LA PROPORZIONALE IN ITALIA
NEL DOPO-GUERRAI.Brescia, 23-VII-23.Caro Gobetti, Tra un interrogatorio e uno scrutinio, tra una dettatura di medie e una correzione di compiti io sono pur andato ripensando alla proporzionale, ma, che vuoi che ti dica?, neanche questa volta sono riuscito a riscaldarmi intorno a tale questione. A me succede per le elezioni come per l'insegnamento : nelle questioni scolastiche non son mai riuscito a pigliar sul serio le "riforme scolastiche", e sempre ho preso sul serio le questioni didattiche, il modo d'insegnare: così nelle questioni elettorali i problemi vasti, generici (suffragio universale, proporzionale, voto alle donne) non mi hanno mai interessato, mentre invece, qualche volta, ho preso gusto alla "lotta elettorale" intesa come occasione e pretesto di discutere problemi concreti in presenza di pubblico e in contradditorio con avversari, cioè come occasione di "propaganda di idee", cioè come occasione di "insegnamento". Vedi che con una mentalità cosiffatta, io, per natura, son condannato a restar indifferente di fronte a dibattiti generici sui metodi elettorali, e a pigliar invece moltissimo gusto alle giostre elettorali. Nel caso particolare poi, quando penso all'uso che gli Italiani come elettori e come eletti han fatto della proporzionale, mi viene sempre in mente quel che si disse all'estero dell'uso che noi, nel '66, a Lissa si fece, o non si fece, delle nostre modernissime navi da guerra; "dei bambini messi a cavallo di bei cavalloni vivi e veri"; il bambino, issato là sopra, tira da una parte il cavallo va dall'altra, lo vuol far andare il cavallo si ferma, lo vuol fermare e l'animale va. E così é stato della proporzionale: era una riforma fatta per porre le elezioni sulla base di programmi concreti e di questioni tecniche precise e invece da noi le piattaforme furono: antiguerra, antisocialismo, antifascismo e così via; era una riforma fatta per sostituire il partito alle persone e invece dappertutto le elezioni furon fatte pro e contro dei nomi; era una riforma fatta per sostituire al campanile la provincia o la regione e dappertutto invece dove la lotta fu un po' calda l'interesse provenne sempre dall'amore per un borgo e dall'odio per l'altro. Questo per gli elettori. Quanto agli eletti non seppero neanche loro far muovere il cavallone; che in un solo periodo mostrarono di orientarsi e di saper lavorare: quando le arti e il prestigio di Giolitti ristabilirono anche alla Camera le condizioni delle assemblee di anteguerra, cioè quando ci si formò, o bene o male, una maggioranza personale (uninominale). La proporzionale, nei due esperimenti fatti, ha però dimostrato lampante una cosa: che con questo sistema il Governo non può più fare le elezioni. Bellissima cosa in teoria, e tale che basterebbe da sola a cattivare alla proporzionale le simpatie dei liberali. Ma quando si viene all'Italia e agli Italiani, siamo di nuovo là alla favola del bambino e del cavallone; che cosa ne ha fatto di questa libertà l'Italiano elettore? che cosa ne ha fatto l'Italiano eletto? gli elettori han provveduto loro a sostituirsi al governo nel sopprimere codesta libertà; io ricordo che nelle due elezioni del '19 e del '21, nello stesso locale, sono stato nel '19 minacciato di legnate dai socialisti, due anni dopo effettivamente bastonato dai fascisti; quanto agli eletti, la Camera del '19 non ebbe pace, come si é visto, finché non ebbe abdicato alla sua libertà nelle mani di Giolitti; e quella del '21 si disponeva a far lo stesso, quando intervenne don Sturzo, il solo che sapesse cos'é proporzionale, e silurò el vecio. Ma da allora la barcaccia sbandò sempre più, finché nell'ottobre del '22 si capovolse come ognuno ricorda, e si vide in quell'occasione che "al governo" c'era ben altra gente da quella che la Camera aveva presunto di preporre a sé e al paese. In queste condizioni, credi tu che proprio valga la pena di tanto arrabattarsi per conservare a questo disgraziato paese "il cavallone" della proporzionale? Ma forse, pensandoci, ne vale la pena, si. Le navi corazzate, che nel '66 si fecero "fregare" dalle fregate di legno di Tegethoff, non é mica detto che non sian venute buone più tardi anche a noi, e che anche noi non si sia riusciti a farle andare con una certa abilità e disinvoltura; ma poi, c'é dell'altro. Codeste del voto, del suffragio universale, della proporzionale ecc. sono, come si suol dire, delle "conquiste" : una volta che ce le han date, guai a chi le tocca; scaldarsi tanto per averle, forse non é il caso, una volta avutele bisogna ad ogni costo difenderle. È lo stesso che per l'istituto della giuria: se ne può ridere, si può dire che é una cosa spesso grottesca, ma se domani qualcuno ce lo volesse togliere, tutti si dovrebbe saltar su, e si salterebbe su di fatto, a difenderlo: e se non lo si facesse i nostri vecchi avrebbero diritto di dirci dal loro Elisio, o Tartaro, che noi siamo degli impotenti appetto o loro. Per cui: difendere la "conquista" della proporzionale. Anzi "conquistare la conquista". Perché é successo anche qui il solito curioso fatto della storia d'Italia, della conquista scandalosamente facile e incruenta di "posizioni" che parevano imprendibili: unità, libertà, indipendenza, abbattimento del potere temporale prima, e poi suffragio universale, otto ore, proporzionale ecc.; é quel che diceva una volta Gino Luzzato in R. L., tutta roba che altrove ci son voluti secoli di lotte e fiumi di sangue per averla e noi, plif, plaf, come pere mature che ci cascan in bocca da sé, o come doni graziosi di qualche padre eterno. Si a tutta prima pare, così ma poi... per l'unità e per l'indipendenza, che ci pareva di averle avute così a buon patto, il conto la storia ce l'ha presentato nel '15 e abbiam finito di pagarlo nel novembre del '18; per la libertà stiamo battagliando ancora adesso e la battaglia ci costa ora ben più morti che non sian quelli dello Spielberg, e di Belfiore ecc., e non sappiamo quando e come sarà finita. E così, nel suo piccolo, avviene per la proporzionale: l'abbiamo avuta per una cicca, senza che proprio la volessimo, ad ogni modo senza che ce la fossimo meritata; adesso entra in funzione la solita nemesi, ce la vogliono ritogliere, ce la ritoglieranno. E tocca a noi, anche qui, difendere la conquista, anzi, come dicevo, "riconquistar la conquista". Era questo, naturalmente, il compito dei liberali; e anche qui, naturalmente, i liberali sedicenti non daranno battaglia altro che per difender le commende, le posizioni, e per assicurarsi il posto nel listone; e anche qui il posto dei liberali è preso dai "popolari" o, meglio, da don Sturzo e dalla sua pattuglia. E tu che cosa ne dici? Tu pensi all'ascesi delle classi popolari? Per ora addio. TUO MONTI.
II.Si può pensare una questione politica (politica davvero e non passatempo di dilettanti) che sia soltanto questione di forma? Certo un italiano avvezzo alla diplomazia, agli inganni e alle questioni di metrica, rimarrà sconcertato a dare una risposta negativa alla domanda; ma la sua incertezza riesce il migliore argomento per la nostra polemica. Potremo ridere in Italia del diritto costituzionale, perché non siamo riusciti a creare una costituzione. Ma il sistema elettorale riesce sempre una prova delle capacità organiche d'un popolo, se questi non preferisce considerarlo come un espediente per scegliersi pacificamente un tiranno. Il collegio uninominale fu il sistema ideale per un paese (l'Inghilterra) che aveva rinunciato al feudalismo per garantirsi contro un sovrano statolatra; é ancora economicamente e politicamente una forma feudale, presuppone il voto limitato e l'esistenza d'una classe aristocratica, si adatta a un tipo di vita tradizionale e sedentaria, esente dallo spirito d'avventura; riesce l'ideale più accessibile ai contadini, alieni dal partecipare alla vita dello Stato, paghi di eleggere il deputato, incapaci di controllarlo. Dove il deputato non può parlare in nome dei suoi interessi di feudatario la tendenza del collegio uninominale si esprime nella formazione di una classe di politici, facili a degenerare in una pratica di politicantismo parassitario. Questo processo si ebbe, in forme alquanto demagogiche, in Italia, dove gli interessi agrari non riuscirono a stabilizzarsi, e l'istinto retorico trasformò il rappresentante nel tribuno, con grande consolazione di V. E. Orlando. Così stando le cose la rappresentanza proporzionale parve segnare giustamente in Italia il periodo in cui la vita unitaria si sarebbe imposta alfine, dopo il tormento della guerra e dell'ascensione socialista, con una fisionomia di serietà etica e politica. Se ne fece banditore il partito popolare che parve appunto inaugurare in Italia, nella misura concessa agli italiani, una rivoluzione di carattere protestante sia per la sua etica cristianoliberale, sia per lo spirito laico e cavouriano con cui guarda il clericalismo (parliamo del popolarismo di Sturzo e di Donati). Non si deve dire dunque che la rappresentanza proporzionale abbia avuto il merito di funzionare come strumento di conservazione per evitare la rivoluzione comunista (questione assai difficile a risolversi in un senso piuttosto che nell'opposto). L'utilità della proporzionale consistette invece nel creare le condizioni della lotta politica e del normale svolgimento dell'opera dei partiti. A questo concetto vogliamo dare dei riferimenti alquanto diversi dai consueti. Il dopoguerra fu un fenomeno di dissolvimento dei costumi e di ogni serietà ideologica: le condizioni generali vi sono assai analoghe a quelle dell'Europa di Lutero, fortemente favorevoli a un movimento di carattere religioso nel senso di una riforma cristiana del cattolicismo. Il sintomo più importante di queste esigenze non sono i vari episodi mistici o confessionali (Papini, Manacorda, Zanfrognini, Conscientìa), ma il tentativo di Sturzo che ha appunto la serietà di un largo movimento sociale. La proporzionale diede a queste voci i mezzi per agire nel terreno nazionale, per presentarsi come programmi e proporre delle discipline. La democrazia trovava la sua atmosfera liberale: la proporzionale obbliga i singoli a battersi per un'idea, vuole che gli interessi si organizzino, che l'economia sia elaborata dalla politica. Uno dei più forti segni di disgregamento nel dopo-guerra non fu la lotta di classe, ma il pericolo che le classi si spezzassero egoisticamente in categorie; che gli interessi vincessero le idee, che il corporativismo si sostituisse ai costumi di lotta sindacale rivoluzionaria insegnata da Marx e da Sorel. Il pericolo - anche se nessuno l'ha visto - stava nelle rappresentanze professionali concetto che fu caro a tutti gli intellettuali disoccupati da R. Murri a Rossoni. Solo la proporzionale ebbe la virtù per qualche anno di utilizzare queste forze disgregatrici obbligandole a trasportare i loro interessi nel campo politico, dove naturalmente son tratte a coordinarsi rinunciando al loro esclusivismo proprio quanto più ciascuno lo afferma e lo difende. Il fascismo dovette sconvolgere, per vincere, i risultati liberali conservatori di due esperimenti proporzionalisti e oppose all'esercito degli elettori bande di schiavi pronte a rinunciare ai diritti politici e alla serietà morale per uno stipendio. Il loro istinto di padroni guida assai precisamente i fascisti nella lotta contro la proporzionale. Ora codesti padroni sono tanto più curiosi in quanto ci vogliono presentare i loro stratagemmi di volgare restaurazione come scoperte futuriste. La critica alla proporzionale perché non rende possibile un governo di maggioranza é futurista proprio come le scoperte marinettiane di forme d'arte alessandrine. L'importanza dell'opera moralizzatrice della proporzionale si riconobbe appunto, negli esperimenti italiani, nella sua attitudine a liquidare i governi di maggioranza. Dove prevale senza incertezze una maggioranza si ha nient'altro che un'oligarchia larvata. La formazione elettorale della maggioranza di governo é poi sempre un risultato di transazioni e di equivoci (ricordare il patto Gentiloni); l'arma del ricatto diventa il sistema con cui il tiranno può asservire ai suoi istinti gli eserciti delle democrazie votanti. La vita moderna si nutre di antitesi e di contrasti non riducibili a schemi; i blocchi e le concentrazioni sono il sistema del semplicismo in cerca di unanimità; la logica della vita politica si riposa nella varietà e nel dissenso, il governo ne sorge per un processo dialettico diversamente atteggiato a seconda delle diverse azioni di tutti i partiti. La proporzionale é riuscita a creare le condizioni di vita per un governo di coalizione (valorizzato dall'influenza dei partiti che vi collaborano anche quando si contrastano), eliminando ogni possibilità di patti Gentiloni. L'Italia di Nitti dovrà rimanere per questo aspetto, a parte ogni critica che si può muovere alla figura del ministro, un ideale vanamente vagheggiato e risperato di onestà e di educazione politica. Era un'Italia con uno stile di nazione europea. La presenza del Partito Popolare fu quasi sempre un coefficiente di serietà o almeno di volontà politica, anche se talvolta prevalsero abitudini provinciali o clericali. In quel periodo torbido e difficile fu la proporzionale che aiutò con chiarezza i governi a salvare il paese: ci fu dato il primo esempio della capacità degli italiani a vivere in un regime di democrazia moderna; fuori di quell'esperimento non ci rimase altra alternativa che il Medio Evo di Mussolini. PIERO GOBETTI.
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