LA POLITICA DEI BLOCCHI

    Quando gli avversari mi tiran la giacca per trascinarmi sul terreno vischioso della polemica problemistica, ho sempre una gran voglia di svoltar brusco per impegnare il mio tempo e il mio cervello in fatiche meno vane. Che varrebbe pigliarsela con uno dei tanti tirapiedi di De Stefani, che dichiara lo stato d'assedio alla tua testa mitragliandoti con eserciti di cifre e che cerca deviare il normale tranquillo corso dei tuoi pensieri con le più labirintiche architetture di paradigmi numerici e di diagrammi? Quando a me capitano questi infortuni, concedo senz'altro il cento per cento ed agli scalmanati difensori d'ufficio dell'opera ricostruttrice del Governo nazionale do tutte le ragioni che loro meglio garbano.

    Il sistema è eccellente per tener la muta un po' discosta. Scongiurato il pericolo che ti si avventi ai polpacci, hai il modo di portarti in certe posizioni dominanti sulle quali non solo l'aria che respiri è più idonea ai tuoi polmoni, ma anche l'occhio ha un campo assai più vasto, tutto per sé, e tu, frattanto, godi una visione panoramica di cui non avevi neppure il sospetto più lontano quando eri imbottigliato nel vicolo cieco delle discussioni problemistiche. La rappresentazione, allora, si fa così viva, che tu non puoi sfuggire all'esigenza discorsiva di comunicarla subito al tuo prossimo vicino. Io mi concedo, da qualche anno, sia pure non troppo spesso, il lusso di queste arrampicate, che chiamerò d'orientamento. Vi voglio oggi mettere a parte di quel che ho veduto or non è molto, e che ad altri moltissimi non sarà certamente sfuggito.

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    Francamente, dopo aver sudato tanto per arrivare a veder con una certa larghezza, non c'è proprio nessun sugo ad accorgersi che lo spettacolo è maledettamente sempre lo stesso. Scomparsa, ad una certa altezza, la differenza di colore dei vessilli e velata quella delle divise; resa impossibile ogni discriminazione sull'età degli alfieri e dei componenti la gran folla che si pigia nell'arena della lotta politica, sì sente, come dire? così - col naso - che tutta questa umanità in fermento, è, purtroppo, sempre la stessa. Questa esasperante identità di visione sta a denunciare il fattaccio che ha sempre impedito all'Italia il costituirsi di un serio processo educativo delle sue classi dirigenti, permane immutato. Ed allora una espressione che ha sempre suscitato in me un senso di vivo ribrezzo, piglia lentamente forma di realtà. E per definir la situazione bastano appena le poche sillabe che concorrono a formar la parola blocco.





    Si, siamo ancora al blocco. Ieri furon le sinistre che s'unirono, auspice la Massoneria, a combatter la battaglia contro il pericolo nero, e in questo ibrido cemento il midollo dei partiti estremi, socialista compreso, si perde come vapor d'acqua. Par naturale antitesi, sorsero le concentrazioni clerico-moderate, che con la pretesa generica di impedire il dissolvimento della società civile, aumentarono sino all'incredibile la confusione delle lingue. E, poi, per ogni grosso avvenimento della nostra vita nazionale, assistemmo al sorgere di questi blocchi, al formarsi di queste concentrazioni mentre si dava al Paese l'impressione che la nostra povera scarsa vita nazionale si trascinasse malamente da un pericolo ad un altro, mentre lo spettro di una palingenesi stava, implacabile, giorno e notte, alle porte di casa. Arrivammo alla dichiarazione di guerra attraverso un blocco. Dalla trincea, i più tornarono con l'idea confusa di un altro blocco: quello dei combattenti, che avrebbe redento l'Italia. Ma il Fascismo li prevenne e fece esso il suo blocco per le finalità che tutti conosciamo. Non è, forse, il nostro un paese che ogni cinque minuti deve essere tratto in salvo da qualcuno, e dal cui grembo sprizzan sempre, con identica fecondità, traditori ed eroi? Ora, poi, abbiamo la lotta contro il fascismo, e la difesa delle libertà costituzionali ha fatto schierare sulle stesse posizioni gente che, abitualmente, non abita certo a contatto di porte.





    Che cosa è nato da questa prassi nefasta e scandalosa, che una volontà davvero rinnovatrice del nostro costume politico avrebbe dovuto bandire con la stessa inesorabilità con la quale si isola un appestato? Proprio in virtù di questi blocchi, s'è prodotto come un arresto di sviluppo nella nostra capacità di vivere una vita politica. Forze che dovevan crescere e progredire liberamente, furori compresse, annullate dalle esigenze livellatrici del blocco. Avemmo così dei simulacri di partiti, condotti da mezzi uomini incapaci di una direzione originale di pensiero come di qualsiasi atteggiamento di aperta responsabilità. Chi non ricorda i famosi fronti unici rivoluzionari, ove si trovarono a braccetto, per tacer d'altro, anarchici squinternati della più bell'acqua e mazziniani queruli, sedotti unicamente da quella specie di romanticismo che colora ogni rivolta? Ma intendiamoci bene. La colpa di tutto ciò io la faccio esclusivamente risalire a quanti crearono, e potevan farne benissimo a meno, quelle condizioni che resero quasi fatali, in un Paese a scarsa educazione politica come il nostro, quei mostruosi accoppiamenti di cui s'è discorso.

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    Ebbene, oggi occorre far risalire al Fascismo responsabilità che sono di ordine meno immediato e che quanti sono presi nel vivo dell'urto delle fazioni contrastanti forse non scorgon neppure, il Fascismo è responsabile di aver eliminato quelle condizioni che potevan permettere all'Italia di arrivare, sia pure in un ventennio, ad avere una lotta politica, veramente degna di questo nome. Le illusioni che un uomo e un gruppo di uomini, avessero pure tutti un'olimpica origine, possano sostituirsi alla esperienza politica di un popolo, è una di quelle illusioni che caratterizza il semplicismo di cui è contesta la nostra mentalità politica. Per un popolo che aspiri veramente a meritare questo nome, la lotta politica può esser differita, non annullata. E chi, poi, potrà definitivamente sopprimere certe esigenze, eliminate o scomparse le quali perde fin di significato la vita moderna?. Ho vivissimo il ricordo del largo sorriso di compassione col quale un mio amico inglese sottolineò la notizia che io gli dava della costituzione in Italia di Sindacati che riunivano insieme datori di lavoro ed operai. La organizzazione sindacale è, ormai, nella logica stessa della vita moderna. Esauritasi la pressione dell'ora che volge, cadute le artificiose impalcature tirate su in questi momenti d'eccezione, quando le masse saran forzate a ricostituire i loro organismi, le vedremo impreparate, disorientate, profondamente avvilite dalla sensazione della loro impotenza. I tentativi si seguiranno ai tentativi, ed in questo periodo caotico nel quale non nuove costruzioni emergeranno, ma simulacri di un'ora e fantocci, si disperderanno energie preziose, ed in mancanza di meglio la stolida, superflua violenza penserà a dar colore a questa ingrata e dolorosa fatica.





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    Mi accorgo di aver deviato in osservazioni troppo laterali. Ma se ci riportiamo alla posizione centrale del discorso, non potremo non deplorare anche quel che avviene nel cosiddetto campo antifascista. Anche qui s'è operata una specie di tregua alle lotte che ieri dividevano, invece, così acremente. E perché tutto questo? Perché nello svolgimento normale (che non esclude affatto anche la violenza) della lotta politica s'è creata una soluzione di continuo, avendo la dittatura determinato comuni esigenze di difesa in ceti disparatissimi. L'operaio, che ha visto perire nelle fiamme la sua camera del Lavoro è spesso vicino all'industriale boicottato nelle aste o colpito in altri mille modi, perché non s'acconciò a dare il suo assenso alla oligarchia dominante. Il sovversivo che sorride alla colomba liberale tutta garrula di antiministerialismo, è il sintomo di una situazione grave, destinata ad influire lungamente sulle nostre vicende politiche. E che si sia ancora irrimediabilmente nel solco del passato, che tutti deprecano a parole, lo dicono chiaro certi atteggiamenti paternalisti di chi s'è assunto il compito di dirigere la vita della Nazione. L'antica viltà di voler ridurre il molteplice e complesso della vita ad una asfissiante uniformità s'è drappeggiata ora d'eroismo e di fierezza verbale, ma riaffiora inevitabilmente identica. Cos'è, se non viltà, questo rifiuto alla lotta aperta, che trova il suo limite naturale solo nella validità morale e nella efficacia dialettica dei mezzi adoperati? Pigrizia e viltà insieme è questo voler considerare tutto nello schematismo semplice, negando in tal modo le permanenti ragioni della tragedia umana.

    Questi sono i pericoli, gravissimi, che debbon esser denunciati. Altro che metter le virgole ai progetti di legge ed alle riforme che vengono quotidianamente sfornate!

    Noi abbiamo bisogno che il Paese torni ad avere i suoi organismi politici nettamente differenziati, vivi, agili, procedenti, nella lotta, in sede propria. Ma per arrivare a questo occorre trovare un sedativo che vinca l'agitazione data da tante isteriche dichiarazioni di patria in pericolo, di imminenza di baratro, di nemici da sgominare, di traditori da colpire. Occorre spazzar via tutta questa fraseologia e tutta questa atmosfera di brigantaggio non solo, ma anche, rimuover lo stato d'animo dal quale essa emana. Il Paese ha un gran bisogno di tornare alla normalità, la quale non è certo sinonimo di quietismo bucolico e di inerzia. Ed a questo riguardo è assai curioso constatare che i restauratori d'oggi, con tutte le loro verbose dichiarazioni di dinamismo, han diffuso nel Paese un'irrespirabile atmosfera di sepolcro, nella quale ogni conato di vita ineluttabilmente affoga.

    Ecco come il Fascismo, nonostante le sue variopinte insegne rinnovatrici, ha obbligato gli italiani a ritornare alla nefasta politica dei blocchi. Se questo sia un servigio reso al Paese, lo lasciamo al giudizio di chi è ancora un uomo e non un gambero arrostito dalla passione di parte.

GIOACCHINO NICOLETTI