NOTE DI POLITICA INTERNA

    Per essere un fatto politicamente rivoluzionario - e conseguente - la marcia su Roma doveva sboccare nella repubblica, poiché in origine e nell'essenza il fascismo non è che un movimento repubblicano. Essersi fermata a metà strada vuol dire: o aver temuto che il popolo non fosse preparato ad una soluzione di tal fatta; o non aver avuto sufficiente fiducia nelle proprie forze; o avere infine obbedito più che ad un impulso, ad un compromesso.

    Forse tutte e tre le ragioni sono valide, e l'ultima è la principale.

    Effettivamente la marcia su Roma, in quanto espressione dell'estetismo dannunziano, ha più l'apparenza che la concretezza d'un fatto storico; e si riattacca più alle gesta garibaldine, fiumane e insurrezioniste che non allo spirito profondamente rivoluzionario del liberalismo piemontese; perché, malgrado possa aver suggerite azzardate quanto anacronistiche speranze dittatoriali-imperialistiche, ha nondimeno lasciata invariata la realtà democratica della vita sindacale e politica italiana.

    Come la rivoluzione fascista non è stata che una rivoluzione giudiziaria, dovuta all'indisciplina apportata nell'esercito colla spedizione di Fiume; all'abdicazione della vecchia classe dirigente e alla incapacità, sostanziale o volontaria, poco importa, della piccola borghesia socialista di sostituirla; e non trova la propria espressione che nella dittatura larvata di un partito, ma effettiva dell'esercito, e il proprio limite che nella generosità dell'on. Mussolini: così ciò che di sostanziale ha storicizzato la democrazia trova la propria difesa - e l'imperialismo il proprio limite - nell'equilibrio economico-politico internazionale.

    Esempi tipici: la prosecuzione della politica estera "rinunciataria"; la ratificazione del trattato di Washington.

    A ben considerare i fatti, il solo problema che meriti seria attenzione oggigiorno è il problema delle riparazioni (più esattamente: 1'estrinsecarsi dell'imperialismo francese coll'occupazione della Ruhr): di fronte al quale i singoli problemi nazionali passano in via subordinata, e l'orientarsi delle Nazioni verso la sinistra e la destra non è quasi altro che scegliersi una posizione diplomatica (e strategica) per l'avvenire: il gravitare verso l'uno o l'altro gruppo di Potenze, che oggi sono in contesa, ma che domani potrebbero anch'essere in guerra, qualora una politica di moderazione non avesse a prevalere.

    Che poi la rivoluzione fascista sia stata solamente una superficiale rivoluzione politica lo dimostra il fatto già da noi accennato che il sindacalismo operaio nonostante tutto vive, colla sua tipica mentalità conservatrice tendente a creare un'aristocrazia chiusa mediante il monopolio, non rifuggente nemmeno dalla pratica violenta contro la quale s'era tentato di creare un mito, delle occupazioni e degli scioperi.

    Se nasce legittima la convinzione che tanto il bolscevismo quanto il fascismo sono il portato della lamentata mancanza di una consapevole classe dirigente, il continuo parlar d'impero e scagliarsi contro il Parlamento, potrebbe voler dire che tale mancanza comincia ad essere sentita anche dai fascisti.

    Una conferma di ciò si può vedere nel discorso dell'on. Mussolini agli studenti universitari padovani; come dimostrazioni delle debilitanti conseguenze del ricordato compromesso, potrebbero essere le polemiche giornalistiche sul rimpasto, suscitate dalla nota intervista della Stampa, dall'abboccamento Mussolini-De Gasperi e dalle parole del Popolo d'Italia.

    L'inutile verbosità del Presidente del Consiglio non serve, secondo noi, che a confermare la gravità del dilemma inevitabile.

    L'on. Mussolini è troppo intelligente per non capire che il ritorno alla legalità vorrebbe dire la liquidazione sua e del fascismo; ma d'altra parte il compromesso ogni giorno più lo sfibra, giustificando lo scetticismo che può sorgere sulla opportunità d'un nuovo tentativo insurrezionista facente capo a lui ed al fascismo.

ARMANDO CAVALLI.