Studi sulla FranciaL'ARMATA DELLA MADELON
L'ordinamento militare francese non è affatto "democratico". Le leggi e i regolamenti che lo determinano sono certo democraticissimi: ma tanto in guerra che in pace - si è ben lontani dalla stolta idea di aprire gli alti gradi, o semplicemente l’ufficialato, ai più valorosi: dal concepire l'esercito come una specie di "scuola unica" del menar le mani, in cui, chi è più intrepido, ha diritto di ricevere la promozione a sottotenente, anche se è un tranviere o un garzone parrucchiere. I tempi napoleonici son passati: gli ufficiali tranvieri e parrucchieri la Francia ce li lascia a noi. In realtà, noi italiani, siamo tanto infetti dalla bagologia del "self-made man", della "carriera aperta a tutti" e simili coriandoli democratici, che non riusciamo a comprendere più una cosa essenziale per una solida organizzazione militare. E cioè: la tradizione di famiglia. Radicate nei loro chateaux perduti in fondo ai dipartimenti, ci sono migliaia di famiglie di piccola nobiltà francese, che hanno fatto una riconciliazione di convenienza con Marianna, e che rinsanguano ogni anno i quadri di Saint Cyr e dell'Annuario Militare con i loro figli. Tutto ciò non accade soltanto nei romanzi apologetici di De Vogue e di Henry Bordeaux; tutto ciò si ripete col ritmo delle generazioni, coll'oscuro travaglio di intelligenze tutte pratiche, tutte routiniéres, destinate forse a rifiorire nel grand chef di domani. Da noi, la tradizione militare si forma cosi: il papà è militare, il figlio gode la mezza di favore negli istituti di educazione militare: il figlio sarà dunque militare come il papà. Questa non è tradizione: è semplicemente una applicazione di regole tolte dal libro della lesina. La famiglia in cui di padre in figlio tutti sono impiegati dello Stato esiste anche da noi, oh se esiste! Ma non ne escono fuori altro che dei lanzichenecchi della burocrazia. Quella spina dorsale dell'ufficialità francese era in guerra adeguatamente rinforzata dagli ufficiali di complemento, di reclutamento vario, ma in cui alle professioni liberali si univa una forte percentuale di "agriculteurs", di "entrepreneurs agricols", di "fermiers", di grossi fattori, insomma: ordinariamente, avevano il grado di adjutant, soltanto, con funzioni ed assegni di tenente e sottotenente: restando però bene inteso che, a guerra finita, sarebbero rimasti nei quadri col grado antico. Erano tutti gente anziana, di istruzione limitata ma di grande pratica degli uomini e di grande responsabilità. Essi non chiedevano affatto all'avventura della guerra una "posizione", allo stesso modo che gli ufficiali loro superiori non chiedevano alla vita militare i mezzi di sussistenze. Per gli uni e per gli altri, la guerra non era affatto una "guerra rivoluzionaria", ovvero "l'ultima guerra": ma una grossa peripezia che ogni generazione di francesi deve prima o poi affrontare, ciascuno al posto militare corrispondente alla sua condizione sociale: e nella provincia francese, vi prego, una gerarchia sociale c'é. Nessuna traccia di spirito goliardico: anzi nessuna traccia di goliardi vestiti da ufficiali e spediti al fronte a serie dai Depositi Rifornimento Uomini. Gli ufficiali italiani, in Francia, suscitavano la meraviglia generale per la loro giovinezza: di simili sbarbatelli i francesi non conoscevano altro che gli aviatori: Guyermer, Fock, et encore! Esporre a un militare francese i sistemi allora vigenti nel nostro reclutamento ufficiali, era come contargli una favola: non li meravigliava tanto la promozione in massa della gioventù universitaria, quanto la promozione dei sottufficiali. Qui essi erano veramente offesi nelle loro concezioni delle cose umane e divine. "Mais pour les types qui se sont distingués, vous avez bien aussi la medaille militaire!... Quelque chose comme la legion d'honneur!... Et alors?". Alors, mi indicavano gli Adjutans del reparto anziani o giovani, i sergenti, i caporali, medagliati, citati tre o quattro volte e rimasti nei ranghi: "Mais naturellement: il faut bien que quelqu'un fasse le sous-offs, voyons!...". Tranne casi assolutamente eccezionali, nessuna promozione per merito di guerra, nessun corso straordinario veniva a trasformare quei sottufficiali così meritevoli, in mediocri ufficiali. Si andava adagio nel fare degli spostati: anzi si aveva la sensazione che in un paese così ricco di élite contadina, paesana, non ci fosse nessun bisogno di prendere quei cultivateurs di saldo cuore e di mente stretta, senza le abitudini e i pregiudizi della buona società, di prenderli e di gettarli nel calderone di una ufficialità fatta a macchina. Questo, del resto, non passava neppure per la testa agli interessati, i quali comprendevano perfettamente che le loro capacità militari erano di una portata da "sottufficiali scelti": precisamente come le loro capacità borghesi erano di una portata di piccoli fermiers, di quelli che durante la settimana rimestano coraggiosamente il letame e calzano gli zoccoli di legno per andare al mercato. La democrazia era cacciata dal campo dell'organica militare, come dev'essere; ma nessuna armata aveva più della francese l'apparenza di essere "democratica". Gli osservatori italiani degli anni di guerra, specialmente, confondevano democrazia con cameratismo e educazione, nel tratto di superiore a inferiore. Chi ha pratica di vita militare sa quale benefica influenza esercitino sulla vita del reggimento ufficiali superiori signori, con un certo patrimonio, al ridosso della minaccia di strettezze finanziarie connesse con il siluramento eventuale. Il caporalismo brutale è proprio delle armate di spostati, con delle ufficialità di impiegati legati per la gola al loro stipendio. Il cadornismo è un regime applicabile solo a uno stato maggiore di travet, "democraticamente" reclutato fra la piccola borghesia nullatenente. La democrazia del reclutamento degli ufficiali fa gemere i soldati. L'impressione più viva che dava l'armata francese in guerra, era questa: una armata di signori. Gli inglesi e gli americani mangiavano molta marmellata, avevano il rasoio gillette, eccetera: ma solo i soldati francesi erano trattati dal superiore senza quell'ingenua famigliarità goliardica dei nostri giovani ufficiali, ma come uomini serii, come rispettabili cittadini, riuniti per una gravissima necessità, cui non si sospettava neppure che qualcuno fosse tentato di sottrarsi. Due piccoli fatti possono dare un'idea di questa atmosfera. Questo: l'ufficiale non congeda mai l'inferiore cui ha dato qualche incombenza, o che lascia il reparto, senza stringergli la mano. Quest'altro: l’indicazione dei capi di vestiario necessarii per rimettere a nuovo una compagnia, sono sempre - per obbligo fatto all'ufficiale - accompagnati dalle misure: tre paia di scarpe del numero 38 (io conosco molti alti ufficiali addetti al servizio di intendenza, i quali non hanno mai compreso che un soldato col piede lungo 38 non può camminare con una scarpa numero 36: "Sotto le armi, ci vuole altro che queste balle!"). Questo trattamento dignitoso e privilegiato rispetto a quello vigente in altre armate - il soldato francese lo apprezzava e lo esigeva. Neanche per lui esisteva la mitologia dell'"ultima guerra", o quella della "liberazione dei popoli oppressi": nessun Ministro gli promise mai la spartizione delle terre... incolte, e nessun ufficio P. gli dipinse mai l'intervento americano come la palingenesi della politica internazionale. Bisogna anche riconoscere la estrema stupidità di queste favole, paragonate alle tradizioni viventi in ogni casolare di Francia: l’ "anno dei prussiani", i battaglioni dei "mobiles", una guerra, ricordata da tutti, perduta: il feroce servizio militare obbligatorio instaurato dalla Terza Repubblica "rapport à ces prussiens": altre reminiscenze più orgogliose e terribili, di leve in massa, di guerre, portate in paesi lontani, e vinte: la convinzione che solo i francesi potessero in qualche modo affrontare i tedeschi, perché, quanto agli altri... "Mais alors, pour le boche, il n'y a que le français, vous-l-voycz!-", gridavano beffardamente i territoriali spediti in fretta e furia a tappare i buchi dell'offensiva del marzo 1919, quando incontravano gli inglesi, militi dell'"ultima guerra per la libertà e per il diritto", che battevano in ritirata. E in quel marzo, e nel maggio seguente, nelle ore più gravi, quale ferocia era in questi paesani! Clemenceau solo li comprese e li soddisfece con le fucilazioni di Vincennes: il palo di Vincennes fu la vendetta offerta ai paesani sui "parigots", sugli uomini di banco, sui giornalisti, su tutta la canaglia: quando nei villaggi demoliti della Somme arrivavano i fogli parigini con i particolari delle esecuzioni, allora, allora, la vecchia Gallia ricompariva, schernitrice e feroce, nei commenti, nella occhiate, nei cachinni dei soldati che sentivano di difendere la terra, la terra grassa, la terra ricca, contro i prussiani e contro i banchieri loro amici, e che volevano sbattere al suolo quelli che la minacciavano di contribuzioni e quelli che la infettavano di ipoteche... Avrei voluto vedere l'ufficio P. all'opera, con questa gente. Altre canzoni occorrono, in verità più belle: bisogna che il fremito sanguinario sia nascosto sotto la vernice della "gloire coquette"... Il maresciallo Foch, in rappresentanza dell’Académie, che nel 1920 celebra a Fontenay-sous Bois l'anniversario della "Madelon", con una cerimonia mezzo-bacchica, mezzo-religiosa: ecco qualche cosa che risponde bene ai gusti della Francia guerriera e contadina, assai meglio del missionarismo anglosassone!... "Nel 1915, a Fontenay-sous-Bois, viveva una umile fantesca chiamata Madelon: essa versava da bere ai borghesi e sopratutto ai militari... La Madelon non era severa... "Quand on lui prend la taille ou le menton, elle sourit... c'est tout le mal qu’elle sait faire", come si esprimevano sul suo conto gli ingenui trovatori dell'epoca. A quest'epoca, c'era la grande miseria del paese di Francia, invaso all'Est dai tedeschi, a Nord dagli inglesi, ad Ovest dagli americani e a Sud dalle razze gialle, rosse e nere... E allora Dio si valse della Madelon per incitare i figli del terroir a salvare il loro bel paese: perché la Divina Provvidenza si vale anche degli strutttenti più umili...". Nella patria di Giovanna D'Arco e del giovandarchismo è possibile che un giorno si favoleggi cosi. Che la Francia l'abbia salvata la fantesca di Fontenay-sous-Bois, può essere che se lo credano: che l'abbiano salvata gli altri, non lo crederanno mai. Quale è l'atteggiamento di una armata così composta verso un grande capo vittorioso? Io ebbi occasione di osservare la posizione del generale Mangin nel periodo più éclatant della sua carriera, dalla controffensiva del 14 luglio del '18 all'insediamento nel quartiere generale di Magonza, in terra conquistata. Allora la decima armata - la sua - lo chiamava l’homme du bled, per la sua provenienza coloniale. Nella foresta di Viller-Cotteret, molti reparti diretti alla fronte lo avevano visto arrampicarsi su per le scale degli osservatori piazzati sugli alberi, snello e pieghevole come un tenentino. "C'est rien pepére, le type!", dicevano fra loro i soldati soddisfatti. Godeva fama di non risparmiare gli uomini, e sopratutto di fare macellare i negri, i senegalesi. "Que c'est que voulez-vous, non ami? L'hiver approche; s'ils ne donnent à present, ils vont tous me mourir de bronchite". E i senegalesi donnaient largamente. Del resto, la riputazione di macellaio non ha mai nuociuto ai generali francesi, purché sappiano dare l'impressione di una condotta brillante, e non facciano delle cappuccinate, non stiano appartati nei loro quartieri generali come dei grandi Manitous alla guerra. L'unico comandante di armata che tenesse a fare l'inaccessibile, l’olimpico, era Franchet d'Esperet. Entro Airze, la cittadina champenoise dov'egli aveva il comando, io potevo circolare, perché ero ufficiale: ma i soldati, di qualunque nazionalità, dovevano girare al largo. Lo stesso regime che vigeva sotto Cadorna, quando, per esempio, i reggimenti in marcia dovevano fare dei larghi giri per non infettare con la loro presenza di lebbrosi il Quartier Generale di semplici corpi d'armata. Franchet d'Esperet era impopolarissimo, e la sua armata fu ben soddisfatta quando lo mandarono a comandare il Corpo inter-alleato di Salonicco. Tutt'altra aria che ad Airze tirava a Belleu, nel Soissonnais, donde Mangin diresse l'ultima offensiva nel settore di Laon. Tutti i reparti accantonati nelle vicinanze sapevano l'ora precisa in cui Clemenceau era arrivato in auto per discorrere col suo generale del cuore: "L'unico generale di cui il vecchio si fidi", diceva quella gente di guerra piena di orgoglio per il suo capo. "Quest'oggi, il vecchio gli ha promesso il bastone di Maresciallo se si arriva a Laon". - "Alors,? mon vieux, ça va chauffer! L'homme du bled, t-l-sais, il en-est fou!". "Plac' de la Concorde, l'Étoile, l'Arc de Triomphe, tout l'mond' descend! Tu vas voir!...". Grandi cose i suoi soldati si aspettavano da Mangin: grandi e misteriose cose, di ritorni trionfali in patria, ma più trionfali di quelli degli altri generali, perché la 3ª Armata era quella che aveva "dato" di più, nella grande offensiva di autunno. L'allegrezza per l'armistizio fu temperata in molti umili cuori dalla notizia che Mangin era furibondo, che per due giorni si era chiuso a chiave, piantando lì il comando, per poter sbraitare con comodo la sua rabbia perché tutto era finito cosi presto, senza che si fosse giunti con una battaglia manovrata al Reno, senza il Maresciallato, senza niente. Leggenda o realtà, gli umori dell'uomo del bled furono assolutamente giustificati dalle migliaia di uomini che si erano logorati per la sua fortuna. Poi vennero i giorni di Magonza, l'inverno radioso, il primo inverno passato da vincitori sul Reno. Sotto l'occhio degli stranieri, e per farsi bella con tutte le pavane e le pavaniglie della vittoria, l'armata cambiò umore, diventò irriconoscibile, quasi pretoriana. Mangin alloggiava come un principe nel palazzo del Granduca di Assia. Attorno, nelle cittadine della beata Rheingau, le truppe si facevano delle sbornie di parate, cui egli di tanto in tanto assisteva. Pareva una leva in massa di eroi convenzionali, come se ne incontrano sulle alture e sulle colline della poesia gallica, dai giorni di D’Urfés, l'autore di Astrea, fino al tempo repubblicano di Richepin e di Rostand: pareva che tutti gli ufficiali di cavalleria eroi da boudoir dei romanzi francesi si fossero dati appuntamento sul Reno, Armata Mangin. Ogni soldato metteva una cura particolare a parer bello, a mantenere bene a piombo le pieghe del cappotto, ad aggraffarsi bene la fourraggère: le sentinelle facevano il loro su e giù con una rigidezza e una correttezza da grognards, come quelli che compariscono nelle rappresentazioni napoleoniche alla Porte Saint-Martin: i trombettieri dei chasseurs che traversavano Magonza ogni giorno, per il cambio della guardia al Palazzo del Gènèral-Gouvernateur, prima di imboccare i clairons per le battute della Sambre et Meuse, facevano volteggiare sopra le teste gli ottoni due volte, con il gesto prescritto dai regolamenti francesi, che certo deve essere stato escogitato da qualche amante di generale, tanto è grazioso: ma i trombettieri di Magonza lo facevano avec intention, riusciva un amore. L'ebbrezza dell'uniforme - una sensazione squisita e ineffabile, riservata, normalmente, ai giovani tenenti di vent'anni - tutta l’armata Mangin se la sentiva formicolare nel sangue. Nell'aspetto del generale Mangin, e nelle sue comparse esteriori, c'era una trasformazione perfettamente corrispondente a quella della sua armata. Il suo aspetto, l’ambiente della sua principesca residenza, le persone del seguito, tutto era pervaso da un soffio di ancien regime. Il generate compariva non raramente allo Stadtheater, nelle rappresentazioni riservate per la guarnigione francese. Le ballerine, sui foglietti-programma, si adornavano del titolo solleticante di "première danseuse de l’armèe du Rhin", per burla, s’intende! Le "stelle" parigine cantavano dei couplets della Madelon, opportunamente composti in lode della X Armata e del suo comandante: il pubblico militare li riprendeva in coro, indirizzandoli al palchetto, in cui il generale faceva da cavaliere servente ad una dama della Croce Rossa, che porta un gran nome della finanza della Capitale. Mangin era elegante. Malgrado la mascella d'acciaio vantata dai giornali nazionalisti, i baffi neri tagliati all'americana, gli occhi da filibustiere, non era marziale: ma elegante, sí. Le manine curate come una signora. Visibilissimo; alla prima occhiata, lo sforzo fatto dall'uomo del bled per comparire più "Cavalier" che "Chevalier", più "Marquis" e "homme à femmes" che rude organizzatore di truppe negre. L'uomo non era soddisfatto di Magonza: si preparava per Parigi. Clemenceau se ne dovette accorgere: senza preavviso, senza spiegazioni, due mesi dopo gli toglieva il comando dell'Armata del Reno, dandogli come onorevolissimo compenso, il maresciallato, ahi, quanto diverso da quello sperato nel quartiere generale di Belleu! Il ministero Leygues gli affidava una missione molto coreografica al Brasile, al Cile, in Argentina. Lontano, lontano. E così finì... Altri tipi occorrevano alla Repubblica, per le necessità create dal trattato di Versailles: generali poco guerrieri, molto diplomatici, accaparranti charmants. Se ne trovarono. Le Rond e De Metz pare che non abbiano mai veduto una caserma, che non si siano mai frustati le cuoia su una piazza d’armi: hanno la più rara civetteria del militare di carriera: quella di fare il borghese. Cosi discreti, che pare si vogliano scusare di portare la divisa dopo l'ultima delle guerre. Ma che finezza! Tutto il Quay d'Orsay, più i guanti bianchi di Saint-Cyr. Dalla testa al pollice del piede, salottieri. Grandi servitori della republica, senza dubbio: perché ad essi manca il prestigio del panaché, e non resta che il lavoro di mina e di contromina nelle commissioni interalleate, nei territori di occupazione. Il generale De Metz, commissario civile nel Palatinato, già richiamato da Millerand perché pareva troppo compromesso, ma poi rinviato a Spira, indispensabile, insostituibile, è il grande agente del separatismo renano. Le Rond gli teneva bordone, fino a un anno fa, al capo opposto della Germania, in Alta Slesia. Fece di tutto: plebisciti, insurrezioni, funerali solenni agli italiani ammazzati dai polacchi; pareva persino che tenesse conto dei generali alleati. Di sera, i visitatori erano introdotti presso di lui, a Oppeln, nel Palazzo del Comando, da due camerieri stile rue de Varennes: le ordinanze, i piantoni, tutto quello che sapeva di militare era abolito presso questo generale maneggiatore di plebisciti: all'infuori, mi ricordo, di un sergentino dei chasseurs che pareva l'Arcangelo San Michele tutto ben pettinato che troviamo nei quadri di Guido Reni, cui fosse stato concesso l'uso della fourragère per poter servire nelle armate della Republica. Le Rond, piccolino, smilzo, un gran naso adunco, un parlare da maestro di dizione, attendeva il modesto visitatore in piedi, sotto il busto della Republica dalle poppe fiorenti. Dopo qualche menzognera dichiarazione sui pasticci dell'Alta Slesia, Le Rond diceva: "Ma ritorniamo, vi prego, al nostro discorso". Il "nostro discorso" erano reminiscenze di Anatole France, pillole di oro depositate da Gaston de la Fouchardière nelle colonne dell'Oeuvre - giornale "loschissimo" -; perché M. le Gènèral President era eclettico. Dopo mezz'ora di conversazione piacevolissima il cameriere privato ci riconsegnava al San Michele con la fourragére, costui preveniva il caporale del corpo di guardia che vigilava all'ingresso particolare del generale: e vi ritrovavate in piazza, al buio dello stato d'assedio che è sempre più buio del solito, perplessi sulle menzogne udite, ma dolenti che il colloquio fosse finito così presto: perché quel bugiardo era pur l'unico amabile europeo di Oppeln - ad eccezione, s'intende, di Antonio Baldini, che a quei giorni e a quelle ore se ne stava seduto al buffet della Stazione, tutto taciturno per una cotoletta di cuoio presentatagli dal tavoleggiante. Questi - fatta eccezione, s'intende, di Antonio Baldini! - sono taluni aspetti e taluni uomini dell'armata francese. Nelle sue grandi linee, e nei suoi caratteri fondamentali, è l'armata dei "rurali". Inquadrata dai suoi capi legittimi, i rappresentanti dei ceti possidenti delle provincie, gente con molte tradizioni, molti pregiudizi, molti morti che si fanno sentire, essa non tradisce la propria natura, i discorsi, i voti, i rancori dei dipartimenti lontani donde è uscita, delle case padronali con le tappezzerie a fiorami e i letti col baldacchino, delle fermes ampie come reggie, piene di grazia di Dio. Domina l'Europa, provocando la chiusura delle fabbriche, delle officine, delle miniere, delle banche - di tutte le "machines" che il rurale di Francia, in fondo, sospetta e teme. GIOVANNI ANSALDO.
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