O LA PROPORZIONALE O IL
POLIZZINO DEL PARROCO

    Ho voluto, per scrupolo, seguire il consiglio di Gobetti, e rileggere certi articoli dell'Unità del 1919 per riattaccarvi questa nostra difesa della proporzionale di oggi.

    Disastro. Mai così chiaro mi è venuto in mente questo: tutto il regime unitario, dal '60 in poi, è il regime della noia. Più un Ministro fu tale da essere dichiarato grande da noi "quattro malinconici", più fu noioso per l'immensa maggioranza degli italiani. Pare di assistere alla lotta di un comitato di pedanti, di una setta di pedagoghi, contro tutto un popolo che vuole mettersi un po' la camicia nera, un po' la camicia rossa. È difficile trovare in un paese moderno tre uomini di atteggiamento pedagogico così pronunciato come Giustino Fortunato, Salvemini, Einaudi. La loro sola presenza è una provocazione per il buon popolo.

    Nel 1919, i pedanti e i pedagoghi che sostenevano la proporzionale si preoccupavano: o della "giustizia" nella distribuzione dei seggi alla Camera, o del migliore reclutamento del personale parlamentare. Qualcuno polemizzando contro l'on. Orlando (il quale aveva dichiarato che si trattava di una semplice "questione di opportunità"), si compiaceva di presentare la proporzionale come l'inizio del regime di democrazia diretta, cui sarebbero necessariamente seguiti gli istituti del mandato revocabile, della opposizione locale, del referendum.

    Nessuno si preoccupava della fatica - fatica di serietà, fatica di passione, fatica di disciplina, - che la riforma imponeva al buon popolo. Il disegno di quei valentuomini era chiarissimo. Essi volevano togliere al povero popolo anche l'ultimo rimasuglio di regime borbonico: le grandi sagre elettorali, la possibilità di votare per qualunque emulo del Deputé d'Arçis o dell'Onorevole de Campodarsego, le luminarie nel capoluogo del collegio, sopratutto il diritto di essere ministeriali nati, di votare per De Bellis, di offrire pranzi trionfali a Facta, di farsi bastonare dai mazzieri. Ora, a tutti i diritti rinunceranno gli italiani, fuorché a quello di essere lazzaroni: e la setta dei pedagoghi volle togliere a loro l'ultima forma di lazzaronismo pittoresco: quello elettorale. Il suffragio universale e la proporzionale furono - anche in questo - il coronamento degno di un colossale sforzo per fondare il regime della noia. Credete che queste siano cose che un popolo se le dimentica?





L'Orrore per la "macchina" dei partiti

    Il grande partito moderno ha fatto paura ai borghesi italiani. Il tono con cui il Senatore Albertini parla sul Corriere dei "grandi partiti di masse" è deliziosamente provinciale, stile Italietta di Umberto I. I partiti di masse - cioè i partiti, tout bonnement, perché i partiti senza masse esistono solo sulle intestazioni della carta da lettere - sembrano, attraverso le obiurgazioni del Corriere, dei Leviatani crudeli, che stritolano il cittadino "che possiede un po' di senso critico" (e lo dimostra leggendo fedelmente il Corriere).

    Questo orrore è in realtà diffusissimo. L'esistenza di una "macchina" del partito, l'autorità di un personaggio extra-parlamentare che, in qualità di Segretario può porre dei veti ad una combinazione ministeriale, l'esistenza dei "quadri" di organizzatori e di propagandisti di professione, tutti questi fatti assolutamente normali e correnti in Nord America o in Germania, hanno suscitato fra gli "honoratiores", gli "ottimati" e i "capaci" italiani scandalo infinito. Si sarebbe detto, a sentire certe loro lamentazioni, che davvero il regime delle democrazie parlamentari sia quello dove il cittadino, prima di andare a votare "per riconoscere il più capace" fa coscienziosamente il suo giro nei comizi elettorali, pesa e soppesa i meriti dei candidati, e dopo una saggia meditazione, dà il voto. Questa è roba da libri di lettura: oppure è roba dei tempi, in cui la scheda si chiamava "viglietto" o "bullettino di voto", e lo scrutinio si chiamava "squittinio". Oggi, nelle grandi democrazie straniere, le "macchine" elettorali dei partiti hanno una rigidità, le campagne si fanno con una propaganda tambureggiante di cui, noi, in Italia, abbiamo appena avuto i primi saggi. Io non vi do esempi: andateveli a cercare in Ostrogorsky o in Max Weber.

    Anzi, andateveli a cercare nella vita della Germania moderna, dove assolutamente nessuno è scandalizzato per l'autorità dispotica, entro e fuori il Reichstag o i Landtag, delle varie Parteivorstand, o Direzioni generali dei partiti. La Germania si incammina a diventare la più grande democrazia moderna, appunto per questo: che una percentuale fortissima di cittadini tedeschi è inquadrata in vasti partiti, che portano in sé la democrazia anche quando la negano, che sono, per la loro organizzazione, una educazione alla democrazia anche quando inseriscono nel loro programma la guerra alla repubblica di Ebert. La socialdemocrazia ha fatto scuola, nei sistemi di arruolamento e in tutto il resto.

    Per quanto riguarda l'azione parlamentare dei partiti, ogni crisi ministeriale del Reich o di uno stato federale si svolge precisamente con quegli interventi diretti delle Direzioni dei Partiti, che in Italia sono sembrate orrori. Io ho seguito da vicino a due crisi prussiane, quella del gabinetto Stegerwald e del gabinetto Severing: nessuno, vi assicuro, sentiva per i veti delle Direzioni dei Partiti quel vomito, che il Senatore Albertini ha provato per la combinazione Giolitti (estate 1921): così forte, che non se n'è ancora rimesso adesso. Tenete dietro alle cronache dell'ultima crisi del gabinetto Sassone, combattuta a colpi di ordini del giorno e di mozioni da parte delle Direzioni dei Partiti, e troverete le più recenti conferme di questo fatto: la vita politica delle democrazie moderne è dominata dalla "macchina" del partito, che fa in basso la coscrizione degli elettori, sceglie i suoi mandatari in parlamento, li dirige attraverso il gruppo parlamentare, li infrena con la neutralità del mandato, e li impiega talora come ministri, in un gabinetto che è - sempre - di coalizione.





Il dispiacere di non poter essere ministeriali

    L'orrore contro la "macchina" dei partiti era solo un episodio, nell'angustia più grande, più plebea degli italiani: quella di non possedere i candidati ministeriali. Il congegno della proporzionale ammette certo gli interventi delle prefetture, ma non così efficaci e squisiti come il collegio uninominale e il fatto che la proporzionale era discretamente sincera, senza premi per le maggioranze, toglieva modo al governo di formare liste dichiaratamente ministeriali, perché molti candidati preferivano correre l'alea per conto loro: facevan certi lor calcoli, e concludevano sempre: "No, no, è meglio che si facciano due o tre liste, democratiche, liberali, àncora, bandiera, ecc.: c'è più probabilità".

    Ma il buon popolo restava sconcertato da questa mancanza di candidati ministeriali, designati con le debite forme dalle prefettura. L'assenteismo del 1919 è derivato principalmente da questa cosa mostruosa. Non si sapeva quali liste appoggiasse Nitti! Le prime elezioni libere, dalla costituzione del regno in poi, sono state perciò marcate di infamia. Non si perdonò a Nitti di non aver "fatto" le elezioni. Ohibò! Nel 1921, seconda prova, i Blocchi Nazionali hanno cercato di rimediare alla deficienza organica della legge: ma sempre c'erano dei ministeriali "extra moenia", i popolari, i Combattenti, gli autonomi. Il ministerialismo si presentava con bolli diversi, ancora: e gli italiani ne erano disgustati.

    La volontà del popolo italiano, il faut la solliciter, come il vecchio Rénan diceva che bisogna fare coi testi. Guai ai ministri che lo dimenticano!





I due aspetti della ribellione
Collegio uninominale e sagre

    Il suffragio universale e la proporzionale, insieme combinati, tendevano a sottoporre gli italiani al regime della democrazia diretta e dei partiti: regime non lazzaronesco, non allegro, non provinciale, non patriarcale e non buon compagnone. Esso ha pesato sugli italiani. Di quì la ribellione.

    Ribellione che assume due aspetti.

    Il primo è quello della nostalgia per il suffragio ristretto (p. e. Albertini) e per il collegio uninominale (p. e. Orlando): uno e l'altro intesi come strumenti del governo paterno. Il collegio uninominale, in particolar modo, ha avuto l'omaggio di infiniti rimpianti. Tutti i borghesi "dotati di spirito critico", spaventati dalle macchine dei partiti, hanno rimpianto Giolitti, che procedeva caso per caso nella sua politica elettorale, dava talvolta delle indicazioni palesi, delle patenti di ministerialismo: tal'altra permetteva la coquetterie di una blanda opposizione di principio (!), concedeva loro, passista della politica, la dilettazione elettorale: cioè accordava il massimo delle loro richieste. Anche con Giolitti, tutti gli italiani soddisfacevano, in fondo, il loro desiderio di essere ministeriali: ma con la foglia di fico. Oggi, molti dei critici del progetto Acerbo, sono critici appunto per questo: che la listona dei 356 nomi vuol dire il ministerialismo pacchiano, svergognato, senza foglia di fico; e così, veramente, non istà bene. Qui si esauriscano tutte le ragioni della loro critica: la cui miseria è espressa dalle frasi correnti che l'on. Mussolini deve mantenersi sul terreno della legalità, che la loro critica vuole essere collaboratrice, ecc.

    Il secondo aspetto è costituito dalla affluenza alle sagre, alle baldorie settimanali, fiorenti a cura del governo in tutte le regioni d'Italia. La dimostrazione in piazza la si fa e la si intende come uno strumento di regime plebiscitario, infinitamente più divertente, più buon compagnone del monotono suffragio universale complicato con la proporzionale. Ogni sagra è una protesta contro l'esistenza di partiti diversi e contrastanti, è una specie di sciopero dalla lotta politica, è una vacanza. Anzi, tutto il regime plebiscitario è una allegra vacanza, una rivincita contro la setta dei pedagoghi, contro il regno della noia, contro il suffragio universale e la proporzionale che ne sono state il coronamento.

    La ribellione al suffragio e alla proporzionale si risolve in una nostalgia di governo paterno e di regime plebiscitario, variamente combinati, e in cui tutti si trovano d'accordo: demiurghi della politica casalinga e folle imbonite dal sole.





Il progetto Acerbo e il
ministerialismo di Michelaccio

    Il progetto Acerbo tiene ben conto di questo umore da Michelaccio. Esso dice in sostanza agli elettori: "Ecco qui una lista di 356 nomi. Voi ci trovate dentro uomini che conoscete, della vostra provincia: non dovete preoccuparvi di programmi, di partiti, di niente. Sono tutti amici del governo, e tanto basta. Votate questa lista, e per tre o quattro anni non vi seccheremo più". Discorso cui gli italiani non sanno resistere.

    Il carattere della riforma è appunto questo: la ricomparsa trionfante dei candidati ministeriali. Grazie al premio e superpremio della lista di maggioranza, il governo potrà arruolare un cospicuo numero di candidati dichiaratamente ministeriali. Bollati e autenticati come ministeriali. Messi in riga, tutti e 356, con un cartellino come quello degli orbi, alla porta delle chiese: "Ministeriale". E sotto la firma del medico e la marca da bollo. Gli italiani volevano questo. Adesso, col progetto Acerbo, non più le confusioni del '19 e del '21. Il ministerialismo ha un bollettino unico e ufficiale, suddiviso in tante ruote, proprio come le estrazioni del gioco del lotto. Finalmente!

    La riforma restituisce agli italiani il modo di fare il proprio dovere elettorale "tuto, cito, iucunde". La liberazione è innegabile. Vantaggi per i candidati: dispensa dall'arruolamento in un partito, e delle conseguenti noie: (omaggi - sia pure di maniera -a un programma, ecc.) dispensa dal ripiego, altrimenti inevitabile, di fondare un nuovo partito o movimento o lega, con sezioni in tutto un vasto collegio (Partito Lavorista, del Lavoro, dei Contadini, Combattenti, Autonomi, ecc.). Un arruolamento solo, definitivo: quello nella maggioranza. Vantaggi per gli elettori: Nessuna adesione -neppure formale e d'occasione - a un partito: nessun sforzo, sia pure appena rudimentale, per scegliere fra le varie concezioni dello stato e della politica implicite nei vari partiti: i programmi alla spazzatura, in omaggio alla "spregiudicatezza" e al "buon senso" degli italiani.

    Contrariamente alle insinuazioni degli oppositori, il nuovo sistema elettorale non è affatto complicato. Tutti i suoi computi di quozienti nazionali e regionali potranno renderlo complicato per i Consiglieri della Corte di Appello di Roma: ma il fatto che c'è una lista ministeriale, lo rende semplicissimo per tutti gli elettori del regno.

    Michelaccio è contento.





Le fratocchierie democratiche
e il vivaio dei miliardi

    Sotto la macchina del partito, sotto il controllo delle direzioni e tutte le brutalità dell'arruolamento reclamistico, c'è un elemento essenziale: ed è la volontarietà -vera o supposta - dell'iscrizione e della permanenza nel partito. Quando i borghesi "dotati di spirito critico" fanno smorfie di disprezzo per il "bestiame elettorale", dei partiti di masse, non si avveggono che questo bestiame ha una superiorità etica immensa su di essi, perché ha la convinzione di aver aderito volontariamente a un programma di rigenerazione del mondo, ad una grande federazione dei dolori e delle speranze.

    Questa adesione volontaria di migliaia e migliaia di illusi da propagande evangeliche o di ubriacati da discorsi incendiari a un "programma", è l'atto di nascita di altrettante migliaia di cittadini. Nessuna adesione al governo paterno, nessuna adesione al regime plebiscitario avranno questo intimo, nobile suggello della volontarietà, dato solo dal partito. Un governo paterno o un regime plebiscitario potranno addurre a loro trionfo folle di dimostranti o interminabili cifre di scrutini elettorali: ma quelle folle, quelle cifre sono semplicemente un risultato meccanico di certi artifizi di governo: non decidono niente, non provano niente, sopratutto non sono in nessun modo la decisione di alcuna lotta, la affermazione di alcuna conquista. Sono un risultato meccanico: non una modificazione organica. Venuti meno, per vecchiezza o per esaurimento degli artefici, quegli artifizi di governo, le folle ricadono al punto di partenza, le cifre si scompongono nei vecchi fattori delle vecchie frazioni.

    Il governo paterno e il regime plebiscitario sono fratocchierie democratiche. E' perfettamente possibile combinare i due "aurei libretti", i Doveri dell'Uomo e il Contratto Sociale, con il metodo giolittiano o con il metodo mussoliniano di reggere l'Italia. Non c'è nessuna contraddizione.

    Ma noi non siamo per la democrazia che si riassume nell'eguaglianza dei diritti, dei doveri e della puzza di piedi. Non circondiamo di nessun timore riverenziale la onesta povertà dei filosofi o degli apostoli. In America, il povero diavolo, quando gli puzzano i piedi, non fa mica un discorso sul sacro lavoro umano: no, no, se ne va spontaneamente nel vagone riservato ai sudicioni. La democrazia moderna è un vivaio di milionari che si appassionano alle controversie dei Christian Scientists e delle sette del New-Thought. Riconoscimento a tutti, anche ai poveri diavoli, di sostenere in piena sincerità e spontaneità ciò che essi ritengono giusto, di lottare per conseguirle ciò cui si credono chiamati, di provare con diretta esperienza ciò che giace in loro, di offrire ad ognuno la possibilità di diventare dei milionari dopo essere stati dei comunisti, di diventare dei saggi dopo la sazietà della vittoria mondana. Le grandi democrazie moderne non vogliono dei bramini che "stanno al difuori dei partiti di masse", perché non sanno cosa farsene della morale di Renzo, divulgata a cura di Ettore Janni.

    I partiti, e il regime di partiti, fondati su una volontarietà - vera o supposta - di reclutamento, non si esauriscono, cari signori, nei comizi sotto il calor del sole. C'è un vigor di vita, che vi sfugge: e dove voi vedete soltanto una congiura di demagoghi in cravatta rossa, o in abito talare, noi abbiamo veduto di più: il primo esperimento -froebeliano! - di un popolo di gingillini troppo saggi, troppo senninodoro, troppo "moderati", che finalmente ebbero il coraggio di cercare l'avvenire, la fortuna, il saccheggio, quel che volete, non più nelle promesse lasciate cadere dall'alto da un candidato ministeriale, ma nella palingenesi più o meno stolta di un partito cui avevano aderito volontariamente. Noi siamo stati per il suffragio universale e per la proporzionale, perché essi costringono un numero sempre più vasto di italiani ad un atto volontario di adesione ad un partito, ad un programma, ad una di quelle che si chiamano ubriacature. Li educano a non essere più i Michelacci del ministerialismo. Noi abbiamo rivendicato, anche per gli italiani, il diritto di essere reazionari e sovversivi, socialisti e clericali, in gran numero, a larghe masse, con tutto il fervore e l'intransigenza che fermentano nella collettività dei partiti: abbiamo rivendicato agli italiani il coraggio dell'errore, dell'illusione, del fanatismo, e il loro diritto di non attendere più da un Presidente "sedentario" o da un Presidente "dinamico", da un esperto del governo paterno o del regime plebiscitario, la saggezza del ministerialismo unanime e poltrone.





La nostra difesa della proporzionale

    La nostra difesa della proporzionale si imposta così: ricerca e costruzione autonome di un ideale statale, abolizione di tutto il ridicolo "bene fatto per forza" dalle Donne Prassedi della politica casalinga, via libera alla lotta politica, appello a tutti i contrasti che gli uomini di governo poltroni chiamano, nei loro discorsi, "fastidi". La nostra difesa si inquadra in una concezione calvinistica della democrazia, che annuisce gioiosamente allo sviluppo capitalistico e alla rivolta proletaria, e si compiace se attraverso le predicazioni dei propagandisti delle "macchine" dei "partiti" attraverso l'adesione volontaristica delle masse, attraverso la lotta che ne risulta e alla delusione feconda, un numero sempre più largo di uomini potrà avvicinarsi ad attuare il grande insegnamento di Giovanni Calvino, lo spirito animatore delle democrazie guerriere e conquistatrici: che la rinuncia non é una virtù, che la ricchezza e il benessere sono le testimonianze della grazia.

    Naturalmente, non ci interessa affatto la difesa della proporzionale come sistema elettorale giusto od equo: tanto meno ci preoccupa conoscere se la riforma Acerbo contrasta o no allo Statuto, e simili. Riconosciamo che anche questi motivi vanno toccati, ma lasciamo questo compito all'on. Turati, o alla Associazione proporzionalista Milanese, e ai signori che hanno firmato la petizione proporzionalista alla Camera. Questi sforzi, a nostro avviso, sono però cachettici. Chi in politica parla di "giustizia" elettorale, sempre sarà ridotto al silenzio con la risposta della "necessità" del governo: e chi concepisce la proporzionale come un mezzo per assicurare l'armonia, l'ordine e la belle ordonnance dello stato, dovrà tacere dinanzi a chi gli adduce questi risultati, più facilmente raggiunti cogli espedienti del governo paterno e del regime plebiscitario.

    Noi amiamo porre la proporzionale feroce come un rimorso, dinanzi a una borghesia che crede di essere moderna perché usa l'auto e va ai circuiti internazionali (ci vanno anche i ricchi persiani, e i venezuelani!) e dinanzi a un proletariato ansioso di scontare tre anni di scomposte ma promettenti adesioni a partiti di masse, con l'accorrere festoso alle sagre elettorali, (e col ripiombare nell'attesa lazzaronesca dei benefici che un governo fatutto e svesciatutto promette loro. Si, la proporzionale è un rimorso. Questo popolo, che si vanta vincitore e modernissimo, che sogna primati industriali e guerrieri, non è stato capace di reggersi col regime dei partiti, con lo strumento della proporzionale. Non è all'altezza delle democrazie moderne, per cui la proporzionale è, e deve essere, quello che l'uso della tastiera è per la dattilografa. L'abbandono della proporzionale è una bocciatura bell'e buona del popolo italiano. E la proporzionale resta là, all'orizzonte della nostra vita politica, come un esame che non abbiamo superato e che dovremo ancora affrontare.





Dichiarazioni personali

    Ho nominato Calvino, ho arrischiato i due ardui termini di democrazia calvinista. Qualcuno potrebbe chiedermi, se proprio, col cuore, io ami i modelli di America e di Germania, se proprio mi lusinghi la concezione puritana della vita e della politica.

    Le mie preferenze non c'entrano. La proporzionale, strumento del regime dei partiti, ha dei legami ben intimi con la capacità di un popolo a sopportare l'armatura del regime di produzione capitalistico. Questa capacità si chiama Calvino e puritanesimo. Quando vedo gli italiani abbandonare lietamente la proporzionale, io mi limito a dire: Badate, voialtri non lasciate soltanto un sistema elettorale, non risolvete solo una questione di opportunità, come dice l'on. Orlando. Voi sacrificate, o gettate via, uno strumento di educazione moderna, che potrebbe, a lungo andare, avvicinarvi alle democrazie moderne, e che comunque testimonia delle vostre volontà di imitarle. Padronissimi di gettarle via, ma riconoscetene almeno il valore.

    Quanto a me, posso anche arrivare a persuadermi che il popolo italiano non può reggersi con il regime dei partiti, cioè con la proporzionale combinata con il suffragio universale. Ma allora non cercherò di tirare un pietoso velo sull'incapacità degli italiani ad essere moderni, non darò da intendere che la democrazia fiorisce sotto il governo paterno, o che il regime plebiscitario sostituisca assai vantaggiosamente il regime dei partiti. Se dovrò abbandonare le posizioni e i dati delle democrazie moderne, non mi fermerò a decantare nessuna mistificazione intermedia. Vi darò il "borbonismo" integrale, e vi dirò: questo è il regime adatto per il popolo italiano.

    Faremo insieme una revisione generale: prima di tutto, faremo un inventario del Risorgimento, e liquideremo parecchie glorie nazionali. Io sarò disposto a lavorare per la restaurazione di chi è stato cacciato ingiustamente. Vi farò l'elogio del Regno dei Lazzari. Anche questo può essere un gran regno, purché ci sia la sincerità magnanima di Re Nasone, e si sappiano valutare bene gli espedienti tecnici del governo lazzaronesco, senza fisime di modernità, senza cercare di gabbare il mondo con il collegio unico e la scheda di stato.

    Vi dò appuntamento di qui a cinquanta anni. O governerete con la proporzionale, con il suffragio, corredati dal mandato revocabile, dal referendum, e da tutti gli istrumenti della democrazia diretta e del regime dei partiti - o governerete col polizzino pasquale della Santa Confessione e della Santa Comunione, rilasciato dal parroco a fini di stato.

GIOVANNI ANSALDO.