IL DISGREGAMENTO RIFORMISTA
Con questo frammento di un più ampio saggio su Le due politiche (fascismo e riformismo), Arturo Labriola reca l'autorità della sua cultura marxista alle indagini della R. L. sulla più recente storia italiana. La sua analisi del riformismo è per noi perfettamente accettabile. Le incertezze del giudizio sulle premesse fasciste invece dipendono dal fatto che questo studio fu scritto prima del colpo di Stato, ossia prima che il nuovo movimento rivelasse le sue contraddizioni e l'intima struttura, piccolo-borghese, riformista e parassitaria. Socialismo di StatoIl riformismo, come sistema di politica sociale, può essere racchiuso in due termini: 1° un complesso di misure atte ad assistere e tutelare il lavoratore come entità economica e come persona, 2° una politica diretta a modificare la distribuzione naturale della ricchezza, nel senso di sottoporre al controllo dello Stato varie manifestazioni dell'attività economica privata. In tale categoria rientrano anche tutte le misure, che si propongono di attuare municipalizzazioni e statizzazioni delle forme economiche. Altri parla del riformismo come di un metodo, come d'un processo che sostituirebbe la gradualità alla rivoluzione, l'esperimento democratico, cioè consentito, alla imposizione. E certo, dal punto di vista filologico, anche questo può andare. Ma allora il riformismo non è più nulla di specifico né dell' epoca, né dei partiti nostri. Ogni ideale (reazionario, conservatore o progressista) darebbe luogo ad una distinzione di rivoluzionari e di riformisti, perché ogni ideale (il comunismo, come lo Stato "dei pochi" predicato dai fascisti) può attuarsi tanto per vie rivoluzionarie, quanto per vie riformiste. Gradualismo e riformismo coinciderebbero, ed anche l'on. Graziadei, che è il leader dei comunisti italiani, sarebbe un riformista! - Non è in questo senso che del riformismo si può parlare come di un fenomeno specifico dei tempi nostri. Il riformismo è invece quel sistema di politica sociale, che altri chiama di Socialismo di Stato, il quale tende ad attuare tutto un sistema di interventi economici a favore delle classi 1avoratrici, per iniziativa degli organi dello Stato e sotto la pressione dei partiti politici a ciò disposti. La questione del metodo della realizzazione degli ideali sociali è differente (1). Definito in questa maniera il riformismo, esso ha tre diverse e confluenti scaturigini: a) l'interesse del sistema capitalistico e degli stessi imprenditori, b) l'azione delle classi lavoratrici, disorganizzate in un primo momento, organizzate poi, c) lo Stato, che pure essendo l'espressione della lotta delle classi, assume, ad un certo momento, indipendenza di fronte ad esse, ed avendo bisogni propri, tende a farli valere. Il riformismo e il ceto degli imprenditoriChe il riformismo risponda ad un interesse delle stesse classi capitalistiche e del ceto degli imprenditori, l'esperienza e il buon senso suggeriscono. Ma per comprendere queste cose, con un esempio, è forse utile riferirsi ad una teoria del vecchio Proudhon. Nel 1848 Proudhon diceva che la proprietà essendo stata considerata come responsabile della miseria contemporanea, si era creduto di dover propagandare come soluzione una forma di comunismo, difesa da Louis Blanc e da la maggior parte dei repubblicani socialisti. Egli notava: "Invece di prendere la società per la testa, come faceva Louis Blanc, o dalla base, come fa la proprietà, bisogna attaccarla dal suo ambiente, agire direttamente non sulla fabbrica, sul lavoro, ciò che significa sempre agire sulla libertà, la cosa al mondo che meno soffra che vi si tocchi; ma sulla circolazione e i rapporti dello scambio, di maniera da poter toccare, indirettamente e per via d'influenza, il lavoro e la fabbrica. In una parola: cambiare l'ambiente." . (Proudhon, Solution du problème social, p. 170-182). In altri termini, egli distingueva fra l'organismo (la fabbrica, l'azienda, l'impresa produttiva) e l'ambiente (scambio e circolazione). - Secondo la sua opinione, le riforme non si possono applicare all' organismo fondamentale, ma all'ambiente in cui vive. Riformare significa agire sull'ambiente economico. Quali sono queste riforme, delle quali parla il Proudhon? Egli ne parla nella sua seconda memoria sulla proprietà, e le indica così: 1° misure dirette a separare i poteri dello Stato, 2° decentramento, 3° l'imposta, 4° regime del debito pubblico, ipotecario e commanditario, 5° banche di circolazione e credito, 6° organizzazione dei servizi pubblici, 7° associazioni industriali ed agricole, 8° commercio internazionale. - Secondo lui è possibile migliorare queste varie manifestazioni dell'attività sociale, senza punto offendere la proprietà dell'azienda fondamentale. In un certo senso, esse migliorano la proprietà privata, la rendono più energica ed espansiva, più resistente e più robusta. E perciò Sorel diceva: "réformer, dans la société bourgeoise, c'est affirmer la proprieté privée" . (G. Sorel. Introduction à l'économie moderne, Paris, p. 11). Se la riforma modifica l'ambiente e rinforza l'organismo, che vive in esso (la proprietà privata), si spiega che la stessa classe capitalistica sia favorevole alle riforme. La riforma elimina sopravvivenze, parassitismi, sfruttamenti incompatibili con la pura esistenza del capitale. Una buona riforma tributaria, trasferendo i tributi sulla proprietà in ragion progressiva, semplifica il calcolo dei conti di produzione e consente di comprendere quale sia il reddito effettivo del lavoro e del capitale. La statizzazione di certi servizi pubblici, delle assicurazioni, delle ipoteche, ecc., elimina la concorrenza sui punti accessori, e pone in esistenza il puro principio capitalistico, come consistente nella trasformazione dei beni e nel guadagno che risulta dalla più conveniente trasformazione dei beni. - Inoltre tutte le provvidenze stabilite per il lavoratore, liberano il capitale dalle noie dell'assistenza; senza dire che gli dànno un lavoratore più agile, più forte, più sicuro di se, miglior produttore, più redditizio. Le classi lavoratriciMa del pari il riformismo promana dall'interesse del lavoratore a migliorare la sorte propria, ad evitare che oltre la dipendenza del padrone, dall'imprenditore, qualche altra tirannia si eserciti su di esso. La neutralizzazione dell'ambiente economico gli può portare vantaggi evidenti. Lo sviluppo del regime delle assicurazioni (infortuni, invalidità, vecchiaia, disoccupazione, malattia) lo pone al riparo dell'evento incerto. Per tutte queste ragioni, il sistema del riformismo è incoraggiato e patrocinato dalle classi lavoratrici, anche se siano rivoluzionarie, cioè se mirino alla trasformazione radicale dei rapporti di proprietà nell'impresa economica. Il solo punto è questo. Bisogna che esse non confondano i fini riformistici con i fini rivoluzionari, la neutralizzazione dell'ambiente con la trasformazione dell'organo fondamentale; che non pensino, cioè, che un accumulo di riforme produca la rivoluzione (2). Le due cose non hanno nulla di comune. Lo StatoE poi lo Stato. Per quanto prodotto dalla lotta delle classi e dei conflitti esterni che ne risultano, esso possiede autonomia e forza propria. L'esercito dei funzionari comincia presto ad acquistare una psicologia distinta da quella della classe da cui proviene, e della classe i cui intenti lo Stato protegge. E poi nello Stato c'è un che di duplice: ci sono le esigenze di classe e le esigenze di civiltà, indipendenti dalle classi, e che spesso prevalgono sulle stesse esigenze di classe. la cultura, la giustizia, la stessa pubblica salute, l'ordine giuridico inteso come polizia, ecc. Il ceto funzionaristico acquista una psicologia indipendente dalle classi economiche da cui proviene, e come tutte le classi si propone fini imperialistici, cioè non si contenta di essere ciò che è; vuol invadere e prevalere, vuole aggregare ai propri domini e le giurisdizioni delle altre categorie. E' esso che straripa ed incita a straripare. Vivendo appunto nell'ambiente della economia (sfera della circolazione economica e dell'ordine giuridico), esso tende ad assorbire le svariate sfere che costituiscono questo ambiente economico; ed è prodigioso incitatore di municipalizzazioni, statizzazioni, assicurazioni, monopoli e controlli. La sua forza concentrata è superiore a quella di qualsiasi altra classe di cittadini, perché trova una naturale organizzazione nello stesso meccanismo burocratico, ed una capacità di azione, che consiste nello stesso organismo dello Stato. L'organo non solo tende a creare la funzione, ma ad estenderla. E lo Stato, diventato anche organo economico, ha fame di territori economici: ed ecco la corsa alle statizzazioni e alle municipalizzazioni, alle assicurazioni ed ai controlli! Il riformismo contro l'economiaIl riformismo ha una linea di sviluppo normale finché sia conforme agli interessi dello stesso capitale industriale. Le assicurazioni sociali liberano il capitale dalla preoccupazione della sorte personale del lavoratore e dalla necessità di provvedervi con l'assistenza diretta. Le municipalizzazioni e le statizzazioni, neutralizzando l'ambiente economico, impediscono, ad esempio, che una ditta, a cagione di particolari intese con una compagnia ferroviaria, ottenga una condizione di privilegio sul mercato della concorrenza. L'assorbimento delle forze economiche che il regime della riforma sociale attua, disciplina il mercato della forza di lavoro, assesta la società economica, allontana da essa i pericoli delle avventure. Sostanzialmente il sistema capitalistico non potrebbe vivere senza una dose molto larga di riformismo civile; tanto vero che tutte le società capitalistiche molto sviluppate, l'Inghilterra, la Germania, la Francia, adottano un complesso sistema d'interventi statali nel processo economico a vantaggio delle classi lavoratrici. Ma il riformismo sociale, diventato indipendente dalle cagioni del suo formarsi, non si contiene automaticamente entro i limiti dei vantaggi che può prestare sia al lavoro, sia allo Stato, sia al capitale industriale. Esso tende a svilupparsi per conto suo, imponendo sia al lavoro e sia, sopratutto, al capitale durissime falcidie. Lo stesso Stato non si sottrae al malefico influsso del suo sviluppo anormale, perché la riforma sociale, con i complicati meccanismi che forma, con la organizzizione di un esercito di funzionari propri, instaura uno Stato nello Stato, e indebolisce lo Stato politico ufficiale. Quest'ultimo è nato in servizio di una determinata forma di società; ma la riforma sociale, creando un esercito burocratico indipendente dalla classe dominante, svigorisce ed anemizza lo Stato ufficiale, da cui il fatto indiscutibile che nei periodi di riformismo sociale, lo Stato riveli una sua particolare debolezza. E tale debolezza dello Stato ufficiale non giova nemmeno alle classi rivoluzionarie, perché l'organismo di funzionari e di istituzioni creato dalla riforma sociale, come fiacca e diminuisce il vigore dello Stato politico, attenua lo sforzo dei Sindacati di mestiere e degli organismi politici della classe rivoluzionaria. Degenerazione capitalistica e degenerazione socialistica... Tuttavia giova rilevare che il riformismo sociale i suoi colpi più vigorosi li vibra proprio al capitale industriale produttivo, e per questa guisa agisce in maniera antisociale. Esso attua una distribuzione del capitale fra i vari impieghi, che non è quella corrispondente al principio economico del maggior rendimento. Pigliamo, ad esempio, il fenomeno della cooperazione. Quando per ragioni politiche lo Stato si mette ad incoraggiarla, si provoca un passaggio di capitali ad imprese, che non sono assolutamente indispensabili, ma che prosperano solo per un fine politico dello Stato. Il capitale rimasto disponibile è più scarso, rincara, e con esso rincara il costo di produzione, costituendosi una cagione di inferiorità, nella concorrenza internazionale, per il paese dove questi espedienti si praticano. Tale inferiorità è risentita più particolarmente dalle classi lavoratrici non impiegate nelle imprese sottoposte al regime della riforma sociale; onde il riformismo sociale, se opera in danno delle classi capitalistiche produttive, agisce non meno sfavorevolmente in danno delle stesse classi lavoratrici. - D'altra parte la distribuzione politica del capitale fra i vari impieghi, agisce a danno dello stesso accumulo del capitale, poiché un capitale distratto dai suoi impieghi più produttivi, è anche un capitale che si accumula scarsamente, e che perciò fornisce al lavoro impiego sempre più scarso. Si ha perciò una continua distruzione di capitale, che impedisce l'arricchimento del paese dove la riforma sociale si applica su più larga scala. Alla quale distruzione di ricchezza partecipa poi il metodo che il riformismo consiglia nella rimunerazione del lavoro. Consistendo la sua giustificazione sociale nel fatto che esso protegga e difenda i lavoratori di fronte alla ingordigia del capitale; esso pone la sua forza a disposizione di una tesi del più largo rimuneramento del lavoratore, anche al di là del suo prezzo di mercato normale. Ciò si può per un certo tempo, ma a spese dell'accumulazione capitalistica, cioè dello stesso fondo dei salari; poiché pagandosi il lavoratore più del valore della sua forza di lavoro, la parte destinata all'accumulazione del capitale è intaccata, e con ciò si raccorcia e diminuisce il fondo su cui si pagano i salari. Per il momento il lavoratore sta bene, ma poi esso sconterà a caro prezzo la cuccagna d'un giorno. La plutocrazia e il capitale produttivoQuesta politica troverebbe ostacoli insormontabili nella forza di resistenza del capitale, se non fosse un fatto che riguarda la stessa composizione di capitale. - Una parte di questo capitale - il cosiddetto Finanzkapital dei tedeschi - vive inoperoso, lontano dagli impieghi industriali, fondati sulla trasformazione fisica dei beni. E' il capitale di intermediazione in un senso molto largo; è quel capitale che alimenta le speculazioni di Borsa, le imprese bancarie, e vive di affari. Esso dà origine a quel ceto della plutocrazia, che è una sottospecie della borghesia, ma non si confonde con essa; ceto rapacissimo, senza scrupoli, avventuriero, che specula su tutto, sulla reazione come sulla rivoluzione, sulle merci come sulle coscienze, sulla fabbrica come sul socialismo. A questo ceto capitalistico è indifferente se esso alimenti la cooperazione socialistica, anziché l'impresa capitalistica. Vivendo esso d'intermediazioni e di speculazioni, le municipalizzazioni e le statizzazioni gli convengono, perché anticipare quattrini agli enti pubblici e il trafficare nei loro titoli fu sempre il suo affare particolare. La plutocrazia trova nella riforma sociale (assicurazioni, statizzazioni, monopoli) un largo campo per le proprie imprese, ed esso l'asseconda. I suoi interessi sono molto diversi da quelli del capitale industriale vero e proprio, ed è questa la ragione perché essa non provi ripugnanza ad allearsi col socialismo. Sotto la pressione combinata della plutocrazia e del socialismo statale, il regime della riforma sociale si sviluppa sempre più. Si hanno leggi sociali della specie più varia. Ne esultano i socialisti, che veggono ridursi il campo dell'attività economica privata, ma non veggono che intanto il capitale produttivo si accumula sempre più stentatamente e quindi si riduce il fondo dei salari; e nel contempo si rallenta la molla del progresso economico della società, la quale consiste appunto nello accumulo del capitale. Sguazza la plutocrazia, che si innette territori inattesi per le proprie speculazioni. Essa sì dà arie di modernità. Proclama di non temere il socialismo. La cooperazione le è tanto indifferente quanto l' impresa capitalistica, e forse la predilige, perché i coperatori son gente semplice e facilmente abbindolabile... Chi ne soffre è la società economica intesa nella sua totalità. - Infatti uno sviluppo anormale del socialismo di Stato può rappresentare un ostacolo insormontabile opposto al progresso della Società (3). Il capitale industriale non soggiace volentieri al destino che la plutocrazia, cioè il capitale intermediario improduttivo, e il riformismo sociale gli apparecchiano. Ed esso prepara un'energica riscossa contro quello di essi, che gli sembra il nemico più terribile, cioè il riformismo sociale. La lotta che il capitale produttivo industriale e il capitale improduttivo alleato al riformismo sociale si muovono, assume presto aspetti drammatici. Il capitale produttivo combatte risolutamente il capitale improduttivo, che si cela sotto la maschera della riforma sociale. In Italia assistiamo ad uno dei più singolari episodi di questa lotta, nella guerra cruenta e crudelissima che il fascismo combatte contro il Partito Socialista, da esso scelto ad esponente di quella lotta politica della riforma sociale. Alle apparenze il fascismo combatte il bolscevismo, i cosiddetti "eccessi" del socialismo rivoluzionario, il comunismo pratico, e così via; nella sostanza il suo vero nemico è la riforma sociale, il riformismo socialistico, il socialismo delle realizzazioni e la cooperazione proletaria. - Giova adesso vedere come ciò sia accaduto nel nostro paese, e quali conseguenze possa avere. Il fascismo contro il riformismoIl Pantaleoni, nonostante l'antico suo liberalismo, diventato il solo teorico serio del fascismo, rivela abbastanza chiaramente che cosa i fascisti chiamano bolscevismo. Sotto la sua penna il concetto di bolscevismo rivela una estensione indefinita. Bolscevico e il nostro governo. Bolscevico è la nostra burocrazia. Bolscevica è l'organizzazione delle assicurazoni sociali. Bolscevica è la cooperazione. Bolsceviche sono le restrizioni imposte al commercio. Bolscevico è il miglioramento del tenor di vita delle nostre classi lavoratrici. ("Per opera del bolscevismo è anche venuta meno quella molestia nel tenor di vita che distingueva l'italiano"). Il comunismo è appena una delle forme del bolscevismo (- "cioè quella trasformazione giuridica della società, per la quale il socialismo ha modelli ognora cangianti, e di cui uno fra tanti è il modello bolscevico comunista"). Ed infatti anche il modesto disegno di legge sul latifondo è bolscevico. L'on. Micheli, proponente, è "un popolare e vuole gareggiare in demagogia con l'on. Miglioli e con i socialisti". L'aggressione socialista all'ordinamento capitalista attuale prende, secondo il Pantaleoni, due forme: "la forma della violenza e l'altra della legiferazione". Quella della violenza si è vista in Russia ed in Ungheria su larga scala, e nel Ferrarese, nell'Emilia, a Milano, Torino e Firenze, su scala più ridotta; ma "quella della legiferazione e della penetrazione nella amministrazione e nella burocrazia si è veduta da quaranta anni a questa parte un po' ovunque, ma particolarmente in Italia". Il governo italiano è un governo socialista. "Alle interrogazioni e interpellanze socialiste risponde il loro (dei socialisti) compare da 15 anni, il Corradini. Al potere è il medesimo Giolitti, per il quale la occupazione delle fabbriche era una "contravvenzione"; il medesimo Giolitti che ha favorito il socialismo ferroviario, quello municipale, quello delle cooperative per parecchi lustri. Non è certo un governo borghese, i1 governo d'Italia". Però non solo Giolitti è bolscevico (perché è il padre delle municipalizzazioni, del monopolio delle assicurazioni, delle assicurazioni sociali e del disegno di legge sul controllo delle aziende), ma anche Nitti ed anche Miglioli, e poi Micheli, senza parlare, si capisce, di Turati, di Treves e di... Labriola. Che cosa significa questo pan-bolscevismo?, Significa che bisogna abolire il regime delle assicurazioni sociali, delle municipalizzazioni, delle statizzazioni, dei monopoli; e ritornare alla proprietà privata assoluta, alla libera concorrenza più sfrenata, all'individualismo economico più schietto. Codesto regime si completava nel concetto degli antichi economisti con la più ampia libertà di opinioni, di associazione e di riunione. Invece i nostri fascisti invocano Joseph de Maistre, cioè la dottrina dell'assolutismo regio ed ecclesiastico, la dottrina che nega essenzialmente i diritti della persona e della liberà. Glissons. L'on. Mussolini in un discorso all'Augusteo (8 novembre 1921) dichiarò: "in economia noi siamo decisamente anti-socialisti. Da anni noi viviamo in regime soffocante di socialismo, di collettivismo.E' bene dire che, in materia economica, siamo liberi nel senso più classico della parola. Le aziende non possono essere affidate ad enti collettivi e burocratici; l'esempio della Russia è troppo significativo. Se dipendesse da me, restituirei alle aziende private i telefoni, i telegrafi e le ferrovie, quel mostruoso organismo insomma che ha reso lo Stato vulnerabile da tutte le parti. Lo Stato deve tornare alle sue fondamentali funzioni politiche e giudiziarie". Quaale interpretazione dare di queste tendenze e di questi. fatti? - .In un paese naturalmente povero come l'Italia, il riformismo sociale che insieme alla plutocrazia rappresenta il lavoro e il capitale improduttivi, distoglie certamente dagli usi industriali masse cospicue di capitali, e provoca quindi una forte reazione da parte dei capitalisti e degli agricoltori dediti alla materiale trasformazione dei beni. Credo che il momento critico della lotta della borghesia industriale ed agraria contro il riformismo sociale fu il pericolo da essa corso che la Cassa di Risparmio di Milano, con i suoi ingenti capitali, dovesse cadere nelle mani dei socialisti. Già l'estendersi dell'istituto nazionale per la Cooperazione aveva molto preoccupato il mondo industriale italiano. Il governo aveva portato a duecento milioni di lire il capitale di quell'Istituto, i cui affari superavano il miliardo. Che cosa sarebbe accaduto se anche la Cassa di Risparmio di Milano fosse caduta nelle mani del socialismo? La Cassa di Risparmio di Milano, essendo un ente morale, è amministrata da tre delegati del comune di Milano, tre della provincia di Milano e un delegato della provincia di Pavia, di Mantova, di Novara, di Bergamo e di Como. I tre delegati della provincia di Mantova, e quelli del comune di Milano appartengono al partito socialista. Fra poco i socialisti avrebbero avuto la maggioranza nel Consiglio di Amministrazione dell'Ente. La Cassa di Risparmio di Milano ha, in Milano, una circolazione di 230.487 libretti con un credito di 299.023.493 lire, e nelle casse filiali 510.474 libretti con un credito di lire 593.440.735. - I socialisti avevano già presentato il loro solito piano di "finanziamento" per le cooperative...Si può immaginare che cosa sarebbe accaduto quando avessero poste le mani sopra il miliardo di depositi della Cassa di Risparmio di Milano. E per evitare questo malinconico dimani la borghesia industriale organizzò, in nome della patria, le "spedizioni punitive contro i comuni socialisti e le province amministrate dai socialisti in Milano, Mantova, Novara e Pavia ! (1) Questo metodo, del resto, rassomiglia alla tattica nel combattimento. Esso è imposto dalle circostanze. Un partito sempre legalitario è una accolta di imbelli; un partito sempre rivoluzionano è un manicomio di agitati. Non c'è partito legalitario, che in certe ore non diventi insurrezionale; e non c'è partito insurrezionale, che in tutte le altre non sia legalitario. Un riformismo sistematico, nel senso del legalitarismo, è la condanna all'impotenza. Nessun partito ha mosso mai in Italia tante forze quanto il socialista turatiano. Il suo organismo legalitario lo ha completamente disarmato; ed ora è senza influenza sulla vita pubblica.
(2) "La sostituzione della fabbrica socialista alla fabbrica capitalistica non si può compiere per gradi, ma di colpo... Questa rivoluzione non è però arbitraria, cioè non può compiersi a disegno, sempre che piaccia. Suppone realizzate due condizioni: 1° l'incapacità del sistema capitalistico a reggere ulteriormente la produzione; 2° e per opposto la stessa capacità nelle classi lavoratrici". Arturo Labriola. - Rif. e riv. sociale, 2ª ediz., p. 243. - Sull'equivoco del valore della parola "rivoluzionarismo, inteso generalmente come sinonimo di botte e di spari, è parso ad alcuno che ci fosse contraddizione fra il mio pensiero di ieri e quello d'oggi Si può essere riformisti quando s'è rivoluzionari? Evidentemente! Come si può essere avvocati e persone di buon appetito, italiani e filosofi, rivoluzionari e Ministri del Lavoro, etc., etc.
(3) Tutti i marxisti hanno sempre combattuto il socialismo di Stato come incompatibile con la dottrina generale del loro maestro. Vedi: Arturo Labriola. - Il Socialismo contemporaneo, 2ª edizione, cap. X, p 263 e seg.. Ma gl'ignoranti (- o i furbi ? -) delle due parti continuano a confondere marxismo e socialismo di Stato...
(Continua). ARTURO LABRIOLA.
|