi adeguarvisi e farle proprie, quando una mutazione di tono (ormai appena percettibile) basta, secondo la sua immaginazione, a dimostrare che era una finta e una mossa di combattimento.

    Confortare, con parole di rispetto e d'elogio, gli altrui dubbi su l'autenticità delle lettere della Santa é come ammettere l'ipotesi che Dante non sia mai esistito.

L'altro Emilio

    Quando d'ora in avanti si nominerà Emilio non s'intenderà più quello di Rousseau, ma questo di Umberto Fracchia (1): il dolce compagno che non abbiamo avuto, il superstite della guerra che ha pur bisogno di morire, non s'é accontentato della vita, non sa più scernere i motivi, e deve ripetere, nel tempo della non raggiunta pace, la funzione, la finzione del comando che porta al suicidio. Emilio non é solo: affermiamo che quanti siamo usciti dalla guerra ci saremmo offerti con lui. Non s'é fatto perché si era passati oltre quel punto di gioventù dove non ci sono interessi, né meno ideali e si prolunga l'infanzia nell'impossibilità di scorgere le proporzioni, uomini nei baci e bambini nel sogno. E' un rimorso: fin quando non l'avremo sotterrato e rinnegato, fatti, come si dice, adulti, presa, come si dice, la vita sul serio. Chi si salverà? chi, fra dieci, fra venti anni potrà dirsi fratello d'Emilio, ribeverà la sua purezza e lo accompagnerà il suo lieve incanto, il suo passo senza rumore, la vita senza contrasti, la favola che non é breve, perché non prevede il futuro e sommerge il tempo e ha in ciascun attimo il compimento tanto che il sacrificio non si oppone alla gioia, illuminato dalla sola luce della gioventù intatta e fissa quando, invece d'offuscarsi un po' per volta; é spenta ad un tratto.

    Ma di certo non sono eredi d'Emilio i fascisti: i pochi che gli erano compagni di quell'ora son tralignati appena non corso più rischio e alla notturna spedizione dei votati alla morte han sostituito le devastazioni trionfali. Emilio non poteva vivere, e diventare seniore; e deputato al futuro Parlamento. Quelli che salgono non sono degni di lui; quelli che si vantano delle loro prodezze bestemmiano il suo nome. Un suo vero compagno io lo conosco: era un tenente di cavalleria che, in guerra, si rifiutava di portare i nastrini delle sue medaglie, finché non l'obbligò il suo colonnello; e morì passeggiando, per una bomba d'aeroplano.

U. M. di L.

(1) U. Fracchia: Angela. Mondadori, Milano, 1923. - È un romanzo assai notevole.