PER UNA DIFESA DELLA MEZZADRIA
Leggendo nel N. 23 di Rivoluzione Liberale l'articolo di A. Di Staso "In difesa della mezzadria", mi son domandato se esiste realmente un tecnico agrario che voglia la distruzione di questo tipo di contratto. Perché i tecnici agrari sanno che il contratto agrario, il modo di conduzione dei fondi rustici, é come il riflesso dell'ordinamento dell'azienda; ordinamento dell'azienda e sistema di conduzione formano un tutto armonico che non può essere artificialmente diviso nei suoi componenti. La mezzadria (più propriamente: mezzeria) prospera dove la proprietà fondiaria é appoderata, cioè divisa in unità colturali aventi una superficie di pochi ettari a 50-100 ettari a seconda dell'attività colturale, dotata di caseggiato colonico, bestiame e macchine proporzionate. Condizione essenziale perché essa prosperi é che la famiglia colonica abbia una capacità coi lavoro proporzionata ai bisogni del podere, e che nel podere medesimo vi siano colture come quelle arboree, ortensi o simili, che richiedono mano d'opera accurata e abbondante. In agricoltura, a differenza delle industrie meccaniche, ecc., malgrado i grandi progressi della meccanica agraria, l'uomo rimane ancora il motore predominante, specialmente in quelle aziende dove vengono fatte coltivazioni come quelle suddette; basta accennare ad una sola cura colturale: la potatura, che richiede cure e intelligenza grandi per comprendere quale importanza ha la mano d'opera nell'industria agraria. Di più in agricoltura la sorveglianza del lavoratore é resa difficile dalla natura dei lavori e dalla estensione del fondo. Si aggiunga che possiamo parlare solo in limiti ristretti di specializzazione della mano d'opera, per il carattere di stagionalità delle operazioni campestri. Tutto questo mostra che anche per considerazioni strettamente economiche, non possiamo parlare di abolizione della mezzadria, di un contratto cioè che lega al lavoratore all'andamento dell'impresa, dove essa trova l'ambiente adatto, o, per dirla col Serpieri, il suo luogo economico. Faccio osservare qui che anche nel caso della mezzadria, la sua riuscita dipende in gran parte dal modo di applicazione, e principalmente dalla preparazione tecnica del proprietario o di chi dirige l'azienda e dalla disponibilità di capitali. In Toscana é raro il caso che il proprietario diriga personalmente l'impresa; di regola la direzione e amministrazione della fattoria sono affidate ad un fattore che rappresenta il proprietario nei rapporti col personale e con i terzi; il proprietario in questo caso si limita a sorvegliare il fattore, ad occuparsi a titolo informativo dell'andamento della sua proprietà, quando non se ne disinteressi completamente. Ora, spesso, il fattore, assorbito dalle cure dell'amministrazione, della compra-vendita, ecc., non ha tempo di occuparsi della direzione tecnica dei fondi affidatigli, la quale così rimane di fatto ai singoli coloni. Ho visitato fattorie nelle quali il fattore non ha saputo dirmi quale rotazione si seguiva nei poderi posti sotto la sua direzione, né quanti membri componevano la famiglia colonica. In questi casi il mezzaiolo gode di una posizione di indipendenza, può adoprare tutta la sua abilità e intelligenza; si avvicina più ad un piccolo affittuario che ad un salariato. Devo subito aggiungere che le fattorie così condotte lasciano molto a desiderare sia dal punto di vasta tecnico che da quello della produzione. Ma accanto a queste vi sono le fattorie ben condotte, i proprietari delle quali si occupano direttamente della direzione tecnica dei loro beni, oppure l'affidano ad un tecnico abile, ben pagato, accanto al quale mettono il personale necessario perché egli possa occuparsi anche dell'andamento tecnico della fattoria. In questo caso il mezzaiolo non é più indipendente, deve seguire, entro certi limiti, la volontà del proprietario o del fattore, non si assomiglia più ad un piccolo affittuario, ma piuttosto ad un lavoratore fisso a salario variabile a seconda della produzione. Sono queste, di regola, le fattorie meglio condotte, in molte delle quali vediamo usate le macchine più moderne, i criteri più razionali, dove l'elevata produzione assicura ai lavoratori dei campi buone condizioni economiche, fattorie che stanno a dimostrare come la mezzeria conservi la sua ragione di vita perché non é d'impaccio al progresso agrario. Se non vi sono ragioni economiche che stiano a dimostrare la necessità di distruggere la mezzeria dove essa trovi le condizioni necessarie per la sua prosperità, vi sono tutte le ragioni morali e politiche illustrate dal Di Staso, che ne consigliano la diffusione. Ma questo non vuol dire che essa possa estendersi ovunque. Come sarebbe possibile voler introdurre la mezzeria o un contratto simile (dato che col nome di mezzeria o mezzadria si comprende gran numero di contratti diversi fra loro) per es., nella pianura irrigua Lombarda? Quivi le unità colturali hanno una estensione media di circa 80 Ea., hanno per base la coltivazione di prati irrigui e l'allevamento del bestiame per la produzione del latte, o, nella zona risicola, la coltivazione del riso: mancano tutte le condizioni di ambiente perché la mezzeria possa vivere. Impiantare la mezzeria in quelle condizioni vorrebbe dire rivoluzionare la meravigliosa struttura economica di quella regione con grave danno dell'economia nazionale e degli stessi lavoratori dei campi. La differenza che passa fra la struttura agraria della Toscana e quella della Lombardia irrigua fu bene avvertita dal Partito Popolare quando, nelle agitazioni agrarie da lui promosse, mirava a trasformare il mezzaiolo toscano in piccolo affittuario prima, in piccolo proprietario poi, mentre nel Soresinese col progetto Miglioli si cercava di sostituire un'associazione di lavoratori all'affittuario imprenditore nella conduzione dell'azienda. Considerazioni analoghe potremmo fare ove si volesse introdurre la mezzeria nel latifondo dell'Agro Romano o della Sicilia: bisogna, prima, appoderare la proprietà terriera, costruire case, strade, pozzi, impiantare colture arboree, sistemare e dissodare terre... BRUNO BRASCHI.
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