IL PROGETTO ACERBO

Un allargamento d'organico

    Quando l'on. Mussolini, dopo la facile vittoria della "marcia su Roma", pronunciò il famoso discorso nell'"aula sorda e grigia" di Montecitorio, vantando la propria generosità per non averne fatto, come avrebbe potuto, un luogo di bivacco dei suoi manipoli, stabilì anche la durata della Camera entro un termine variabile da due giorni a due anni, a seconda dei buoni portamenti della pupilla.

    Non si può dire che finora l'educanda abbia dato tali prove d'insubordinazione da determinare, per il bene della nazione e del fascismo, la propria immatura fine. Anche quando il Governo ottenesse, colla sua indiscussa abilità, la maggioranza dei quattro terzi prevista dall'on. Farinacci, non é supponibile che ogni tanto non si eleverebbe qualche innocua voce di protesta e di critica agli atti del Governo, e quanto ai pericoli per la solidità del Governo stesso, non ne potevano certamente sorgere da una Camera nelle condizioni di impotenza dell'attuale. Nulla quindi giustifica lo scioglimento della Camera, considerando la cosa dal punto di vista dei rapporti del fascismo verso gli altri partiti, giacché essi riconoscono unanimamente che per ora e per un tempo non definibile un'opposizione attiva al fascismo sarebbe vana e impossibile. E quanto alla situazione del Paese, non mancano buone ragioni per affermare che sarebbe stato conveniente non parlare di nuove elezioni ora che la nazione, come afferma spesso il capo del Governo, ha bisogno di quiete e di raccoglimento per dedicare le sue forze a quell'opera di ricostruzione di cui tanto si riconosce la necessità. D'altra parte, non avendo il fascismo giudicato necessario ricorrere subito alle elezioni per legalizzare col voto popolare la propria conquista, sarebbe stato ragionevole fare appello al corpo elettorale quando il fascismo avesse svolto una larga parte del suo programma di partito di Governo, mentre i capi del fascismo continuano a ripetere che l'azione svolta finora é consistita quasi unicamente dal disbrigo di lavoro arretrato, le cui soluzioni in gran parte erano già state preparate dai Governi precedenti.

    Infine, nonostante le ripetute affermazioni del Presidente del Consiglio, ed anche ammesse tutte le sue buone intenzioni, è difficile credere che a novembre la mentalità e i metodi dei fascisti, abituati alle elezioni amministrative col sistema totalitario, siano talmente cambiati da tollerare che i nemici della patria, cioè tutti quelli che non sono fascisti o che non approvano l'azione dei fascisti, possano liberamente esprimere, per mezzo del voto, la loro opinione contraria all'attuale regime.





    Se, nonostante tutte queste ragioni che avrebbero sconsigliato le elezioni a scadenza prossima, l'on. Mussolini ha creduto di far discutere, o meglio approvare, a tamburo battente la riforma elettorale già da lui approvata all'Hôtel Danieli, vi deve essere stato spinto da una ragione interna del fascismo. Probabilmente visto che, nonostante le minacce e qualche persecuzioncella, il fascismo non riusciva a trovare dei nemici da abbattere, l'on. Mussolini avrà pensato di ricorrere alle elezioni per avere una nuova battaglia da combattere e cementare quindi le forze del partito che già mostravano nel suo interno pericolose crepe; aggiungendo - considerazione tutt'altro che trascurabile - che con le nuove elezioni si assicuravano ai fascisti, non potuti contentare coi gradi della milizia nazionale o con le alte cariche dei sindacati fascisti, duecento nuovi posti di deputati. Le elezioni avrebbero insomma in parte la funzione che nella burocrazia hanno gli "allargamenti d'organico".

    Stabilito che le elezioni si dovevano fare, bisognava trovare un nuovo sistema elettorale, diverso dal collegio uninominale, non più rispondente alle esigenze e agl'interessi di un partito di masse a carattere nazionale, e diverso dalla rappresentanza proporzionale, sia perché la rappresentanza proporzionale é voluta dai socialisti e dai popolari e quindi dev'essere combattuta dai fascisti, sia perché sarebbe sciocco contentarsi di una rappresentanza corrispondente al numero dei consensi che si hanno nel Paese, quando si ha la forza per ottenere una rappresentanza maggiore. Anche qui perciò gli oppositori dovranno essere riconoscenti alla generosità dell'on. Mussolini che avrebbe potuto ottenere i quattro terzi dei voti e s'é accontentato della metà.

Il progetto Acerbo e il collegio nazionale

    Invece l'opposizione nostra, di risoluti proporzionalisti, al progetto Acerbo non può essere che assoluta; respinto il principio informatore, sembra inutile ogni critica aritmetica sugli articoli del progetto e si può stare ad osservare con compiacenza gli sforzi di analisi matematica ricchi di prospetti ipotetici, in cui eccellono specialmente i democratici-liberali, inarrivabili nello scoprire ogni pericolo vicino e lontano di perdere in Parlamento qualche seggio in più di quelli che ormai sono rassegnati ad abbandonare.





    La cosa meno inutile é quella di far rilevare le incongruenze fondamentali del nuovo sistema, in modo da delineare un filo conduttore per coloro che fra tante sottili critiche parziali, disperano di poter capire la ragione delle illogicità e delle sperequazioni che concordemente si lamentano. La causa di tutte le incongruenze e nel principio, nel tentativo di combinare il sistema del collegio unico col sistema del collegio regionale.

    Il collegio nazionale si giustifica come sforzo violento diretto a saldare in una sola coscienza le parti disperse della nazione; sforzo di carattere alquanto eroico che ha tutto il profumo, simpatico agli attuali governanti, delle dottrine della destra storica. Sotto questo aspetto il principio si giustifica: con una ragione; se pure estremamente lontana dalla realtà politica dell'oggi, logicamente ed astrattamente ammissibile.

    Ma la realizzazione pratica di questa concezione deve essere integrale, ossia deve porre l'elettore nella condizione di votare coscientemente per una lista nazionale, con la precostituita convinzione che l'esito della votazione nella sua regione potrà essere radicalmente contraria all'esito della elezione nel suo complesso.

    E questa convinzione non può nascere soltanto dalla lettura della legge, ma dal modo pratico in cui l'elettore é costretto a votare.

    Il sistema suppone cioè la lista unica di partito e non le liste divise per circoscrizioni; la designazione degli eletti in base ai voti di preferenza ottenuti nell'intera nazione e non in base al gioco delle preferenze nell'interno di ogni lista circoscrizionale. Suppone pure che le minoranze si stabiliscano in base ad un quoziente nazionale unico e non in base a quozienti regionali diversi, e, in un sistema maggioritario, che la scelta degli eletti di maggioranza non abbia potere di mutare la scelta degli eletti di minoranza; lo scrutinio nazionale deve scomparire. Viceversa col sistema attuale l'elettore vota con la stessa mentalità con cui voterebbe nelle elezioni regionali proporzionaliste. Il collegio nazionale non é diretto a mutare la coscienza dell'elettore, ma semplicemente il risultato numerico della elezione.





    C'é un passo della relazione al progetto che stabilisce con tutta chiarezza questo principio:

    "Il corpo elettorale deve essere interrogato nella sua forza più legittima e più serena e dare il suo chiaro e assoluto responso circa la linea di condotta che deve seguirsi nel Governo dello Stato. Quando esso abbia potuto liberamente, ma vigorasamente, nettamente così pronunciarsi, il resto diventa un complemento, al cui successo si deve assistere con ogni interesse ed ogni simpatia, ma subordinatamente alla necessità primordiale ed essenziale di costituire una minoranza capace di reggere saldamente, pertinacemente un governo". Il che, in parole povere, significa: l'elettore voti, ma non si curi di sapere a che miri il suo voto. Il suo voto non é che un mezzo, una delle migliaia di componenti chimici da cui gli alchimisti della Corte di Appello di Roma sapranno trarre i più impensati composti.

    Il distacco assoluto fra voto e risultato discende direttamente dalla istituzione di un collegio nazionale che si denomina così, senza esserlo per nulla; il sistema attuale non é che un sistema di liste regionali con doppio scrutinio; scrutinio regionale per dare all'elettore il senso della utilità del suo voto, scrutinio nazionale per sconvolgere i risultati dello scrutinio regionale.

    Questa incongruenza non rimane nei limiti di una semplice assenza di logica simmetria, perché se così fosse, la lascerei rilevare a chi ha tempo da perdere con le esigenze architettoniche delle costruzioni politiche. Essa si traduce effettivamente in sperequazioni stranissime di risultati, che sono state delineate con la più grande esattezza, nelle loro linee più importanti, dalla relazione Micheli.

La lista aperta

    Ferma la necessità di una maggioranza a priori fissata (2/3) e di una costituzione nazionale della maggioranza attraverso al semplice spoglio delle liste regionali, nasce la possibilità che, mentre in talune regioni i voti della lista prevalente sono di gran lunga inferiori alla cifra necessaria per dare occupazione a tutti i candidati della maggioranza, in altre i posti preventivamente assegnati ai vincitori non bastano per compensare adeguatamente la loro vittoria schiacciante.

    Ecco dunque un certo numero di seggi da assegnare, per i quali manca assolutamente il minimo criterio logico di assegnazione.





    Si é scelto il criterio di dare tali posti alle regioni dove la lista di maggioranza ebbe la votazione assolutamente più forte, e successivamente alle altre con somme di voti mano a mano decrescenti. Ma questo sistema é altrettanto giustificato quanto quello di assegnare tali posti alla regione del cielo più azzurro, e della natalità più alta: perché il maggior numero di voti ottenuto in linea assoluta dalla lista vittoriosa in una regione significa soltanto, che in tal regione la popolazione è più numerosa, o maggiore fu l'affluenza alle urne, non già che in essa la maggioranza nazionale ebbe la prevalenza.

    Il difetto del sistema si rivela più grave nelle sue conseguenze rispetto alle minoranze; perché in quelle regioni a cui fu assegnato, col criterio della superiorità assoluta di voti, un certo numero di deputati che erano in soprannumero in altre regioni, vedrà ridotta di altrettanto la quantità dei propri posti di minoranza.

    Onde la conseguenza che una regione in cui l'affluenza alle urne sia stata molto grande, ed in cui le liste di minoranza abbiano avuto la prevalenza, avrà come premio un maggior numero di posti di maggioranza, ossia il disconoscimento della sua volontà manifestata con un volonteroso accorrere al voto.

    Il principio affermato con tanta chiarezza dalla relazione si può dunque tradurre così: l'elettore voti nell'ambito ristretto della regione. Penserà il sistema nazionale di scrutinio, a lui del tutto estraneo, a capovolgere convenientemente gli effetti logici del voto.

    L'espressione aritmetica più caratteristica di tale sistema sta nella differenza che viene a stabilirsi fra i quozienti nazionali applicati alle diverse regioni: fra di esse, quelle che non avranno potuto eleggere un numero di candidati di maggioranza proporzionale al numero dei voti dati effettivamente alla lista prevalente, avranno effettivamente eletto i deputati con un quoziente maggiore del quoziente nazionale apparente; le regioni invece avranno avuto dalle prime il non sempre gradito regalo di un gruppo di deputati di maggioranza, si troveranno ad eleggere i deputati di maggioranza con un quoziente minore del quoziente regionale ben maggiore di quello che si sarebbe avuto, ove non si fosse verificata la intrusione di eletti di altre circoscrizioni.





La lista rigida

    Ed é veramente curioso osservare come la Commissione, con l'emendamento proposto, riesca a peggiorarne le conseguenze.

    Con l'emendamento, le liste nazionali non possono contenere un numero di candidati maggiore dei 2/3 dei seggi. Cosicché tutti i candidati della lista prevalente sono senz'altro eletti: e la suddivisione dei posti fra le liste regionali si fa meccanicamente, in ogni circoscrizione proclamando eletti tutti i candidati della maggioranza nazionale. Si evita in tal modo il difetto dello spostamento di eletti dall'una regione all'altra, e la riduzione delle minoranze che ne consegue nelle regioni che devono assorbire candidati per effetto dei voti altrove ottenuti.

    Ma in compenso indistintamente tutte le regioni, pur avendo votato separatamente e pur avendo avuto un proprio scrutinio, avranno una minoranza fissa indipendente dalla effettiva composizione dei loro partiti. Col progetto Acerbo questo difetto era più stridente nelle regioni soggette a trapasso di posti, ma, nei limiti del sistema maggioritario, scompariva nelle regioni cui il trapasso non toccava.

    Con l'emendamento si realizza in apparenza più compiutamente il collegio nazionale; quel collegio nazionale però, che consiste soltanto nel far votare l'elettore in un modo, per presentargli poi un risultato del tutto diverso e insospettato.

    In realtà, non si fa che acuire la contraddizione fra il modo di votazione (che é poi per la media degli elettori, la sola forma concreta di comprensione del sistema elettorale e dei suoi scopi), e il suo risultato. Alla contraddizione parziale e casuale si sostituisce la contraddizione sistematica.

    Questo consolante risultato é stato ottenuto, come é noto, per la poca fiducia dei liberali di destra nella libertà effettiva del voto: temendo essi che, presentandosi in lista insieme ai carissimi amici fascisti, questi riuscissero con mezzi persuasivi a relegarli fra gli scartati, con una sapiente distribuzione dei voti di preferenza.

    La lista rigida dei due terzi sopprime queste paure: e tanto basta, nulla importando a questi purissimi liberali che con ciò si peggiori il modo di espressione della volontà comune.

Relativismo opportunista

    Il profumo di destra storica si perde dunque completamente e rimane l'odore comune a tutte le cucine elettorali, ove si cerca di trasformare il più possibile la manifestazione di volontà del corpo elettorale, dando ad essa delle risultanti assolutamente inaspettate.

    Ma mentre di solito, i politici saggi creano l'anomalia delle risultanze col metodo di esecuzione delle elezioni, i politici nuovissimi, seguendo gli antichi metodi, non faranno che realizzare un principio salito alla consacrazione legislativa; per essi, il distacco fra volontà ed espressione parlamentare della volontà, da sistema pratico teoricamente sconfessato, diventerà sistema teorico proclamato.





    Non c'é nulla di più politicamente ingenuo di questa professione di opportunismo, ammantato di dottrina alla buona, che la relazione si compiace di mettere in evidenza.

    "Tutti i pubblici istituti, specialmente le leggi elettorali, non sorsero nelle menti dei legislatori per ispirazione o teoremi, bensì per rispondere alla necessità dei tempi".

    Rispunta il relativismo politico che Mussolini affermò, desumendolo agilmente dalle correnti filosofiche moderne concentrate in articoli tilgheriani.

    Con lo stesso principio il fascismo, erede in ciò del nazionalismo, credette di poter far servire come pedina nel suo semplice gioco l'autorità della chiesa, per i suoi fini di politica interna, ma non sembra abbia avuto troppo successo, e ancora amaramente se ne cruccia.

    L'opportunismo politico sistematizzato dall'uomo di governo si traduce in una confessione di incapacità a comprendere le esigenze, sia pure momentanee e passionali, della maggioranza, che le minoranze debbono appunto seguire indirizzandole insensibilmente ai loro fini secondo una linea di condotta complessa e duratura.

     Giolitti, simbolo dell'opportunismo, non può che sorridere di queste teorizzazioni, né si é mai sognato di giustificare con ragioni di opportunità l'istituzione del suffragio universale.

Per l'allegria degli italiani

    Fra due constatazioni dubbiamente elogiative, di una affermazione teorica presuntuosa e non realizzata, e di un principio machiavellico nel senso più vano della parola, troppo grave può apparire la mia critica al progetto Acerbo, e forse anche preconcetta, per quanto si tratti di constatazioni facili, per le quali non occorre che una certa attenzione paziente.

    Ma non voglio togliere alla politica elettorale fascista i suoi meriti, e debbo riconoscere che una certa abilità si deve riconoscere agli ideatori del progetto, se essi hanno saputo, accordando la proporzionale per le minoranze, di creare una sicura salvaguardia per le aspirazioni di tranquillità dell'energetico governo attuale.





    Stabilito il sistema maggioritario, ossia ottenuta la realizzazione più perfetta della Camera come Consulta Aulica e, se si vuole, come Consiglio Comunale, la logica del sistema imporrebbe l'applicazione della minoranza unica.

    La Camera con una maggioranza salda e formata é la più adatta per la semplice e tranquilla discussione dei problemi tecnici; in tal modo essa muore come consesso politico e le sue funzioni consultive in tanto possono essere svolte con efficacia, in quanto la sua composizione é quanto possibile organica e semplice.

    Una minoranza compatta in tal caso può avere una influenza moderatrice ed ammonitrice, una minoranza frazionata e ricca di elementi contrastanti si perderà nelle schermaglie interne dimenticando la sua funzione di carattere amministrativo.

    La proporzionale alle minoranze significa perciò il mantenimento del parlamentarismo nella sua esteriorità: lotta accanita di gruppi che perdono totalmente, nel logorio dei battibecchi quotidiani, la visione dei problemi generali. Ma da questi sterili tornei non essendo più possibile il nascere di alcun effetto politico, si ottiene un parlamento morto, che si agita, coprendo con la sua maschera una consulta nevrastenica.

    Non c'é dubbio che con tal mezzo il progetto Acerbo ha garantito come meglio non poteva quella sicurezza alle spalle, che é il voto supremo di S. E. Mussolini.

    Ed in ciò gli ottimi liberali hanno aiutato l'innocente desiderio di quiete del Ministero, appunto con l'emendamento della lista rigida, la quale eviterà al Governo ogni preoccupazione sulla riuscita dei suoi prediletti nella lista di maggioranza, e gli permetterà di curare amorevolmente, con i mezzi più confacenti, la minoranza più simpatica. Questa dovrebbe avere, se veramente l'abilità del progettista non si vuole smentire, un colore estremamente battagliero ed una tattica avanguardista: maggior subbuglio essa sarà per creare nel futuro consesso, più gradita sarà agli italiani la illusione di avere una Camera come le altre, con tutte le sue sedute emozionanti e ricche di invettive e di clamori.

    A questo patto, gli italiani potranno tranquillamente perdonare al volonteroso progettista le miserie delle contraddizioni e degli assurdi aritmetici, di fronte al merito di avere conservato quella linea coloristica movimentata, che é uno dei beni più cari cui possa aspirare un popolo così sensibile alle sfumature spirituali, come il nostro ottimo popolo.

AGRICOLA.