NOTE DI POLITICA INTERNA
Il Governo fascista vuol essere la rivendicazione dei diritti dei combattenti; ma tanto l'on. De Vecchi che l’on. Mussolini non hanno ancora capito che il solo fatto dell'obbligo militare conferisce al suddito la qualità di cittadino. Dalla qualità di cittadino consegue quella di organizzato. Non è possibile (non è permessa!) a dei sudditi l'organizzazione: gli schiavi infatti, ed i servi della gleba non l'avevano, e quando l'ebbero, col Cristianesimo e colla corporazione, diventarono ipso facto cittadini. Il riconoscere poi i limiti dati dalle due realtà moderne: sindacalismo e giornalismo; è riconoscere la struttura democratica della società, e l'interdipendenza delle istituzioni civili. Contraddittorio quindi e anacronistico il tentativo di voler colpire la proporzionale, che della doppia qualità di militare e di cittadino è la genuina espressione; tentativo che può esser raffrontato a quello di De Vecchi riguardo ai mutilati. La Camera dovrebbe prendersi la sua allegra vendetta per la sistematica svalutazione e pel discorso al Senato, coll'opporsi compatta alla riforma Acerbo, molto più che in tal modo salverebbe il prestigio e lo spirito della democrazia. Bisogna lasciare al Governo fascista la responsabilità d'una tale riforma: la statistica mediante un decreto-legge, con un atto d'autorità. Così almeno si saprà che la Monarchia ha abdicato, e che la Costituzione è andata a gambe all'aria. Comunque sia, sarà una situazione chiara quella che ne conseguirà. Sapremo almeno che la volontà nazionale fissata in un libero patto tra il popolo e la dinastia, non è stata rispettata; e che un governo personale è sorto, sulle macerie di quello impersonale rappresentato dallo Stato. E sapremo anche che la dignità del cittadino è stata retrocessa all'umiltà del suddito; ma non avremo il rimorso d'essere stati dei suicidi, bensì delle vittime. D'altra parte noi siamo anche contrari alla riforma elettorale Acerbo, oltre che per delle ragioni politiche, per delle ragioni morali: quantunque noi non siamo fra quelli che confondono la morale colla politica. In questo caso però, siccome la riforma nasconde la debolezza d'un ripiego, noi crediamo di doverne denunciare l’inconsistenza politica; in quanto che, attraverso ad una manovra elettoralistica, quindi riformistica, si vogliono raggiungere obbiettivi rivoluzionari. Noi diciamo perciò ancora una volta che se il fascismo s'è mantenuto il movimento rivoluzionario che era in origine, ha il dovere di uscire dall'equivoco e di chiarire i suoi fini. Col discorso tenuto al Senato l'on. Mussolini non ha dissipato l'equivoco lamentato; nonostante la sua proclamata modestia d'aspirazioni, e fedeltà alla Monarchia. Identico dovere d'altra parte a noi pare che dovesse sentire d'avere anche la dinastia, se non vuole venir meno ai suoi doveri storici che le impongono la difesa delle libertà statutarie. Tanto il Parlamento che la Corona dovrebbero sentire che nella difesa del suffragio universale diretto sta la difesa della libertà e della Costituzione; e dovrebbero di conseguenza prendere posizione. E' il loro dovere di fronte al popolo ed alla storia. La debolezza dell'on. Mussolini consiste nell'avere un temperamento irascibile, arrabbiato; l’on. Mussolini perde l’esatta cognizione delle cose: e allora si dibatte, sbuffa e sbraita, come un epilettico. I discorsi di Padova e quello non più grave di Venezia, più il ritorno alla maniera forte minacciato nel discorso al Senato, non possono esser stimati ragionamenti pacati; non foss'altro perché sono contradditori. La slavofobia veneta non è infatti il "rinunciatarismo" ultrasforziano del discorso al Senato, e della pratica. I toni stessi sono diversi: espressione dell'interiore dualismo dell'on. Mussolini. L'on. Mussolini non può dimenticare la sua origine, né l’elemento e i mezzi della sua fortuna, e non ci meravigliamo di riudire di quando in quando dalla sua bocca gli accenti demagogici che primi l'han fatto salire; perché l'illustre uomo di Romagna nonostante il suo volontarismo ha eminente ciò che il Weininger chiama "il temperamento femminile dell'uomo politico", e cioè l'impossibilità di vivere senza l'adulazione della folla. Da ciò la continuata pratica degli amorosi sensi. L'inutile verbosità del Presidente non è quindi che senso di scontentezza verso un sé stesso ipostatizzato in ipotetici nemici. Questa è la sua tragedia. Disavventura che non s'accorga che è tutta personale, e voglia estenderla a tutta la Nazione per oggettivarla o drammatizzarla! Tale soggettività del Duce è dimentica però dell'insegnamento storico hegeliano primitivamente accettato sotto la forma della lotta di classe; perché non ammettendo l’imprescindibità dell'opposizione quale manifestazione della libertà ed oggettività del pensiero, considera senz'altro gli avversari politici del fascismo, nemici personali suoi. Da ciò la necessità d'una milizia pretoriana (che diverrà sempre più disciplinata e regolare man mano che l'on. Mussolini verrà assorbito dalla Monarchia, o solidificherà la sua posizione politica), e da ciò anche l'orientazione sempre più spiccata verso l'egotismo letterario. Nel corrispondente politico di questa soggettività risiede l'immaturità politica del nostro popolo, e la spiegazione della vittoria fascista. Solo pochi dei 40 milioni d'italiani, sentono d'essere dei cittadini, mentre tutti gli altri sono ancora dei sudditi. Quando l'on. Mussolini biasima il trasformismo in uomini che la politica giolittiana aveva slombati, non tien calcolo che esso è l'espressione immancabile del servilismo rinato sotto la ferula della violenza. Cinico poi si dimostra allorché incita gl'italiani al carattere ed al coraggio, e nell'istesso tempo toglie loro le garanzie costituzionali con una riforma dei codici che li divide in due arbitrarie ed assurde categorie aventi doveri e meriti diversi, e con una riforma elettorale intenzionalmente deformatrice del libero e diretto suffragio dell'elettore. Comunque, anche il cinismo può essere istruttivo. Contro un'illusioneUna vecchia illusione che poi bisogna combattere è contenuta nelle parole dette dal Sen. Rolando Ricci, nel suo discorso di risposta a quello del Presidente del Consiglio. Egli ha detto che la stabilità del Governo fascista è garantito da due fatti, uno positivo, l'altro negativo: rappresentato il primo dal consenso della maggioranza del Paese; ed il secondo dalla mancanza d'un successore. Non entriamo nel merito della verità o meno di tale affermazione, perché sentiamo di dover subito dire che questa appunto è la mentalità abdicataria della nostra borghesia: eterno Diogene in cerca dell'uomo. Due anni fa sui giornali e nei discorsi venivan dette le stesse parole. Una volta per sempre occorre dichiarare che di "unti del Signore" non ce n'è più bisogno; ma che è invece necessario guardar bene in faccia la realtà, per chiarire ed accettare una precisa situazione: Si tratta di riconoscere le forze vere del Paese e di valorizzarle traverso il Parlamento, la proporzionale e la legge, per conferire ai partiti la fisionomia di organi costitutivi dello Stato. Se tale necessità fosse stata capita dall'on. Giolitti, quanto l’é sempre stata da Don Sturzo, non avremmo avuto la pseudo-dittatura fascista che con più volgarità perpetua la dittatura vera per un trentennio esplicata dall'uomo di Dronero. Dal che si vede come il fascismo sia la filiazione legittima del giolittismo. ARMANDO CAVALLI.
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