LE RISORSE DELL'ERESIA

    Caro Gobetti,

    La lettura di Rivoluzione liberale è valsa - tra l'altro - a pormi nuovamente un antico quesito; che mi si ripropone, per un verso o per l'altro, tutte le volte che m'accade ripensare alla politica propriamente detta.

    Se si considera il nostro tempo o dal solo punto di vista economico, o da un punto di vista tecnico, o da un qualunque altro punto di vista oggettivo; è facile arrivare a delle affermazioni stabili. Non che ci aiuti la tradizione, anche in quei campi. Moltissimo é mutato e si è chiarito; e ci vorranno forse dei decenni per formalizzare ed esprimere quanto viene via via risultando, da questo decennio di crisi. Ma è già possibile, per spiriti che abbiano raccoglimento, indipendenza ed iniziativa, acquistare delle certezze, in quei campi; e liberarsi dal dubbio interiore.

    Non si richiede che il tempo, perché l'ingombrante e vistosa nuova esperienza si faccia strada; ed acquisti narrazione, sistema, parola. E si deve confidare, per questa concretizzazione, in una minoranza giovanile di abili e di eletti; che certo è sorta, in seno alla grande esperienza della guerra; che si tiene ancora in disparte, appunto per le sue non volgari qualità d'approfondimento. Questa fresca minoranza (ed é già un errore chiamarla minoranza, perché é fatto naturalmente di prescelti; e sfugge al confronto delle quantità e del numero) è già in via.

    Un rinnovato avvenire - per la Scienza, direttamente intesa e per sé stante; per la tecnica; ed, in genere, per le attività umane imparziali e, in qualche modo, indifferenti - è cosa certa. Ed è affidata al futuro, con regolarità.

    Ma mi turba da tempo, dicevo - e Rivoluzione Liberale é stato un nuovo stimolo a questo turbamento antico - la questione del fin dove e fin quanto possano valere come principio attivo; e cioè, propriamente, come forza politica presente, certi fervori di schietta indole ideale; che si manifestano in una cert'altra minoranza giovanile (anche essa degnissima), che s'è formata coltivando in prevalenza le astrazioni, i sentimenti e - in qualche modo - l'estetica della storia; e porta ieri come oggi, nel giudizio, una attitudine piuttosto stilistica che concretizzatrice; o (nel migliore dei casi) piuttosto critica che creativa.

    Vedo, in Rivoluzione Liberale - come altrove - parecchi giovani che provengono dall'Arte. Di questa loro eletta provenienza, si riconosce il tenore nei loro scritti; per l'intimità del dettato; la vibrazione del convincimento espresso; duella certa specifica efficacia nel sentire e nel dire; ed - in genere - per quell'alcunché d'inesprimibile e d'interiore, che distingue la libertà dell'Arte ed il suo puro esercizio. Ed è bene che ciò accada. Per ragioni che qui è inutile accennare (tanto, la vita è lunga; ed io spero, caro Gobetti, che noi c'incontreremo un giorno anche su questa più larga idea) nulla può predisporre alla profondità, al senso di responsabilità; ed, in genere, a quanto v'è di più difficile e di assoluto, nell'uomo, meglio della vicinanza all'Arte, e d'una sua, pur non raggiunta, ambizione sentita.





    Ma - poiché di questo si tratta - quanto può specificamente valere, nella complessa e ruvida vita presente, quest'attitudine puramente speculativa; se addirittura non soltanto immaginativa e in qualche modo eroica?

    Le dirò che, se qualcosa mi preoccupa nella gioventù presente (parlo di quella in cui spero; e a cui prima accennavo. L'altra, che pure non è meno buona è destinata a sacrificarsi e a servire) è appunto un persistente, giovanile distacco fra la rinnovata, macro realtà del nostro tempo (prevalentemente tecnica, freddamente oggettiva; ove la fatica degli uomini, e la loro elevazione, si formalizza in problemi esteriormente scientifici) e questo tono sintetico, idealistico, generalizzante; che deriva ai giovani appunto da un largo uso del sentimento.

    Non vorrei che queste considerazioni sembrassero o troppo fredde, o troppo scettiche, o materialistiche; com'è di moda dire, oggi, tutte le volte che si resiste all'irragionevolezza degli entusiasmi; ed anche quando lo si cerchi fare con l'imparziale e l'ineccepibile norma dell'amore.

    Si tratta, più precisamente, di questo. Che una rinnovazione giovanile, qual'è necessario avvenga, deve aderire meglio alla natura del tempo nostro. Conoscerlo meglio; possederne più profondamente la complessa e concreta nozione. Accanto al risveglio più precisamente ideale, va desiderato un risveglio analitico, scientifico; del quale non si vede finora traccia. Fin'oggi per esempio, in Economia, non si vede alcuna forza nuova, alcun nuovo sintomo. Eppure in quel campo v'è da rinnovare non dico le leggi (le quali restano ferme quasi tutte) ma la fenomenologia, quasi interamente. Chi non s'accorge che tutto ciò ch'è accaduto in questo ultimo decennio è, in quel campo, completamente nuovo? E non ci si accorge che da quelle novità si può salire a nuove certezze ideali?

    Parlando, come accade in casi simili, sunteggiando quotidiane e minuziose esperienze interiori, m'accorgo di tenermi nell'impreciso; e devo confidare nell' intuito integratore di chi legge. Comunque, passerò a qualche accenno più concreto, per guadagnare in evidenza.

    Accanto a scritti acuti e solidi, ho visto passare in Rivoluzione Liberale - come altrove -spiriti apprezzabilissimi sotto altri aspetti: o per vastità di congettura; o per acutissimo umorismo; o per potere sintetico. Ma non pochi di questi ne ho visti (o mi pare) compenetrati piuttosto da uno spirito ideatore, che da un potere costruttore. Finiscono col costituire dei quadri per sé stanti; ricavati dal tempo ed assunti fino all'indipendenza della creazione: Immagine plastica; di una certa tendenza; ma tenuti, per questa loro natura congetturale e semiartistica, nella solitudine della creazione.





    È esatto tutto ciò, rispetto la natura del tempo nostro: Di quel tempo, nel quale dobbiamo operare? E' bello, è alto; ma oggi domina il mondo un problema che richiede attenzioni talvolta più modeste, più obbiettive.

    Io vorrei, caro Gobetti, che la nuova buona generazione si ponesse dei problemi e delle attività che il liberalismo tradizionale poteva benissimo trascurare (perché, in quel tempo, non erano nati i fenomeni storici, cui quelle attività devono ora riferirsi); e che il socialismo pose ed usò male, perché si lasciò trascinare dall'immaginativa scientifica, ch'è il peggior simulacro dello studio. Intendo problemi d'ordine economico, sociale, tecnico; indagini concrete, in altre parole. Tutto il passato, se non da cambiare (non credo nelle palingenesi, né nell'errore assoluto dei vecchi) è da guardare con occhio nuovo.

    Non so fin dove questo mio invito riesca comprensibile. Intendo (come accennavo poc'anzi) che il riassunto di certi convincimenti e di certe prolungate esperienze interiori è sempre difficile; e diventa quasi impossibile; quando - com'è ora - si vive in tempo di novità. Ma spero, comunque, d'aver posto comprensibilmente almeno una questione di stile; che può riassumersi in questa proposizione: Che il nostro tempo, ricchissimo di fenomeni pratici, richiede un'attenzione pratica che fin'oggi (nel risveglio della gioventù migliore) non si vede neppure abbozzata. Eppure, essa è assolutamente necessaria per far della politica; e, senza d'essa, le buone forze corrono il rischio d'isterilirsi e di perdere quell'attitudine all'azione, ch'è condizione di vita. Non ci accade, proprio oggi, di vedere dei trionfi dovuti in gran parte all'esercizio, senz'altro, di una fattività? Nè si creda che ciò sia un caso, o un'aberrazione, o una follia di razza. È superficiale dire così. Più semplicemente sì deve dire che quel successi derivano, fra l'altro, dall'aderenza di uno stile col carattere di un tempo. E tutto questo (è inutile diminuire o illudersi) è sostanza della storia.

    Suo

MARIO GRIECO





NOTA

    La Rivoluzione Liberale è una rivista di problemi politici nel senso dell'Unità? O nello stesso titolo, in cui abbiamo voluto ricordare la storia, non c'è già pretesa o presentimento di altro?

    La nostra impressione è che a queste domande, pur quando gelosamente le nascondevamo, gli scrittori e i lettori di R. L. abbiano dato sempre una risposta, d'istinto, che constatava o postulava nell'opera nostra un compito e una volontà di formazione spirituale. In questo senso, senza paradosso, la R. L., pur avendo bandita la letteratura poté sembrare una rivista di poesia. Ciò non si deve solo al fatto, notato dal Grieco, che alcuni degli scrittori vengono da un noviziato artistico; ché sarebbe incidente e non caratteristica. Le preoccupazioni integrali e armoniche che ci assistono hanno ben altra importanza nel fornire questi effetti e questo colore all'opera nostra. Il fine nostro più chiaro è di inserirci nella vita politica del nostro paese, di migliorarvi i costumi e le idee, intendendone i segreti: ma non pensiamo di raggiungerlo con un'opera di pedagogisti e di predicatori: la nostra capacità di educare si esperimenta realisticamente in noi stessi; educando noi, avremo educato gli altri. Abbiamo più fiducia negli uomini che nella cultura, per cui discutendo di idee la nostra riserva costante, se non dichiarata, è nella nostra convinzione di fare per questa vita delle esperienze, senza compromettere il futuro. Può essere che per alcuni di noi la politica, coi suoi imprevisti e con l'iniziazione diplomatica, costituisca una sorta di esperienza artistica di tutto l'uomo. Nel nostro disinteressato studio si può appunto sorprendere questa indipendenza e serenità impassibile - Grieco la chiama eroica - che non saprei dire se sia più propria del creatore di mondi fantastici o del reggitore di popoli.

    E qui saremmo solo a metà tra la ripugnanza per l'intellettualismo tecnico o le pretese illuministiche e l'avversione ad ogni estetismo o dilettantismo. Senonché a spiegare più profondamente i caratteri della nuova generazione bastano a questo punto la nostra famigliarità con le questioni politiche e la volontà di trasformare le preoccupazioni culturali in preoccupazioni di civiltà. Le doti del demiurgo e del diplomatico si rivelano alla nostra esperienza troppo improvvisate o diventa necessario rimediarvi con la profondità dello storico.





    Se l'invito di Mario Grieco è diretto verso questa esigenza e contro quel pericolo esso è nostro e coglie la nostra preoccupazione centrale. Ne ci si potrà rimproverare di discutere più di problemi spirituali che di problemi economici, dipendendo la cosa non dalle intenzioni ma dall'opportunità. Per dimostrare la nostra attenzione anche in questo campo, basta guardare al tono oltre al titolo degli argomenti: non appena del resto ci parve di udire una voce di economista nuovo, questa di Mario Grieco, la volemmo, e l'abbiamo, tra noi. Ma a dimostrare la necessità del tono di Rivoluzione Liberale non basterebbe il fatto curiosissimo che proprio Mario Grieco economista debba cominciare la sua collaborazione con una nota di psicologia? Gli è che la scienza si completa poi nell'arte, lo studio dell'esatto e dell'obbiettivo si perfeziona nel senso dell'imprevisto e dell'indefinito, e la nostra vita è l'uno e l'altro e l'uno e l'altro si richiedono all'esperienza politica.

    Se dovessimo fermare il discorso con una definizione diremmo che la nostra sarà nel suo aspetto più originale, una generazione di storici: storici tanto se ci applicheremo all'economia come se al romanzo o alla politica. La generazione vociava, di romantici inespressi, ha dato il suo tipo nel poligrafo (Prezzolini, Slataper, Ambrosini, Borgese, ecc.): e dovettero adattarsi a sembrare poligrafi per lunghi anni anche i due uomini più notevoli e più originali del tempo che, del resto, raramente apparvero nella giusta luce tra i loro coetanei: Papini e Amendola. Noi, maturati dalla guerra, nonché inespressi sicuri sino all'aridezza, ci rivolgiamo più indietro a uomini come Croce e Salvemini e Fortunato che appena adesso ci pare di intendere come si deve e avendo cominciato come poligrafi espertissimi già ne siamo stanchi e cerchiamo altri ostacoli. Nessuno come noi, che abbiamo tanta simpatia per i vociani, tre scorge così vivamente le ingenuità e i pericoli. E bisognerà, per il futuro, che contiamo su questo cinismo così vivamente post-romantico e post-enciclopedista.

    Potete aver fiducia in noi, anche se i tempi ci hanno chiesto troppo. Le responsabilità a cui il fascismo ci ha costretto ci danno un senso di orgoglio: ma dovete pensare che la nostra sicurezza ha vent'anni. Mai giovinezza fu condannata a più chiusa e severa austerità; mai vi fu un donchisciottismo così disperatamente serio e antiromantico. Abbiamo dovuto abbandonare la letteratura per diventare paladini e quasi rappresentanti della civiltà e delle tradizioni. Ora il far questione di stile, l'appello alle armonie storiche, la fiducia della creazione è la legittima difesa di questa nostra solitudine di eretici, è la nostra rivincita di storici contro la cronaca.

PIERO GOBETTI